Cultura | Intervista

Diversità stimolante

Fino al 30 settembre una mostra proposta dall'artista Stefano Cagol trasforma il MUSE a Trento in uno spazio di discussione aperto alle più differenti contaminazioni: arte e scienza si intrecciano per stimolare un'attitudine mentale alle differenze, oltre la biodiversità.

Il contesto della mostra Be-diversity è molto speciale: esponi arte contemporanea in un museo di scienze naturali. Secoli fa le due discipline erano maggiormente connesse. Oggi invece pochi artisti e scienziati si impegnano per un dialogo comune. Secondo te cosa possono imparare queste discipline l’una dall’altra?

Stefano Cagol: Al contrario io penso che ormai non ci sono più tanti confini tra le varie discipline di ricerca. Sicuramente l’arte, diciamo l’arte interessata, quella che si occupa del nostro tempo, si relaziona sia con la scienza, su questo no c’è dubbio, sia con la tecnologia. L’arte è tecnologia. Quindi anche in riferimento alle problematiche attuali la scienza e la ricerca sono fondamentali per l’arte. L’arte può essere anche molto utile, perché indaga in modo più visionario rispetto alla scienza

Il titolo “Be-diversity” e un neologismo tuo, potresti spiegarne il significato?

S.C.: Quando è nata la possibilità di fare questo progetto, ho ripreso questa nozione che avevo inventato per un seminario da me tenuto presso il Goldsmith College a Londra. Si trattava di un seminario che era dedicato al vedere come strumento critico. Io volevo giocare con la nozione di biodiversità, una parola di uso comune, riconosciuta da tutti come una cosa importante, degna di essere protetta. Volevo creare una situazione più ampia e più visionaria, togliendo il “bio” e mettendo il “be” - cioè l’essere. Secondo me il termine può essere molto utile rispetto ai momenti che stiamo vivendo, immersi in questa globalizzazione che tende a volere uniformare, quando invece le differenze sono molto importanti, anzi sono un valore. Come a volte potrebbero anche essere a volte un valore i confini. Nei confini si manifestano le relazioni tra le cose. L’espressione Be-diversity infatti mi piaceva, perché per esalta la diversità!

Questa mostra nasce in concomitanza con l’Expo di Milano…

S.C.: Sì, infatti, io volevo creare una visione diversa e più critica rispetto a un Expo che tendenzialmente si occupa di vendere. Anche se il concetto di nutrire il pianeta è importantissimo, tuttavia poi si riduce a un grande centro commercial, piuttosto che risolvere dei problemi fondamentali. Infine quello che prevale in Expo è l’aspetto capitalistico. Per questo motivo penso che la mostra sia molto interessante, perché da una visione più critica in relazione ai numeri e ai dati di quello che sta succedendo sul nostro pianeta. Questi numeri sono veramente allarmanti, pensiamo allo spreco alimentare. L’equilibrio del pianeta è in pericolo. Molte cose ci sembrano irreversibili e la politica è sempre troppo lenta rispetto alla velocità di reazione della popolazione. Al Muse sono esposte molte opere visionarie, che danno stimoli, che ci incitano a pensare, vicino alle quali ci sono panelli con dati reali, statistici.


Parlando di dati, anche la piattaforma online raggruppa sia le informazioni in mostra, informa degli eventi, sia colloqui che sono avvenuti nell’ambito della mostra.

S.C.: Ho invitato persone, non solo artisti, anche intellettuali e scienziati per discutere sulle tematiche trattate. La piattaforma è un progetto aperto. Sarà a sua volta la base per il libro che pubblicheremo e raccoglierà la documentazione della mostra. Comprendere e seguire il valore della diversità è una cosa importante, pensiamo ai movimenti migratori dei nostri tempi. Questa paura del cambiamento del panorama umano, la paura delle religioni e delle culture diverse è reale, e si deve mettere in discussione. Infatti queste cose, queste modificazioni sul pianeta, sono sempre successe. Anche gli Italiani sono migrati in massa, forse sembrano condizioni diverse, ma infondo non lo erano.

Be-diversity è la prima mostra che hai affrontato come curatore. Quali sono state le sfide? Come è stato il processo curatoriale?

S.C.: La proposta che ho fatto al Muse non mi ha è costata molta fatica. Tutte le opere sono di artisti che conosco personalmente, che ho incontrato negli ultimi anni. È stato un processo dove sono andato a pescare nella mia esperienza personale. Sono opere che si sono composte come se fossero frutto un'unica visione, come se tanti punti di vista diversi creassero una visione unica. Essendo artista il rapporto con gli altri artisti è stato molto diretto. 

Nella tua pratica artistica quale importanza hanno l’ecologia, l’ambientalismo e la sostenibilità?

S.C.: Non sono militante come molti artisti che sono anche attivisti. L’attivismo spesso perde di vista l’aspetto estetico dell’arte e diventa puro processo concettuale. Invece secondo me l’arte, proprio attraverso la visione, può mostrare il mondo e le problematiche che ci riguardano anche oltre i fatti stessi. Sono tuttavia sempre più contrario al fatto che l’arte sia fine a se stessa, che la ricerca artistica sia esclusivamente formale. Se le due cose si fondono, l’aspetto politico risulta più interessante e più utile, proprio attraverso la ricerca visiva si stimola il pensiero.

 

Il finissage della mostra Be-diversity si terrà il 25 settembre in occasione della “Notte Europea dei Ricercatori”. Alle 17.00 Stefano Cagol accompagnerà gli spettatori in una visita guidata, quindi l'artista e curatore raccoglierà, cuocerà e condividerà con il pubblico le patate "illegali", non iscritte nei registri europei per la commercializzazione e minacciate di estinzione, coltivate al MUSE durante la mostra e parte dell'installazione "The order of patatoes" dell'artista svedese Asa Sonjasdotter