Cultura | Intervista

“Il teatro è studio delle emozioni”

L’attore bolzanino Paolo Tosin racconta la sua esperienza in giro per il mondo tra corsi per bambini e spettacoli: “Mi metto in gioco con luci, spazi e musica”.
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Foto: Bartolomeo Eugenio Rossi
  • SALTO: Come ha incontrato il teatro?

    Paolo Tosin: Ho iniziato a Bolzano grazie al Festival Studentesco. Dopo la Maturità, però ho abbandonato l’idea che il palcoscenico potesse far parte della mia vita e mi sono dato alla fisica all’Università di Trento. Nel giro di due anni ho perso l’entusiasmo e la passione per lo studio della scienza, non faceva per me. Ho vissuto un momento di crescita in cui ho deciso di fare un salto nel vuoto, iscrivendomi all’unica accademia teatrale che conoscevo: quella di Venezia. 

    E, con gli anni, è diventato un attore. Cos’ha imparato?

    Il corso triennale offre molto: dalle lezioni di canto a quelle di recitazione con maschera e di realismo psicologico, un’interpretazione attoriale tipica della cinematografia. Ma non solo: mi sono cimentato nella giocoleria e nel combattimento scenico. Così, nel 2019, ho iniziato a lavorare.

  • Paolo Tosin: "Nel 2024 essere un attore non vuol dire solo stare sul palco, ma anche organizzare laboratori teatrali con adulti e bambini." Foto: grazia menna
  • Cosa significa, per un giovane con relativamente poca esperienza alle spalle, lavorare con il teatro?

    È sinonimo di tante cose; prima di tutto significa fare l’attore. Nel 2024, però, essere un attore non vuol dire solo stare sul palco, ma anche organizzare laboratori teatrali con adulti e bambini. E poi, certo, c’è anche il processo di creazione di uno spettacolo. 

    Un lavoro senza orari?

    Sicuramente non è come stare in ufficio. Leggo libri, guardo film, ascolto musica e… mi confronto con altri colleghi. E poi le prove sono lo spazio per sperimentare luci, azioni e musiche

     

    "Nel mio lavoro è essenziale capire l’emotività del personaggio che si porta in scena così da empatizzare al massimo"

     

    Tra le altre cose, appunto, organizza corsi per bambini. Nello specifico, cosa propone?

    Parto da un’atra mia grande passione: la musica. Da qui la domanda: come viene usata la musica nel teatro? Dunque cerco di mostrare ai giovani come si cura l’ambiente sonoro. Nella vita ho anche composto delle colonne sonore. Trasmetto ciò che ho imparato fino ad adesso. Tra i vari laboratori, come quello proposto con la Scuola Eccentrica promosso da Epicentro, infatti ci siamo concentrati proprio sulla composizione sonora. Una classe di alunni delle scuole primarie mi raggiunge in palestra e, dopo una breve spiegazione dei ruoli – come il sound designer o il compositore – si incomincia. Schiaccio play e iniziano a risuonare il cinguettio degli uccelli, il rumore delle onde del mare. Riproduco suoni ambientali insomma. E i bambini iniziano a reagire a questi stimoli uditivi con il fisico. Alcuni fanno surf, altri si sdraiano come fossero  in spiaggia. Successivamente, in cerchio, ognuno racconta la propria versione, dando un personale significato ai suoni. Non ci sono limiti: si gioca con la fantasia. Stessi suoni forniscono immagini ed esperienze diverse. In conclusione ascoltiamo dei brani musicali e qui, allora, ognuno è libero di muoversi e lasciarsi colpire emotivamente dalle composizioni. Si lasciano tutti trasportare.

  • Lo spettacolo in maschera: è intitolato “Nunc” ed è stato portato in scena in Indonesia. È completamente senza parole. Foto: MET/compagniabrat.it
  • Come vive lei questo rapporto con le emozioni e come lo vivono i bambini?

    Il teatro è anche studio delle emozioni. Nel mio lavoro è essenziale capire l’emotività del personaggio che si porta in scena così da empatizzare al massimo. Questo processo aiuta a interiorizzare il proprio ruolo. I bambini, diversamente, che magari passano da una lezione di scuola, di matematica o italiano, al progetto teatrale, penso che lo vivano come un momento in cui essere liberi di buttare fuori le proprie emozioni, capendo come la musica li possa aiutare. Insomma, mi inserisco in un contesto, quello scolastico, e vedo come reagiscono. 

    Parallelamente, lei porta in scena vari spettacoli in giro per il mondo.

    Esatto! Sono da poco tornato dall’Indonesia con la compagnia BRAT. Abbiamo portato sul palco uno spettacolo in maschera intitolato “Nunc”. È completamente senza parole, quindi si gioca con il movimento, gli spazi, i suoni. E potenzialmente possiamo recitare in qualsiasi Paese del mondo. Siamo stati in Slovenia, Germania e forse andremo in Canada.

    Recita anche con le parole?

    Sì, come nello spettacolo “Resterò per sempre nella foto di uno sconosciuto”. Questo è molto diverso dal primo. Si instaura una relazione col pubblico, un dialogo. Si parla di morte in modo ludico, senza perdere di profondità. Il pubblico, insieme a chi sta in scena, affronta le diverse fasi del lutto: lo shock, la negazione, l’accettazione. È uno spettacolo in cui si stimola l’intelletto con vari giochi. Sul palco, ad esempio, ci sono vari oggetti che appartengono a una storia scioccante appartenente all’immaginario collettivo. Piano a piano il legame col pubblico si affievolisce e lo spettacolo termina con un monologo. La dimensione della morte è condivisa da tutti, ma è anche un’esperienza intima, che ognuno prova per sé. Come quella del dolore. Da un momento comunitario si finisce con una singolarità.

    E qual è il punto d’arrivo?

    Ad esempio la speranza. Dopo le varie fasi del lutto, del buio della morte, non si può che terminare con la luce e leggerezza, per dare un senso di sollievo dal grave peso che può dare un tema come la morte. Lo spettacolo non ha una vera e propria trama: è un’esperienza, una condivisione. Lo porteremo anche a Bolzano, nel 2026.