Caro Don Paolo
Ho letto alcuni articoli su di Lei (quelli redatti da Elisa Brunelli anche due o tre volte perché mi sono sembrati quelli più documentati) e ho deciso di chiederle un incontro. Per ringraziarla, dirle di andare avanti, pregarla (anche se lo specialista nella pratica è lei, di certo non io) di proseguire ad occuparsi di – credo che lei preferirebbe dire “confrontarsi con” - tutti coloro che hanno bisogno di lei. E, ne sono sicuro, dei quali lei per primo ha “bisogno”.
Tra questi “tutti” chi c’è? Lo dice lei stesso in uno dei pezzi firmati da Brunelli: “Ribadisco che questo non è un percorso rivolto a persone LGBTQ+, come fossero un qualcosa a parte, ma si parla, al contrario, di integrarle all’interno delle nostre comunità, fare in modo che si sentano accolte e accettate per quelle che sono”.
Quale tipo di percorso? (sono sempre parole sue, don Paolo: “Un percorso nuovo ma non nuovissimo che ricalca altri progetti più o meno consolidati all’interno di realtà cristiane, italiane ed europee, a sostegno delle persone LGBTQ+. Se ho trovato resistenze? Sicuramente sono temi che fanno discutere ma quello che ho potuto constatare, a partire dalla mia comunità parrocchiale, è che più che ostilità ho trovato curiosità e interesse a conoscere le proposte che vogliamo portiamo avanti”.
Stiamo parlando di un planetario di idee, comportamenti e lotta alle ipocrisie importante. Ovvero del nuovo gruppo di lavoro promosso dalla Diocesi di Bolzano- Bressanone su fede e omosessualità, un progetto nato dallo scorso sinodo diocesano con l’idea di creare percorsi rivolti a persone LGBTQ+ presenti all’interno delle comunità pastorali. A farne parte anche lei, don Paolo “ in passato preso di mira, in particolare dalla destra neofascista, per via del suo sostegno mai celato al DdL Zan”, come è stato scritto anche su Salto.bz.
Se lei troverà pochissimi minuti per me, caro don Paolo, le dirò un paio di cose. Naturalmente, la ascolterò, soprattutto. Abbiamo alcune cose in comune, sa? Mio figlio è nato nel 1985, come lei. E alcune volte, una decina di anni dopo, mi ha accompagnato la sera in piazza Venezia o nelle piccole piazze vicine a portare cibo, coperte e presenza ai senza dimora del centro di Roma. Organizzava la Comunità di Sant’Egidio.
Ricordo che una sera, molto serio, il figliolo ha spiegato ad una signora molto ben vestita che, no, portare in regalo torrone e cioccolato duri non andava bene e avrebbe messo in imbarazzo (o anche fatto arrabbiare) le persone che incontravamo. Le quali, ohibò, non potevano permettersi un dentista.
Ogni tanto, al mattino e ritardando la mia entrata nel giornale quotidiano dove lavoravo, andavo a trovare il mio parroco, sacerdote a Trastevere. Tra due minuti le dirò anche chi è. Ebbene, don Paolo, lei non ha idea – anzi no, mi correggo, lei ce l’avrà benissimo questa idea – quanto fosse indaffarato, appassionato, presente con tutti.
Credo che don Matteo e lei, don Paolo, abbiate avuto una educazione (semplifico) simile e vicina. Aspra, ma anche articolata e piena di stimoli arrivati da chiunque e da qualunque cosa.
Questo, mi pare, è una delle cose nelle quali don Matteo e lei siete più bravi e convincenti: ascoltare. Come dice la canzone di Paolo Conte e cantata anche da Celentano? “(…) neanche un prete per chiacchierar…”. Ecco, tutti e due – e tantissimi padri come voi – ci siete e ci sarete: anche a parlare, rispettandole sempre, con persone LGBTQ+.
Dunque, grazie, don Paolo. Ah, vuol sapere chi è don Matteo? Credo che lo abbia già capito: da alcuni anni è cardinale a Bologna. Un saluto affettuoso anche a lui.