Vittimisti e ignoranti
Premessa: Di solito non si dovrebbe parlare di popoli interi attribuendogli delle caratteristiche generali. Ce lo insegnò tra l’altro lo scrittore svizzero Max Frisch che però a sua volta fece un’ eccezione per gli italiani: “Man soll nicht von einem ganzen Volk reden! Jetzt tue ich es doch: ich liebe das italienische.” Da qualche altra parte nel suo diario, riflettendo la lenta elaborazione degli allora recenti crimini nazisti e fascisti, scrisse: “Es gibt kein europäisches Volk, das uns zur Zeit so mit Zuversicht erfüllt wie das italienische. Gerade durch seine Selbstkritik.“
Era l’anno 1948 quando l’Italia aveva i requisiti per poter essere elogiata in questo modo. Proviamo a immaginarci invece una qualsiasi illustre persona che esprima un giudizio come quello di Max Frisch ai giorni nostri – più che un giudizio sembrerebbe una beffa. Inoltre quel che più è venuto a mancare agli italiani, sembra che sia proprio la “Selbstkritik” citata da Frisch. Un fatto che è nuovamente facile da osservare nelle reazioni al problema profughi.
Paragoni europei
I nuovi flussi d’immigrazione mettono alla prova l’Europa. Sembra essere (da un punto di vista scientifico) un gigantesco esperimento sociale, finalizzato a scoprire come reagiscono i diversi popoli europei di fronte a questo fenomeno. I commenti sui social network, soprattutto relativi alle notizie sull’argomento, fungono intanto da barometro dell’opinione pubblica di una società. Studiando in Germania e Olanda riesco a confrontare abbastanza bene la situazione fra nord e sud. Purtroppo in questo confronto l’Italia sta facendo una pessima figura. Ovviamente i razzisti ci sono dappertutto, ma in Germania rimangono comunque una minoranza che si nasconde in gruppi chiusi e viene comunemente zittita quando si fa sentire in pubblico, tra l’altro sotto forma di commenti sulle pagine Facebook delle maggiori testate tedesche (indipendentemente se di destra o di sinistra). In Italia invece, sicuramente aizzate anche dai media di centrodestra, le voci contro i rifugiati spesso prendono il sopravvento. Ecco per esempio alcune reazioni all’annuncio di papa Francesco di accogliere due famiglie di profughi nel Vaticano e al suo invito alle parrocchie di fare altrettanto:
La prima cosa che risalta è che non si tratta di dichiarazioni palesemente motivate da ideologie razziste, ma è invece il comune atteggiamento da vittima. E chi si meraviglia? Dopo anni che gli italiani si sono lasciati sfruttare e manipolare da una casta politica soltanto volta a realizzare i propri interessi, intrecciata con la mafia e innamorata dei propri privilegi, non è poi tanto assurdo sentirsi delle vittime. Peccato che si esageri un po’, tanto da sembrare narcisisti – pare essere molto comune per esempio la convinzione che siamo in condizioni già peggiori che nel terzo mondo. E ancora più peccato che gli italiani un'altra volta non capiscono di chi realmente siano la vittima: i soliti cialtroni populisti che promettono “Portatemi al governo e vi farò vedere”. E gli italiani subito: “Dai, intanto votiamolo poi vedremo che farà.” Mentre ci si mostra incapaci di individuare i veri colpevoli della miseria del nostro paese, un capro espiatorio però ci deve essere: l’immigrato.
I veri colpevoli non si toccano
Probabilmente non è un caso che la storia italiana non abbia mai avuto una rivoluzione come invece sono avvenute in Francia o Germania. Il vittimismo senza l’individuazione del colpevole porta stranamente le persone a invidiare non coloro che stanno meglio, ma quelli che stanno uguali o addirittura peggio. L’invidia e la rabbia dello schiavo raramente si scatenano contro il suo padrone sfruttatore. Si scatenano invece contro un secondo schiavo che il primo schiavo crede privilegiato dal padrone. Più che il razzismo, il problema degli italiani (il problema che sta alla radice) è quindi un vittimismo abbinato all’ignoranza. Solo che a pagarne le conseguenze non sono solo gli italiani stessi che per colpa propria rimarranno in balia a politici populisti e incapaci, ma anche coloro che sono giunti fin qui, in cerca soltanto di una vita degna di essere chiamata vita, per essere poi accolti con tanta ostilità.