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"Malati di Parkinson abbandonati"

Il reparto di Neurologia di Bolzano è nel caos. La presidente dell'associazione Alessandra Zendron denuncia lo stop ad un modello di cura elaborato per tre anni e approvato da tutti. Perché ora si importa un costoso format olandese?
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Foto: Parkinson Attualità
  • Tra tutte, le malattie neurologiche sono quelle che, oltre a causare grandi sofferenze ai pazienti, hanno forse un impatto maggiore sui nuclei familiari. La scia di dolore e cupa disperazione che si porta dietro una diagnosi di Parkinson o Alzheimer, per citare le più note, la possono comprendere, oltre ai malati, solo coloro che poi li accompagnano per anni, spesso per molti anni. I “familiari curanti”, o caregiver, vedono i loro cari trasformarsi e perdere progressivamente le facoltà cognitive e motorie. Li vedono spegnersi  piano piano. La diagnosi arriva cioè come la lama di un coltello che si conficca nella pelle per un paio di centimetri, e poi resta lì, immobile fino all’ultimo respiro della persona amata, con il dolore che  diventa la normalità e il sollievo per le piccole “vittorie” quotidiane l’eccezione. 

    Ciò significa, per fare un solo esempio che andremo ad approfondire, che se i malati di Parkinson in Alto Adige sono “circa” 1500 (e pare che siamo l’unica provincia italiana dove esiste solo una stima, invece di un numero preciso), il numero di quanti si vedono la vita stravolta anche indirettamente dalla malattia va almeno raddoppiato. Parliamo dunque di tremila persone che, come vedremo, da anni si sentono abbandonate dai vertici della sanità altoatesina in una sorta di limbo a provare il – finora -  inappagabile desiderio di vedere non Dio, ma almeno un miglioramento della loro condizione assistenziale.

    Sabato scorso la notizia del caos all’interno del reparto di neurologia, con le dimissioni del facente funzioni Igor Florio seguite a quelle del primario Francesco Teatini, ha avuto quindi una grande eco, oltre che tra chi lavora nel settore sanità, anche in molte famiglie dei pazienti neurologici. Che sono tantissimi. Si sono fatte vive con SALTO varie persone, interne ed esterne al mondo della sanità, e il quadro che ne è uscito ascoltando queste voci semplicemente lascia sbalorditi, increduli e colmi di rabbia. E’ molto più che una sensazione quella che il disastro che si sta verificando in alcuni ambiti della sanità altoatesina – ribadiamo, in ALCUNI – a fronte della montagna di denaro a disposizione del settore, ormai più alta di un Ottomila, sia frutto unicamente dell’incapacità dei vertici di mettere il bene dei pazienti sempre prima di tutto. 1,7 miliardi di euro dovrebbero, infatti, essere una quota di denaro sufficiente per garantire cure di ottimo livello a meno di mezzo milione di persone. Ma, inspiegabilmente, in certi ambiti non è così.

  • Associazione Altoatesina per il Parkinson e malattie affini: Alessandra Zendron è la terza da sinistra, qui con tre componenti del direttivo. Foto: TV33
  • Il Parkinson, si diceva. Facendo qualche veloce ricerca online, su SALTO o sull’Alto Adige, a partire dal 2017 si leggono vari titoli tipo “Pazienti in fuga da Bolzano”. Esattamente un anno fa, Alessandra Zendron, presidente dell’Associazione Parkinson, sul quotidiano di via Volta, commentando una lettera disperata di un famigliare, denunciava una situazione già allora drammatica: “I malati si sentono abbandonati”, diceva, augurandosi che Hubert Messner, “se diventerà assessore alla sanità” ascolti il grido di dolore delle famiglie.  “Manca la riabilitazione – si leggeva ancora - fondamentale per non peggiorare le già precarie condizioni di salute dei malati che rischiano di perdere l’autonomia. Praticamente impossibile accedere alle terapie fisio-ergo terapiche o logopediche dell'Asl. Nel migliore dei casi si deve aspettare tra gli 8 -12 mesi dalla prescrizione degli specialisti. Si ha poi diritto al massimo a 2 cicli di 10 sedute, per poi rimanere di nuovo senza cura”. 

