Cultura | Storia

Ufficio italianità

In un volume l'esito delle prime ricerche sull'attività postbellica dell'Ufficio zone di confine

Sin dagli albori dell'Ottocento, quando sulle nostre terre di confine si sono affacciati per non più abbandonarle i seminatori di odio e di violenza legati alle ideologie nazionaliste, la storia è divenuta inevitabilmente arsenale da cui prelevare gli strumenti per una battaglia che continua anche ai giorni nostri. Per decenni la storia è stata come un colossale supermercato di armi dialettiche, nel quale i politici di turno hanno prelevato di volta in volta i fatti e gli argomenti che ritenevano più utili alle battaglie che stavano combattendo in quel momento ed hanno scartato senza pietà tutto il resto, tutto ciò in particolare che finiva per contraddire il loro credo messianico. In questo negozio gli storici, di professione o avventizi che fossero, hanno recitato molto spesso il ruolo dei volenterosi commessi, pronti a fornire quanto richiesto dalla clientela ed anche a confezionare, su commissione o per propria iniziativa, nuovi panphlet da scagliare verso le trincee opposte.

La storiografia della questione altoatesina in particolare è costellata di queste opere, a volte di eccellente fattura e con firme prestigiose del mondo universitario, in altri casi mediocri e abborracciate, molto spesso di pessima realizzazione, poco più che invettive rabbiose. Indifferente la lingua. Il reato di lesa verità storica si è consumato in egual misura in tedesco o in italiano.

Negli ultimi decenni, però, qualcosa lentamente è cambiato. Alla ribalta della ricerca storica si è affacciata una nuova generazione di studiosi, molto meno compromessi sia dal punto di vista umano che professionale con gli schieramenti che si sono dati battaglia nei periodi precedenti. Certo qualche storico "militante" continua a pubblicare, indifferente a tutto e a tutti, le proprie corbellerie, salutato con fragorosi applausi e grida di trionfo dai propri sostenitori, ma ormai rappresenta un fenomeno abbastanza isolato. La nuova generazione di studiosi si caratterizza, oltre che per un equilibrio professionale nel trattare la materia anche per un rispetto molto maggiore che in passato di ciò che per gli storici rappresenta un elemento imprescindibile e vitale: la verità che emerge dagli archivi.

In realtà, e stiamo parlando in questo caso degli avvenimenti che segnano la storia altoatesina del 900, le carte più importanti stanno venendo alla luce proprio in questi anni, dopo lunghi periodi passati dietro le porte sbarrate negli archivi di Stato. Molto altro ancora deve essere letto e studiato. Basti pensare a quanto dei bravi ricercatori potrebbero scoprire sulla genesi reale di molte scelte fondamentali nella storia altoatesina nel secolo scorso analizzando gli archivi di Washington, Londra, Parigi e Mosca.

A volte, però, la professionalità e l'acume non bastano. Occorrono anche tenacia e costanza, oltre ad un pizzico di fortuna, per ritrovare ciò che sembrava perduto. È il caso dell'archivio dell'Ufficio zone di confine, cui fu affidata, negli anni immediatamente successivi alla fine del secondo conflitto mondiale, la gestione quotidiana della politica italiana in due teatri critici e fondamentali: quello del tormentato confine orientale nel quale lo scontro italo jugoslavo era anche battaglia tra opposti sistemi politici e quello dell'Alto Adige, "salvato" alla sovranità italiana con l'accordo di Parigi, ma tutt'altro che pacificato. Un archivio scomparso per decenni poi riaffiorato e consultabile grazie all'impegno di uno storico altoatesino, Giorgio Mezzalira. Dall'analisi con le carte effettuata nel corso di questi ultimi anni anche in collaborazione con altri studiosi coordinati da uno degli storici più capaci e sensibili cresciuti attorno al nodo degli avvenimenti nella Venezia Giulia, il professor Raoul Pupo, sono arrivati contributi fondamentali per capire cosa è successo veramente a Bolzano e a Trieste in quegli anni difficili. Due realtà completamente diverse, ma legate da un'infinità di fili che ora la ricerca rende più visibili. Se, sul confine orientale, si trattava di sbarrare il passo a un'avanzata dei comunisti titini che si temeva imminente ad ogni sferragliare di cingoli al di là del confine, a Bolzano il problema era quello di trovare degli equilibri che consolidassero la presenza italiana senza con questo riproporre schemi già sperimentati durante il regime fascista. Il racconto delle attività dell'UZC è dunque quello di una centrale di difesa della cosiddetta italianità, soprattutto attraverso finanziamenti organi di stampa, associazioni, parrocchie, comitati. Un racconto di enorme interesse che adesso prende l'aspetto di un volume intitolato La difesa dell’italianità. L’Ufficio per le zone di confine a Bolzano, Trento e Trieste (1945-1954) a cura di Diego D’Amelio, Andrea Di Michele, Giorgio Mezzalira ed edito, al non lieve prezzo di € 42 daI Mulino. L'altra sera presso la biblioteca dell'Università di Bolzano, la presentazione ufficiale con alcuni tra i relatori e i coordinatori della ricerca. Numerosissimi gli spunti emersi nelle relazioni e delle discussione, ed ancor più numerosi quelli che il libro propone ad un'attenta lettura. Ora, però, l'importante è che la strada tracciata venga ulteriormente battuta ed allargata e che questa ed altre generazioni giovani studiosi continuino ad approfondire, inseguendo archivi nascosti come tesori dei pirati sepolti, o semplicemente studiando le carte disponibili qui o altrove, le vicende della nostra storia più recente, per darne una lettura finalmente sgombra dal pregiudizio e dalla faziosità