Società | La kermesse

“L’Italia ha bisogno di una strategia”

Arrigo Sadun, ex direttore esecutivo del FMI, al Festival dell’economia: “L’Europa ha dato prova di esistere. Pagheremo in futuro queste politiche, ma erano necessarie”.
sadun e cipolletta festival economia
Foto: Screenshot

Gli appuntamenti virtuali del Festival dell’Economia continuano. Martedì 21 luglio una nuova conferenza si è inserita all’interno della rubrica “Appunti per la ripartenza” con l'obiettivo di analizzare l’economia dal punto di vista delle imprese e curata da Innocenzo Cipolletta, presidente ASSONIME e AIFI.

L’incontro, intitolato “L’impatto del coronavirus sugli equilibri internazionali” voleva essere un momento di confronto sul ruolo e le tipologie di coordinamento delle varie organizzazioni mondiali e Arrigo Sadun, l’ospite d’onore, ha dispensato agli ascoltatori le proprie analisi e suggestioni. La persona più adatta - secondo Cipolletta- per fornire un quadro puntuale sullo stato di salute e sulle prospettive future dell’economia internazionale. Nel corso della sua lunga carriera, infatti, è passato da ruoli inerenti l’analisi economica a importanti compiti istituzionali passando per diverse funzioni riguardanti la consulenza strategica. Attualmente riveste la carica di presidente di TLSG International Advisors a Washington. Dal 2003 al 2005 è stato responsabile della Direzione analisi economico-finanziarie del dipartimento del Tesoro prima di ricoprire per sette anni il ruolo di executive director al Fondo monetario internazionale (FMI). 

“Per capire al meglio il ruolo portato avanti dalle organizzazioni internazionali ed europee è necessario fare un passo indietro e ricordare le tre fasi della crisi economica del 2008” inizia Sadun “la prima è la crisi bancaria, che è stata gestita abbastanza bene dalle autorità monetarie grazie a un rapido ed efficace coordinamento delle banche centrali. La seconda è stata la recessione economica mondiale, dove il ruolo delle autorità si è spostato dalle politiche monetarie a quelle fiscali. Qui gli organismi internazionali come il Fondo Monetario Internazionale e il G20 hanno avuto un ruolo cruciale per quanto concerne il coordinamento tra stati. Arrivando alla terza fase, ovvero la crisi del debito pubblico europeo, possiamo dire che è stata quella gestita peggio”.
“Come rapportare questa esperienza alla crisi attuale?” si interroga. “Sappiamo che si tratta innanzitutto di una crisi sanitaria. In questo caso il coordinamento non è stato soddisfacente, tra un eccessivo clima di sospetto tra i vari stati e una leadership confusa e contraddittoria dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. La nota positiva è che gli aspetti economici sono stati gestiti tempestivamente e con misure efficaci: le principali banche centrali hanno trovato un coordinamento rapido e hanno perseguito politiche di sostegno all’economia. Altrettanto efficaci sono state le politiche fiscali e hanno fatto una grande differenza, sebbene peccassero di coordinamento.”
Vi è però una grande novità, secondo l’ex FMI, che contraddistingue questa crisi dalla precedente: “Qui notiamo una relativa assenza degli organismi internazionali che sono stati i protagonisti del post 2008 mentre le istituzioni europee, che allora avevano avuto un ruolo assai carente, sono emerse in particolar modo e finalmente hanno dato prova di essere un soggetto politico ed economico che può fare la differenza, evitando anche una possibile crisi istituzionale dell’Unione. La Brexit ha fatto bene all’Europa” dichiara “e ancora meglio ha fatto l’inversione di rotta della Germania, che ha accettato di abbandonare le politiche di austerità. Per certi aspetti, l’Italia potrebbe trovarsi in una situazione più favorevole”.
Oltre alle differenze, esistono però anche drammatiche assonanze: “Anche in questo caso il debito pubblico è cresciuto. Per molti paesi si avvicinerà al 100% del PIL, ma l’Italia viaggerà attorno al 160%. L’efficacia delle politiche monetarie e fiscali messe in atto avranno un prezzo che pagheremo in futuro ma erano assolutamente necessarie e inevitabili”.

Vivendo e lavorando a Washington, una doverosa parentesi l’ha voluta dedicare anche alla gestione a stelle e strisce della pandemia
“Ci sono due premesse - continua Sadun -. Prima dello scoppio della pandemia lo stato di salute dell’economia statunitense era molto buono. Ciò ha permesso di sostenere con meno difficoltà l’impatto devastante delle restrizioni e ne faciliterà la ripresa. Dal punto di vista sanitario, l’amministrazione Trump non è stata in grado di gestire bene la situazione, soprattutto a livello mediatico: i sondaggi parlano chiaro, ma al di là della percezione non si è comunque lasciata abbandonare a decisioni catastrofiche, come quelle messe in atto da paesi come il Regno Unito, il Brasile e la Svezia”. Secondo l’economista, però, i pochi aspetti positivi verranno compensati in negativo dal prematuro allentamento delle restrizioni (confermato dalla seconda ondata di contagi) che rischia di rallentare se non compromettere una futura ripresa.
Per quanto riguarda i possibili scenari geopolitici futuri, continueremo ad assistere a continue tensioni fra le tre superpotenze - Cina, Russia e Stati Uniti - andando a contrastare sempre più con lo stile e la sostanza delle relazioni internazionali che prevalevano dal dopoguerra sino ai tempi più recenti. Tuttavia, ci ricorda che “la pandemia non ha creato la crisi delle relazioni globali ma ha accentuato delle contraddizioni preesistenti. Una delle vittime di questa crisi è stata la globalizzazione e il multinazionalismo: alcune delle posizioni potranno essere riassorbite in parte, ma sono convinto che ci stiamo dirigendo verso una nuova fase: la globalizzazione non sparirà ma sarà fortemente ridotta”.
Ed è proprio qui che l’Europa potrebbe avere un ruolo fondamentale nel futuro panorama globale: “L’Unione Europea ha dato prova di esistere, inaspettatamente quanto chiaramente, ed è destinata a mantenersi. Ha ritrovato una certa coerenza ed è riuscita ad affrontare una crisi mondiale. Questo può creare delle solide basi per il futuro, anche in termini di alleanze strategiche”.

Una nota alquanto meno ottimistica emerge analizzando il panorama italiano. Sebbene riconosca l’importanza delle diverse misure emergenziali messe in atto, come il sostegno al reddito dei lavoratori, l’ex direttore esecutivo denuncia la mancanza di visione strategica che caratterizza l’Italia da molto tempo. “il problema non si risolve agendo semplicemente sull’emergenza. Continuiamo a rimanere un paese che non cresce. Vorrei vedere nelle prossime settimane, più che misure concrete e immediate, una vera e propria strategia”.

Le prospettive, dunque saranno inquiete e due in particolare gli ostacoli maggiori: “Adattarsi ai mutamenti richiede flessibilità e istruzione e l’Italia non le possiede entrambe. Abbiamo una classe lavorativa poco istruita e formata, il tasso di istruzione superiore e universitaria tra i più bassi d’Europa - asserisce - abbiamo un paese che non è in grado di adattarsi ai mutamenti, affrontiamo le situazioni emergenziali ma dopo che ci siamo assicurati un livello minimo di sopravvivenza non riusciamo a fare alcun passo avanti. Questa crisi - conclude - ha scoperchiato una dicotomia tra due classi: chi ha un’istruzione e chi non l’ha: chi possiede competenze è stato in grado di adattarsi alle trasformazioni. L’Italia è stata carente, è necessario investire molto su questi aspetti”.