    Nel numero di giugno 2024 della rivista Parkinson Attualità sempre Zendron, che prima di fare politica nei Verdi altoatesini era giornalista Rai, scriveva: “Come sapete da più di due anni l’Asl sta preparando Il Percorso diagnostico-terapeutico-assistenziale (PDTA). Da decenni le persone con Parkinson aspettano un modello aziendale per cui chi ha la diagnosi riceva in tutto il territorio le stesse adeguate cure. Si è lavorato da parte dell’Asl anche il coinvolgimento dell’Associazione Parkinson a prevederne la definizione e l’attuazione. Ma da troppo tempo aspettiamo che ciò accada. E nel frattempo i malati e le malate, specialmente quelli che fanno riferimento all’ospedale di Bolzano e dintorni, sono ancora abbandonati a se stessi. Abbiamo aspettato e sperato in un cambiamento. Ma cominciamo a disperare. Negli ultimi tempi molte persone che hanno avuto un aggravamento non hanno trovato nell’Asl una risposta adeguata. E il percorso per l’approvazione e l’implementazione del PDTA, che il direttore sanitario (Josef Widmann, nota di SALTO) aveva promesso sarebbe cominciato anche prima della definitiva approvazione, si è arenato. A Bolzano non c’è la presa in carico, non c’è riabilitazione. Si continua a spedire le persone ai privati con dispendio di denaro e cattivi risultati. Non sappiamo in quale forma sarà approvato il PDTA – e a questo punto SE sarà approvato (a Trento nel 2010 e con modifiche nei 15 anni successivi il PDTA è stato ufficializzato tramite un Decreto della Giunta). Vogliamo che si facciano passi concreti, chiediamo alle autorità politiche e sanitarie che si decida finalmente che le persone con Parkinson abbiano diritto a essere curate dal Servizio sanitario pubblico”. Tutto scritto nero su bianco prima dell'estate.

     

    "La cura principale è in realtà quella di lavorare per mantenere la qualità di vita dei pazienti attraverso una riabilitazione speciale, che sa fare solo il personale appositamente formato”

     

    Siamo in Alto Adige, si dirà, i soldi per la spesa sanitaria notoriamente crescono sugli alberi, e quindi l’Azienda sanitaria sarà finalmente corsa ai ripari alla velocità della luce. Sbagliato. Mentre usciva il numero della rivista, a seguito di forti tensioni mai rese pubbliche, si dimetteva come il primario di Neurologia Francesco Teatini. Dopo un’estate di grande sofferenza per il reparto il 7 ottobre si è poi conclusa la selezione per il nuovo primario con tre medici giudicati idonei secondo una graduatoria già stilata dalla commissione. Per ragioni misteriose, però, i vertici amministrativi hanno fatto sapere informalmente che la nomina non avverrà prima di qualche mese e, forse anche per questo, estenuato da una situazione interna esplosiva, si è dimesso pure il primario facente funzione Igor Florio. Come scritto la settimana scorsa, dunque, il reparto, è di fatto “commissariato” mentre, cosa gravissima, non è neppure in grado di effettuare le “prime visite” e ci sono medici con aspettative all’estero o in smart working "no limits".

    Il  Parkinson è una malattia che viene associata spesso solo alla rigidità muscolare e ai forti tremori delle mani,  ma in realtà causa grandi sofferenze sconosciute ai più, compresi, in fase avanzata, stati allucinatori. Quali sono, dunque, i problemi maggiori per i malati del capoluogo? “Da qualche tempo – spiega Zendron a SALTO, in una lunga chiacchierata - si è capito che, oltre alle pillole, la cura principale è in realtà quella di lavorare per mantenere la qualità di vita dei pazienti attraverso una riabilitazione speciale, che sa fare solo il personale sanitario appositamente formato”. Il paziente, in sostanza, attraverso una sorta di lotta partigiana contro la malattia fatta di particolari esercizi di fisioterapia, logopedia ed ergoterapia accuratamente dosati, riesce ad allungare la “resistenza” del corpo e della mente e a rallentare la progressione della malattia. Per fare solo un esempio indicativo, l’associazione offre ai malati la possibilità di fare Tai chi chuan una volta alla settimana. Un’iniziativa che ha del poetico (cfr Parkinson Attualità di giugno) ma che porta soprattutto anche grandi benefici ai pazienti.

