Cultura | La vicenda

“Restituiamo, se la Provincia paga”

Le (in)trovabili unghie di Ötzi, una storia curiosa. I nostri eroi: l’anatomopatologo Eduard Egarter Vigl, il professor Luigi Capasso e l’antropologo Horst Seidler.
Ötzi
Foto: Quelle: Edition Raetia

Di questi tempi non sarebbe una sorpresa se l’avvincente storia di Ötzi e del suo ritrovamento diventasse un sapido attrezzo narrativo, un profluvio di trame formicolanti di dettagli, per una serie tv di punta delle ultra-note HBO, Netflix, CBS. Altro che Game of Thrones. Qualche puntata, finanche una stagione intera, potrebbe addirittura essere dedicata - senza il rischio di addormentarsi con la guancia appollaiata sul pugno - nientemeno che alle unghie della mummia rinvenuta il 19 settembre del 1991 sul ghiacciaio del Similaun sulle Alpi Venoste, al confine fra l’Italia (la Val Senales in Alto Adige) e l’Austria (la Ötztal nel Tirolo). 

L’enigma delle unghie

La storia che ruota intorno a questi specifici reperti è una di quelle che vale la pena raccontare. L’anatomopatologo altoatesino Eduard Egarter-Vigl, per anni responsabile della cura e della conservazione del celebre iceman, ricostruisce la vicenda delle unghie perdute nel libro Ötzis Leibarzt. Il primo personaggio coinvolto nel racconto è l’antropologo austriaco Horst Seidler, “ein verlässlicher Südtirolfreund”, lo definisce Egarter. In un documentario della Spiegel Tv Seidler, che appare nei panni di se stesso, tira fuori dalla tasca del suo camice un’unghia del piede di Ötzi mostrandola agli astanti. Subito dopo il cimelio sparisce di nuovo nella tasca. E da quel momento “puff”, volatilizzato. Quando si domanda a Seidler che fine abbia fatto l’unghia - si legge nel passaggio dedicato a questa curiosa vicenda - l’antropologo risponde di non averla mai posseduta. E anzi punta il dito sugli esperti di Innsbruck, colpevoli, a suo dire, di non aver catalogato propriamente il reperto. La città austriaca nega ogni responsabilità, ma uno spiacevole precedente non gioca a suo favore: nel periodo in cui il corpo del nostro eroe millenario si trovava proprio a Innsbruck, ovvero dal 1991 al 1998, scomparvero alcuni frammenti di una costola. Anche in questo caso i sospetti condurrebbero al dottor Seidler, tuttavia di questi resti non si ha traccia. Nella narrazione spunta, a un certo punto, un altro comprimario che, secondo Egarter, sarebbe il detentore di un’unghia della mano del nostro Ötzi. Si tratterebbe di Luigi Capasso, professore ordinario di Antropologia alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università “Gabriele D’Annunzio” di Chieti, che venne incaricato dal governo italiano di riportare la mummia in Italia pochi giorni dopo la sua scoperta. 

La Provincia sapeva?

Ad interessarsi della questione sono stati anche i consiglieri provinciali del Gruppo Verde che recentemente hanno presentato (Hans Heiss primo firmatario) un’interrogazione alla giunta provinciale chiedendo all’assessore competente Florian Mussner se la Provincia fosse a conoscenza del fatto che mancassero i frammenti citati e se si fosse intervenuto per vie legali allo scopo di recuperare i reperti. Mussner risponde: la cosa è nota alle autorità competenti da anni, e non si tratta di un latrocinio. I frammenti sono infatti a disposizione degli scienziati per le ricerche e le indagini del caso e con queste persone e strutture è stato stabilito un contatto. Per quel che riguarda il periodo in cui la mummia si trovava a Innsbruck, quando furono prelevati campioni di tessuto e frammenti del corpo sempre a scopo scientifico, tutto è stato documentato dall’Istituto di Anatomia dell'Università di Innsbruck. La famigerata unghia del piede di Ötzi, spiega Mussner, è andata invece persa nel corso di un’indagine. 

"Abbiamo messo uno dei più importanti reperti al mondo nell’ambito della conservazione dei resti umani nelle mani di una persona che era alla sua prima esperienza"

Do ut des

Resta ora da capire quale sarà la sorte del materiale, unghia compresa, custodito nell’Istituto d’Annunzio - dove insegna il professor Capasso - e che dal 2005 in poi l’ex presidente dell'ente Musei provinciali ed ex assessore Svp Bruno Hosp ha tentato invano di riportare a Bolzano. “Egarter parla di cose che conosce poco perché è arrivato dopo di me - mette subito in chiaro Capasso -. Io, del resto, sono stato per molti anni prima di lui il responsabile della conservazione della mummia e io il progettista del frigorifero che si trova nel Museo archeologico dell’Alto Adige, sito a Bolzano.

All'epoca ero direttore del Servizio nazionale di antropologia del Ministero dei beni culturali, avevamo la responsabilità di migliaia di mummie in Italia. Ötzi è stata - e lo è ancora - la prima mummia di Egarter, abbiamo messo uno dei più importanti reperti al mondo nell’ambito della conservazione dei resti umani nelle mani di una persona che era alla sua prima esperienza”.

Quando il governo italiano accertò che la mummia appena ritrovata sul confine si trovasse in effetti in territorio italiano nominò un suo consulente, ovvero il Ministro per i beni culturali, e fu allora che Capasso arrivò a Bolzano e chiese di coordinare le operazioni di rientro della mummia in Italia. L’unghia “incriminata”, insieme a molti altri materiali, non venne trovata quando fu rinvenuta la mummia bensì l’anno successivo, il 1992, in seguito a scavi archeologici. “Il Ministero per i beni culturali - spiega Capasso - non concesse al tempo il permesso di esportazione per quei reperti che furono scavati grazie a finanziamenti del Ministero stesso e che rimasero nella disponibilità del dicastero. Tali reperti hanno rappresentato per numerosi studiosi italiani, lungo molti anni, una fonte di materiali che riguardavano la mummia e che gli austriaci non ci consentivano di campionare. L’unghia in questione, che peraltro è un reperto pubblicato, ci ha detto molte cose, e fatto fare una diagnosi importante, per esempio, riuscimmo infatti a capire che l’uomo era affetto da verminosi intestinale. Ma sono tutti dati pubblicati negli ultimi 20 anni”. 

"Per 25 anni abbiamo sostenuto delle spese per poter conservare il reperto, se Bolzano paga può riaverlo indietro"

Circa una decina di anni fa la Provincia di Bolzano chiese la restituzione dei reperti, cosa accadde allora? “Risposi che sarei stato disponibilissimo a renderli e lo sono ancora, per carità, ma per 25 anni abbiamo sostenuto delle spese per poter conservare il reperto, se Bolzano paga può riaverlo indietro”, garantisce il professore. L’assessore Mussner fa sapere che la cifra richiesta ammonta a 40mila euro. La Provincia è pronta a scucire? Dal 2009 la pratica è in mano agli avvocati. Nel frattempo l’unghia è conservata in una cella frigorifera speciale all’interno dell’Istituto abruzzese “a disposizione dei ricercatori di tutto il mondo, come sempre è stata finora. Io ritengo del resto che i reperti non appartengano a una persona o a un ricercatore, ma alla comunità scientifica, e a questa vanno resi disponibili. Ciò che non accade attualmente per la mummia del Similaun. Perché con la scusa del problema della conservazione si fa accedere uno sì e un altro no. La scienza non funziona così”.