Cultura | ossimori

7 agosto - Ossimori

Nonostante il bianco cubico della sala, tutto mi parlava d’altri tempi...
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale dell’autore e non necessariamente quella della redazione di SALTO.

Pensavo, osservando Marlene sdraiata sui pianoforti in mezzo alla sala, a quanto lunghe fossero le sue gambe e a come riuscisse ad essere tanto leggera. Al centro della scena aspettava le sue donne, le quattro donne del Jazz, mentre io, curiosa e un po’ abbacinata da tutto il bianco delle pareti e dei sorrisi perfettissimi, fissavo i pianoforti, la bella grafia del marchio dorato, in rilievo sopra alla tastiera, la corsia rossa che si apriva ai loro piedi, come una macchia scarlatta.

Nonostante il bianco cubico della sala, tutto mi parlava d’altri tempi. Per questo, quando le quattro donne del Jazz hanno iniziato a suonare, è stato inevitabile per me pensare ad una grande sala buia, illuminata solo da uno schermo; Lillian Gish cammina sul ghiaccio in punta di piedi e poi nella neve. La tempesta imperversa, mentre le donne toccano tasti che sembrano cristalli e, subito dopo, profondità oscure.

Le code dei pianoforti, disposti uno accanto all’altro, si sfiorano - strano bouquet di corde, tavole armoniche e pedali - e le donne li suonano cambiando di posto, a volte condividendone le tastiere. Spalla contro spalla, fanno correre una mano velocissima che quasi sembra non avere peso, mentre l’altra scandisce un ritmo che sento ossessivo, minaccioso.

Mi pare che tutto sia doppio, contraddittorio, leggero e pesante, arioso ed angusto, cristallino e fosco. Non mi stupirebbe vedere in sala le due Olivia de Havilland de Lo specchio scuro, sedute una accanto all’altra, ad osservare le quattro donne e le loro mani. Una porterebbe in dono un mazzo di peonie, l’altra dell’edera velenosa.

http://www.bolzanofestivalbozen.it/News/it/159/3348/42981.aspx