  • Tai Chi Chuan: Un momento degli esercizi Foto: Parkinson Attualità
  • “L’importanza della riabilitazione è stata resa chiara a tutti soprattutto grazie ad un convegno che abbiamo organizzato nel 2016. Fino a prima sembravano fantasie, ora l’efficacia di tutte queste pratiche è dimostata, ma si fa una grande fatica ad ottenerle con continuità. Quando un paziente vive lo choc della diagnosi, deve poi cominciare subito le terapie e ci sarebbe bisogno di un accompagnamento da parte dei neurologi ma per le carenze di personale ciò non è possibile. Ci dicono: i soldi ci sono, ve li diamo, fatelo voi. Noi facciamo molte cose, abbiamo degli specialisti bravissimi, ma non possiamo sostituirci alla sanità pubblica”.

     

    In Trentino, grazie al lavoro di un team disciplinare, tutti i pazienti ricevono lo stesso trattamento e le stesse cure. In Alto Adige no.

     

    La situazione, senza nessuna esagerazione, può tranquillamente essere definita drammatica. Per una prima visita ci vogliono mesi di attesa, e, per ridurre le liste in un modo al limite del truffaldino, si sono ridotti i tempi di visita da 45 minuti a 30, e a 20 per una visita di controllo. I neruologi considerano i 45 minui minuti il minimo sindacale per effettuare una diagnosi accurata, in molte altre strutture nazionali ed europee non si scende sotto i 60. Qui si è scesi a 30 e nonostante la furbata le liste d’attesa sono ancora lunghissime.

    “Vicino a noi – spiega Zendron - abbiamo un grande esempio positivo che è quello del Trentino che già nel dal 2010 ha allestito due 'ambulatori Parkinson', uno nel capoluogo e uno a Rovereto e grazie al lavoro di neurologi molto appassionati e al confronto con 'familiari curanti' è stato creato un team multidisciplinare composto da specialisti molto bravi che sono venuti anche a Bolzano a fare della formazione”. In Trentino, quindi, grazie al lavoro di questo team, tutti i pazienti ricevono lo stesso trattamento e le stesse cure indipendentemente dall’ospedale al quale si rivolgono. In Alto Adige no.

    “Nel 2021, durante il Covid – racconta l’ex presidente del consiglio provinciale - si è iniziato a discutere il modello di cura e cioè il Percorso diagnostico terapeutico assistenziale, PDTA, che c'è già per tante altre malattie ma qui a lungo per il Parkinson non si è voluto definire. E’ previsto ad esempio un sostegno psicologico che comincia con la diagnosi della malattia che a Trento fanno da molti anni. Quando se ne è parlato ho provato una forte rabbia perché pochi giorni prima due persone altoatesine che avevano avuto la diagnosi di Parkinson si erano suicidate per la disperazione. Nel PDPA in elaborazione sono state previste, cosa importantissima per le persone anziane con il marito o la moglie malati, anche le cure e le sedute di fisioterapia a domicilio. Si prevede poi una diagnosi accurata e non generica, la costituzione di un team multidisciplinare, ed anche un case manager”.

    E cosa ne è, dunque, di questo PDTA? “Sono passati quasi tre anni dai primi incontri e da questa primavera non è successo più niente. Ci dicono che il problema è la traduzione perché è stato redatto in italiano, ma non mi sembra plausibile. Ho sentito che a Bolzano si sta pensando di seguire un modello ideato dal neurologo olandese Bas Bloem. Si tratta di un medico bravissimo, le cui proposte io ho studiato circa dieci anni fa. Il problema è che il modello, oltre che tagliato sulla sanità olandese diversissima dalla nostra,  è molto costoso da applicare. Ma questo in Alto Adige è un pregio, perché da noi più le cose costano, meglio è. Davvero però non si vede come questo modello si possa applicare alla nostra realtà”. (L'esperienza è nota internazionalmente come ParkinsonNet. Qui ci si può fare un’idea di cosa sia).

