Books | salto afternoon

“Lo stato del mare”

Tabitha Lasley racconta come lavorare in luoghi inospitali con materiali altamente combustibili possa lasciare un segno indelebile sul modo di essere.
stato del mare
Foto: Salto.bz

Scrive Marc Augé nel suo saggio “Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della submodernità”: “Se un luogo può essere definito come relazionale, storico e identitario, allora uno spazio che non può essere relazionale, o storico, o identitario sarà un nonluogo”. In questa definizione non è difficile pensare di poterci inserire anche le piattaforme petrolifere come quelle che si trovano nelle acque del Mare del Nord. Eppure la più importante regione del mondo per la perforazione offshore di storico e identitario ha molto se si pensa che dagli anni Settanta la campagna per l’indipendenza della Scozia dal Regno Unito si è fatta forte dello slogan “It’s Scotland oil!”.

È in una città portuale del Nord Est della Scozia, dove i fiumi Dee e Don incontrano il Mare del Nord, che Tabitha Lasley, autrice de “Lo stato del mare” edito da NR edizioni nel 2021, decide di trasferirsi per dare corpo all’idea di un libro sulle piattaforme petrolifere e gli uomini che ci lavorano. Come una logica conseguenza, ad Aberdeen Lasley conosce l’individuo del nonluogo: colui che perde le sue caratteristiche e i suoi ruoli personali per continuare a esistere solo ed esclusivamente come lavoratore sembra essere l’identikit della maggior parte degli uomini che incontra compreso Caden, l’uomo di cui s’innamora. Le oltre cento interviste che Lasley raccoglie nei mesi trascorsi ad Aberdeen delineano i tratti di uomini che, scandendo la loro vita tra il lavoro sulle piattaforme e il riposo, sembrano non concedere spazio all’emotività in ogni sua forma – sia essa la fragilità, la tenerezza, la preoccupazione –; gli uomini che Lasley incontra sono prima di tutto lavoratori, individui di nonluoghi, espressione umana del declino dell’industria: “Pensai che questi uomini erano come soldati. Dovevano coltivare la capacità di distaccarsi. Si impegnavano per mantenere una certa civiltà. Per questo lavoro finivano nelle zone più impervie, il che paradossalmente produceva un imbarbarimento del loro comportamento. Gli piaceva parlare di quanto fossero dure le diverse destinazioni, fare a gara su chi si era trovato nelle condizioni più orribili. In Angola, li avevano spintonati dentro alcuni fuoristrada dai vetri oscurati, tutti incolonnati, e costretti a stendersi sul pianale fino all’arrivo all’eliporto. In Nigeria, le piattaforme erano dotate di bunker dalla forma di bare messe in piedi. Se i pirati avessero preso il controllo della piattaforma, loro avrebbero dovuto chiudersi nei bunker rivolti verso la Mecca. In Africa puoi fare un sacco di soldi, ma sono soldi pericolosi”.

Dal 1969, quando fu portato alla luce il primo giacimento petrolifero nel Mare del Nord, si calcola che oltre 100mila lavoratori scozzesi siano stati impegnati nell’industria estrattiva, un settore che ha dato forma ad Aberdeen, considerata la capitale del Regno Unito per quanto riguarda l’attività petrolifera offshore. Il 2015 segna un passaggio fondamentale per Aberdeen che da una delle città più ricche del Regno Unito diventa uno dei luoghi maggiormente colpiti dalla petrol-crisi: ad Aberdeen se crolla il petrolio, crolla tutto perché lì ci si va per lavorare nel settore dell’estrazione. Laddove il lavoro diventa per forza di cose la vita – se si lavora offshore non si rientra a casa a fine giornata ma dopo settimane scandite da turni che di norma sono di 12 ore –, la crisi lavorativa rischia di coincidere con una crisi umana e la tossicità del lavoro può permeare i modi di fare. Con uno sguardo non giudicante e destrezza nell’immergersi senza timore in un contesto per certi versi ostile, nel suo memoir Lasley racconta il mondo della manovalanza dell’industria petrolifera fatto di risse, mascolinità che non riesce a mettersi in discussione, misoginia, rapporti di amicizia, di amori traditi, di conflitti. Le pagine di “Lo stato del mare” non restituiscono solo una diapositiva della vita offshore, ma mettono anche a nudo l’autrice stessa. Non si risparmia Lasley nel raccontare e nel raccontarsi: con estrema facilità – segno della sua bravura – Lasley diventa un tutt’uno con l’oggetto del suo libro, non teme di “sporcarsi le mani”, non le interessa mantenere una distanza con l’argomento trattato e questa sua disponibilità, che a tratti diventa coraggio e a tratti onestà letteraria, fa sì che dal suo libro non ci si stacchi.