A Memory Machine
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Sono stati invitati quattro artisti: Sara Maino con l’installazione “Reti del discorso”, Patrizio Mimiola con improvvisazioni acustiche collettive “Sotto la torre, fuori e dentro il paesaggio”, Satan Is My Brother con l’installazione “How Deep Can You See” e Tiziano Popoli con l’installazione “Mnemosine – A Memory Machine” e una live elettronics di cui si riporta la recensione.
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Il luogo: il bastione centrale di Castel Beseno. A destra dello scalone che conduce al cortile interno la presenza di un’acquasantiera in pietra richiama il momento spirituale e meditativo di Mnemosine – A Memory Machine, installazione di Tiziano Popoli. La scala a incanalarci in un percorso sonoro richiamante il lamento di animali fantastici, il gracidio di rane, voci lontane, sconosciute, suoni etnici e discorsi balcanici che si mescolano al vociare del pubblico. La vista si fissa sulla personificazione della memoria che Popoli affida, quali sue muse, a sedici registratori a bobine o, per meglio dire, sedici magnetofoni, strumenti di riproduzione sonora utilizzati in ambito domestico negli anni Settanta-Ottanta. Tecnologia obsoleta, memoria di un passato che si riafferma per volontà del compositore che propone, quale inizio di performance, frasi sonore ripetute da ciascuno dei sedici registratori che tra di essi interagiscono, miscelano e creano timbri e colori cacofonici ed eufonici. Da scatole colme di nastri il musicista emiliano estrae casualmente dei loop, anelli di nastro appositamente realizzati a lunghezza variabile, contenenti materiali melodici molto eterogenei, molti dei quali provenienti da supporti magnetici recuperati nei mercatini del modernariato o nelle isole ecologiche. Questi sono letti senza interruzione dai registratori che rimandano, ciascuno, la propria giaculatoria. Meditazione sonora. Un mantra casuale, un loop reiterato che muta la propria cadenza, il proprio respiro nell’interazione ciclica dei suoni – come pianeti in orbita attorno a una stella – a suggerire la traiettoria di un oscuro, brulicante e indefinibile viaggio sonoro in lenta evoluzione.
Memoria persa, dimenticata ma rivelatrice di una propria esistenza compiuta.
Quest’incontro di suoni casuali si innesta nella prospettiva indicata dal compositore americano John Cage, secondo il quale, non esiste un ascolto estetico nel senso che ogni suono ha una sua propria bellezza e necessarietà. Necessarietà intesa come ingrediente all’ascolto del mondo. Secondo Cage, infatti, non esistono suoni belli o brutti, non vi è alcuna classifica nei suoni. Popoli, con la sua performance, enfatizza anche la perdita di informazioni che avviene nel passaggio da una tecnologia all’altra. Quando una tecnologia viene soppiantata dalla successiva si buttano i supporti che l’hanno sostenuta. Si gettano registratori, computer, cellulari, contenitori di memoria, sociale, collettiva ma anche familiare. Memoria persa, dimenticata ma rivelatrice di una propria esistenza compiuta. Ricordiamo i nostri immigrati analfabeti che, da continenti lontani, spedivano alle proprie famiglie messaggi registrati su quelli stessi registratori “Geloso” protagonisti dell’installazione.
La performance riflette l’idea che tutto è in lento divenire e si srotola in un processo imprevedibile e compiuto.
Andando alla ricerca di magnetofoni e di nastri, nei mercatini e nelle isole ecologiche, Popoli entra in contatto con memorie e vite private fatte di dialoghi, racconti e voci. Suoni e parole prive di volto, senza mittente e destinatario ma con una loro propria dignità, un proprio vissuto. Il passaggio dalla tecnologia analogica a quella digitale ha provocato una grande perdita di memoria, di unione e di fratellanza. Durante la performance, l’artista emiliano, interseca alla trama dei loop casuali anche una sua improvvisazione live. A fine installazione Popoli, per sottrazione, scompone e seziona l’universo di suoni realizzato in un singolo suono quasi un gemito disarticolato, un’emozione di piacere e sofferenza. La performance riflette l’idea che tutto è in lento divenire e si srotola in un processo imprevedibile e compiuto. Da ultimo rimane infatti un unico suono che si conficca come un pugnale nell’ascoltatore. Il nastro magnetico si tramuta in caduco ricordo, in memoria fragile, delicata, effimera che con il trascorrere del tempo muta le proprie caratteristiche sonore fino a svanire o per la sua stessa rottura o per lo spegnimento pianificato da parte dell’artista. Si dissolve anche quell’ultimo suono sovrastato dal silenzio e dall’oscurità della notte a chiudere l’intera azione.