  • Ospedale di Vipiteno: I malati bolzanini devono recarsi in Alta val d'Isarco per la riabilitazione Foto: Sabes
  • “Bloem – spiega Zendron - ha creato una rete che prevede lo scambio di informazioni tra i terapisti, medici, inferimieri. Ma da noi in Alto Adige è inutile che si faccia la rete perché manca la base, i medici, e manca l’elaborazione di un percorso PDTA tagliato sulla nostra realtà. Del lavoro di coordinamento per la realizzazione del PDTA era stato incaricato l’ospedale di Vipiteno, che è un centro di neuroriabilitazione di alto livello, con medici come il primario facente funzione Luca Sebastianelli o il dottor Davide Ferrazzoli che, oltre ad avere grande cura per i pazienti, sono anche degli scienziati che effettuano ricerche importanti e riconosciute a livello internazionale. Il principio del PDTA sarebbe quello che l’ammalato possa ricevere la stessa cura a Vipiteno, a Merano, a Brunico e anche a Bolzano. Lascio il capoluogo per ultimo perché è l’ospedale dove proprio non c'è nulla di tutto quello che stiamo dicendo”.

    Ma poi cosa è andato storto? “Il modello di cura elaborato con il coordinamento dell’equipe di Vipiteno - continua Zendron - è stato approvato da tutti, anche dal professor Peter Pramstaller che è uno dei fondatori della nostra associazione. Ed è stato anche lodato a livello internazionale, ne hanno parlato benissimo in Australia, Israele, ovviamente in Europa e Stati Uniti. Ma niente, non si capisce perché tutto si è fermato, e oggi ogni ospedale fa un po’ come vuole. Non dovrebbe essere un problema di risorse perché sono molti anni che mi sento dire: lei non si preoccupi per i soldi, quelli ci sono”..

     

    "I malati sono spediti nelle cliniche private convenzionate che però non sono pronte per dare ciò di cui i malati di Parkinson hanno bisogno".

     

    Ma non è finita. C’è un’altra iniziativa misteriosamente tramontata, e a questo punto non è neppure troppo difficile immaginare il perché. “Su nostra spinta – racconta Zendron – il gruppo di Vipiteno aveva proposto di fare anche a Bolzano una neuro-riabilitazione specifica per il Parkinson. Inizialmente non si trovavano gli spazi, poi gli spazi sono stati trovati. In nostra presenza il dottor Ferrazzoli è stato incaricato di fare una lista dei materiali e dei macchinari necessari per allestire lo spazio e poi improvvisamente è sorto il problema che non si potevano spostare i fisioterapisti da Vipiteno e non so cos’altro. Il progetto è stato chiuso prima di essere avviato. Il 10 ottobre ci hanno detto che uno spazio è stato allestito a Vipiteno. Solo che per chi abita nel capoluogo è quasi sempre una grande fatica arrivarci con mezzi propri”.  

    In sintesi, abortita l’idea di avere uno spazio al San Maurizio, ai malati di Parkinson del capoluogo e della Bassa Atesina bisognosi di cure riabilitative resta questa scelta: o 70 minuti di macchina fino a Vipiteno o andare nelle cliniche private convenzionate che però non sono pronte per dare ciò di cui i malati di Parkinson hanno bisogno. "Fanno riabilitazione - chiarisce Zendron - un’ora al giorno e poi il malato viene lasciato a letto come se si fosse rotto una gamba. Ma per un malato di Parkinson non c’è nulla di peggio che stare fermo a letto tutte quelle ore”. Quindi ora l’associazione spera in una convenzione con la Croce bianca per consentire ai pazienti di recarsi in una sorta di pellegrinaggio periodico nel “santuario” di Vipiteno.  

    Per Zendron “questo forsennato ricorso alla privatizzazione della sanità fa male a tutti perché chi non ha i soldi si sente mal curato, anche se magari non è vero. Nei nostri ospedali ci  sono reparti che funzionano bene e medici bravissimi. Però bisogna vedere se li lasciano lavorare e se non scappano tutti. Le malattie croniche vanno curate grautitamente dentro gli ospedali, perché solo con la continuità di cura si può rallentare la progressione della malattia. E una persona non si può impoverire se è affetta da una malattia cronica. Molti tra quelli che non trovano il sostegno nella sanità pubblica vengono dalla nostra associazione. Però noi un servizio continuativo non lo possiamo fare”. Zendron racconta infine delle grandi difficoltà di gestione, delle fatiche prodotte dalla burocrazia, delle voci di bilancio che improvvisamente vengono tagliate dalla Provincia, della difficoltà di trattenere i volontari, delle contestazioni da parte degli uffici di certe spese per il personale.  Meglio stendere un velo, per ora.

