Cultura | grandi interpreti

"Io sono pragmatico"

Abbiamo intervistato Alexander Lonquich, virtuoso del pianoforte e apprezzato direttore, prossimo ospite della Stagione sinfonica dell’Orchestra Haydn.
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Foto: Ivan Urban Gobbo

Alexander Lonquich è nato a Trier, in Germania nel 1960. Nel 1977 ha vinto il Primo Premio al Concorso Casagrande dedicato a Schubert. Da allora ha tenuto concerti in Giappone, Stati Uniti e nei principali centri musicali europei. Ha ottenuto numerosi riconoscimenti dalla critica internazionale quali il "Diapason d’Or", il "Premio Abbiati" come miglior solista del 2016, e il "Premio Edison" . Alla carriera pianistica ha da tempo affiancato quella di direttore. E’ anche apprezzato didatta presso prestigiose istituzioni internazionali, e nel 2020 è stato nominato Direttore Artistico della Fondazione Scuola di Musica di Fiesole. 

Salto.bz: Prima del concerto, ha bisogno di concentrazione, silenzio o preferisce chiacchierare con chi le è vicino, distrarsi ?

Alexander Lonquich: a  me piace anche chiacchierare, ma un poco di concentrazione è sempre necessaria, e dipende molto dalle diverse occasioni, dal programma. Per una prima esecuzione ho bisogno di maggiore concentrazione, per una replica a fine tournée meno. Io sono pragmatico.

Il programma che la vede protagonista prima dal podio e poi alla tastiera prevede l’Ouverture dell’Armida di Haydn, le Danze di Galanta di Kodaly, l’Ottava di Beethoven, e il Concerto per pianoforte e orchestra n.2 di Shostakovich. Quale è il filo rosso che tiene assieme queste opere?

Sono molto diverse tra loro, ma possiamo trovare un filo rosso nella grande vivacità, nell’allegria, un’allegria però con un doppio taglio. Emblematica in questo è la musica di Shostakovich, dove la sua depressione si rispecchia nell’allegria, ne ha il suo doppio. In Haydn possiamo ammirare i repentini cambi di carattere, la malinconia in alcuni tratti delle Danze di Kodaly, e l’Ottava di Beethoven, per me, è una delle sue composizioni più umoristiche.

 

 

Nel corso o a margine di un suo concerto le è capitato un episodio buffo di cui ancora sorride?

Molti, tanti causati da piccole incomprensioni. Uno è stato particolare. Erano gli anni 80, ero al pianoforte per suonare il Secondo Concerto di Beethoven. Dopo le prime battute ho dovuto smettere: la tastiera non era fissata bene. Dopo la riparazione ho ripreso a suonare.

Lei è conosciuto come pianista e direttore, un interprete alla tastiera e sul podio. Ha mai avuto il desiderio di comporre?

In un periodo della mia vita ho composto, scrivevo le musiche per  un gruppo di teatro sperimentale. Ma scrivere costantemente sarebbe stato per me troppo impegnativo, al tempo componevo molto lentamente. Mio padre era compositore.

Pensa con Dostoevskij che “la bellezza salverà il mondo”?

Non sono così ottimista. E’ un buon auspicio.

Essere un musicista, era il suo sogno da bambino?

Mio padre, oltre che compositore, era pianista e direttore. Ho avuto la possibilità fin da piccolo di aver un’idea molto ampia della musica. Volevo fare questo percorso.

 

 

Nella sua biografia leggo che nel 2013 ha creato nella propria abitazione fiorentina, assieme alla moglie Cristina, il Kantoratelier. Ci racconta di questa iniziativa? 

Ultimamente, causa Covid, non siamo stati molto attivi. Ma è stata una parte importante della nostra vita, si parlava di musica, teatro, psicanalisi, si facevano concerti. Ora sono molto impegnato per il mio ruolo di Direttore alla Scuola di Fiesole.

Ci segnala un libro che è stato per lei importante?

Ce ne sono stati tantissimi, dovendone scegliere uno...“L’uomo senza qualità” di Musil.