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Play with Fire: una storia di identità

Un diario per raccontare la definizione di sé. Quando il corpo è un luogo di possibilità e le esperienze di vita diventano gli strumenti per raggiungere la consapevolezza
Play with Fire7
Foto: Oblomov Edizioni

Come epigrafe a Play with Fire, ultima graphic novel del tatuatore e fumettista Nicoz Balboa, pubblicata da Oblomov Edizioni nel 2020, c’è una citazione di Paul B. Preciado che recita: “[…] è attraverso la fragilità che opera la rivoluzione”. È sufficiente sfogliare le prime pagine di questo diario a fumetti per capire che la vulnerabilità è una delle chiavi di lettura che permette di interpretare il viaggio di Nicoz attraverso la definizione di sé; un’idea di vulnerabilità che è accompagnata da un senso di partecipazione impossibile da non provare come lettrici e lettori. Tra le pagine che accolgono acquerelli con il rosso come colore predominante, si assiste a un racconto autobiografico dove le esperienze personali fanno da pretesto per riflessioni molto più ampie. La vicenda del coming out e il processo che porta l’autore a dare corpo alla propria identità queer permettono, infatti, di creare una forte consapevolezza rispetto ai limiti della fedeltà unidimensionale del pensiero di sé.

Ogni volta che mi sento cadere a pezzi mi metto davanti allo specchio e disegno autoritratti finché tutta la sofferenza non rimane lì sui fogli

I fatti accaduti tra il 2014 e il 2017 raccolti in Play with Fire hanno come minimo comune denominatore la ricerca della consapevolezza di sé che sembra non poter prescindere dalla messa in discussione di tutti gli stereotipi e le sovrastrutture legate al genere. In un susseguirsi di dubbi, timori, curiosità e sfide, Nicoz racconta le prime esperienze di sesso e di amore con le ragazze e il pensiero di cambiare il corpo nel tentativo di scegliere dove collocarsi, un percorso di decostruzione, quest’ultimo, che è accompagnato dall’esperienza della maternità. Mentre si concede la libertà di assecondare il desiderio che lo porta a essere attratto dalle donne, l’autore inizia a immaginare di abitare un corpo maschile con la consapevolezza che il sentirsi o essere uomo – così come donna – non è una questione biologica ma riguarda le possibili interpretazioni di sé a cui si sceglie di aderire. Nel suo sofferto percorso volto alla conoscenza senza giudizio di quello che si è, Nicoz occupa un luogo di marginalità inteso come vuole bell hooks e cioè non solo come un luogo di privazione, ma come vantaggio, spazio di resistenza e possibilità immaginabili all’interno della cultura dominante da chi non vi appartiene per diritto: “La marginalità è un luogo radicale di possibilità, uno spazio di resistenza. Un luogo capace di offrirci la condizione di una prospettiva radicale da cui guardare, creare, immaginare alternative e nuovi mondi. Non si tratta di una nozione mistica di marginalità. È frutto di esperienza vissute” (bell hooks, Insegnare a trasgredire, Meltemi, Milano 2020). Se la marginalità come privazione è rappresentata dall’impossibilità di sentirsi appartenere a una cultura binaria ed eteronormativa, la marginalità come vantaggio è la possibilità di effettuare uno spostamento prospettico capace di mettere in evidenza le falle delle rappresentazioni fisse di quello che viene definito mascolino, femminile, maschio e femmina. In questo contesto fluido, le immagini delle sirene di cui la graphic novel è ricca rappresentano la possibilità di essere a prescindere dall’organo sessuale: essendo mezze pesci e mezze persone, il genere delle sirene non si può definire, una limitazione questa che porta con sé l’autodeterminazione più assoluta. Attribuendo alle sirene un significato politico, si potrebbe dunque dire che esse rappresentano il potenziale generativo della differenza.


La narrazione del percorso personale fatto di sofferenza è sempre arricchita da una punta di ironia che riesce a sdrammatizzare anche gli episodi più dolorosi. Con umorismo Nicoz scherza sulla sua fragilità, sulla sua paura di essere abbandonato attribuendo parte della colpa al fatto di essere nato sotto il segno del cancro: “Ok sono proprio del cancro. E allora? Perché non posso essere amata esattamente come sono?”. Accanto alla penna comica, una voce delicata racconta il desiderio di sentirsi parte di un tutto, condivide strategie di sopravvivenza – “Ogni volta che mi sento cadere a pezzi mi metto davanti allo specchio e disegno autoritratti finché tutta la sofferenza non rimane lì sui fogli” –, spiega come attraverso la questione del corpo si decida da che parte stare rispetto all’egemonia degli stereotipi di genere: “Cambiare il proprio corpo. Scegliere dove collocarsi. Non è una cosa tanto assurda, ci sono donne che si aumentano il seno… maschi che passano ore a pomparsi in palestra. Chi sceglie in che direzione deve andare il cambiamento del nostro corpo? Questo spiraglio di libertà di scelta mi fa girare la testa”. La sfida di Nicoz sembra dunque essere quella di costruire un senso di sé uscendo da quelle che sono le relazioni di riconoscimento di genere e sperimentando stili corporali e comportamenti individuali lontani dalla norma. Come spiega Michela Fusaschi in Quando il corpo è delle altre (Bollati Boringhieri 2011), la cultura dominante tende a plasmare i corpi naturali rendendoli adatti, conformi, adeguandoli a un certo universo culturale: li mette a norma per renderli socializzabili. In questo scenario, è socialmente accettato che la Natura venga plasmata se la modifica è volta a consentire alle persone di vivere all’interno del loro universo socioculturale. Interrogarsi sul proprio orientamento sessuale, sull’identità di genere, sull’idea che si ha della propria persona rappresenta quindi un percorso di definizione di sé basato sulla differenza. Con Play with Fire Nicoz Balboa restituisce autorevolezza all’esperienza: la condivisione del suo vissuto crea consapevolezza in chi legge lasciando spazio all’identificazione a prescindere dalla similarità delle esperienze di vita di ognuna e ognuno di noi.