    La chiacchierata si conclude con una domanda di rito, per avere un dato da inserire in un box. La risposta è, però, di quelle che dovrebbero aprire qualche squarcio nelle coscienze di chi prende le decisioni, ma probabilmente non sarà così, Zendron continuerà ad essere vista come fumo negli occhi e vincerà ancora una volta la ormai proverbiale  permalosità delle istituzioni locali.  “Il numero dei soci? 500 ed è un numero in forte aumento". Zendron si ferma, sospira, abbassa lo sguardo e poi riprende. "E per questo io mi sento proprio sopraffatta, mi spiego? Quando uno presiede un’associazione culturale o sportiva l’aumento dei soci crea gioia, è un successo. Noi siamo ovviamente felici di aiutare sempre nuove persone ma che il numero di malati che si rivolgono a noi sia così in crescita genera in me anche una forte angoscia”.  

    A sbobinatura praticamente conclusa, arriva un’ultima precisazione da Zendron, ed è di quelle che fanno cadere definitivamente le braccia.  “La situazione – scrive - è ancora peggiore di quella che pensavo. Mentre si aspetta che finalmente venga pubblicato e si cominci ad attuare il Percorso diagnostico terapeutico assistenziale approvato l'anno scorso dopo 3 anni di lavoro di moltissime persone, in dicembre la ASL organizza un megacongresso con cui si vuole introdurre un altro contenitore. Nessuno sa spiegare come questo si relaziona con il PDTA che in tutte le altre regioni costituisce il riferimento per la cura del Parkinson e la formazione dei terapisti. L'Associazione altostasina Parkinson non è stata invitata. Se il PDTA venisse implementato finalmente anche in Sudtirolo ci sarebbe per le persone con Parkinson una cura adeguata. Invece così il lavoro fatto in tre anni sarà ignorato”.  

    Sulla base di quanto raccontato da Zendron abbiamo posto all'Azienda sanitaria una serie di domande, che, su richiesta, abbiamo inviato per iscritto. L'elusiva risposta la si può leggere nel box che segue. 

  • Le domande di SALTO e la non risposta dell'ASL

    Queste le domande che SALTO ha inviato all'ufficio stampa dell'Asl nella persona del direttore sanitario Josef Widmann affinché replicasse alle critiche espresse dall'Associazione Parkinson. 

    1. Che fine ha fatto il modello di cura per il Parkinson? Si intitola così l’editoriale dell’ultimo numero della rivista Parkinson Aktuell scritto da Alessandro Zendron. Malati e loro famigliari sono disperati e si sentono abbandonati a loro stessi (tutto scritto nero su bianco). A voce Zendron ha aggiunto che gli anni passati da quando è stato consegnato il testo del PDTA sono diventati tre. La motivazione ufficiale sarebbe che non è terminata la traduzione. Dal momento che questa motivazione è semplicemente assurda, in Alto Adige, qual è la vera motivazione per cui manca ancora questo PDTA che garantirebbe ai malati della Provincia un trattamento uguale in tutti i comprensori?
    2. Zendon riferisce che sono stati mossi i primi passi per l’adozione di un metodo olandese del medico Bas Bloem, che è molto, molto costoso, e tagliato sul modello sanitario olandese, che è diversissimo dal nostro. Perché si è deciso per questo metodo? Cosa vuol dire molto costoso? Questo metodo andrebbe a sostituire il PDTA o sono due cose complementari?
    3. Sempre Zendron ha raccontato che fino ad un anno fa sembrava imminente l’apertura di uno spazio presso l’ospedale di Bolzano gestita dal gruppo di medici di Vipiteno, molto apprezzato a livello internazionale. Lo stesso gruppo aveva elaborato un modello di cura molto avanzato e gradito dai malati e dalle loro famiglie. Perché si è fermato tutto? Per le solite disdicevoli invidie di alcuni medici (questa è una mia personale deduzione)?
    4. Per fare finta di trovare soluzioni alla carenza di personale (o di personale presente, ma in periodi di lavoro all’estero, o in smart working) si è ad esempio ridotto il tempo delle prime visite da 45 minuti a 30. Quindici anni fa si facevano ancora 60 minuti. Per lei questa è una via rispettosa dei diritti dei pazienti per ridurre i tempi di attesa? I tempi di attesa peraltro sono comunque semplicemente irreali, per un’azienda sanitaria collocata in Europa. Mi può spiegare, infine, come mai il concorso per il primario chiuso il 7 ottobre e ci vogliono “alcuni mesi” per arrivare alla nomina? Visto che la situazione è semplicemente disperata che cosa pensa di fare l’ASL per porre fine a tutto questo?

    Questa la risposta dell’Asl. 

    L’Azienda sanitaria è consapevole delle problematiche, che attualmente si presentano nell'assistenza per i pazienti affetti dal Morbus Parkison. Ci dispiace che ci siano stati dei rallentamenti nella predisposizione del Percorso diagnostico-terapeutico-assistenziale (PDTA). Siamo impegnati e lavoriamo intensamente accanto ai rappresentanti dei pazienti per adattare i percorsi di cura dedicati al Parkinson."

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Gasteiger josef Gio, 10/24/2024 - 08:59

Das ist wohl nur die spitze des eisberges, der da heißt: unser öffentliches gesundheitswesen ist selber chronisch krank, leider und die privatmedizin lacht sich ins fäustchen und fischt in den reihen der guten ärzte. Nutznieser dieses desolaten zustands sind auch die privaten krankenversicherungen. Ironie dabei: der KVW hat vor einiger zeit in der verbandszeitschrift für eine private krankenversicherung werbung geschalten statt sich vehement für eine massive verbesserung des öffentl. Gesundheitswesens einzusetzen.

Gio, 10/24/2024 - 08:59 Collegamento permanente
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Frei Erfunden Gio, 10/24/2024 - 19:25

was , frage ich, wird in bozen konkret gemacht um dem demographischen wandel entgegenzuwirken?
mir fällt nichts ein, ehrlich.
die stadt ist nicht attraktiv für junge leute die sich mit ehrlicher arbeit etwas aufbauen wollen.
junges pflegepersonal, junge ärzte, junge kindergärtnerinnen, viele ziehts nach innsbruck oder sonstwohin.
die svp bedient lediglich eine lobby von investoren, hoteliers und unsere landschaftspfleger, die obstbauern.
gutgestellte private vermieter versuchen den maximalen gewinn aus ihrem betongold rauszupressen; als einwand hört man darauf wohl: jø und? wøs ischb zemm følsch drun?
kulturmäzene beweihräuchern sich selbst mit privatstiftungen, es wird lustig mit Franciacorta unter sich gefeiert.
es wird gepacktlt und freunderlgeschäfte werden abgeschlossen.
jø und? fahlts dir? passt sell a net?
nein, und weniger aus einem moralischen Gesichtspunkt, als vielmehr aus der gewissheit , dass wir mit dieser idiotischen raffgier unsere natur unwiederbringlich verbauen, unser gesundheitssystem und sozialsystem an die wand fahren, unsere jugend an attriktivere städte verlieren.
millionenschwere geräteparks, OP trakte , (plessi)museen, werden von niemandem bedient und geputzt werden, weil sich kein personal dafür findet.
die lobbypolitik trägt ihres dazu bei;
in bozen aber gibt es auch sehr viel sehr wohlhabende leute.
was frage ich, machen diese bolzanobene und Weisch's für die stadt?
sehr selten hört man, dass einer jungen familie mit ehrlicher arbeit eine eine schöne und erschwingliche wohnung vermietet wird.
ein privater mäzen der selbstlos und einfach nur aus freude am gemeinsamen stadtleben sagen wir mal ein jugend- und kulturzentrum sponsertfällt mir nicht ein.
in innsbruck , nur um ein beispiel zu nen, gibts die Bäckerei / Kulturbackstube (gespinsert von unternehmerfamilie,ohne grosses aufsehen).
dønn gea holt aussi , muass man sich dann anhören... jedoch,
die bozner bürger, auch die wohlhabenden, werden zu spät aufwachen und sich wundern ,
wenn trotz privater krankenversicherung kaum mehr jemand zu finden ist, der uns in alter und krankheit hilft; man verlässt sich auf die Entwicklung von Robotern , Ki, Prothetik...
lieber als in junges personal im sozialen bereich anzuheueren und zu halten, stopfen wir geld in die idm, in neue mrt maschinen, in bobbahnen, locken noch mehr touristen an, subventionieren mit steuergeschenken riesige hotelburgen und vermieten auf airbnb.
jø und? konnsch jø gian!
und servus.

Gio, 10/24/2024 - 19:25 Collegamento permanente