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Foto: salto
Politica | Avvenne domani

Ciclostilato in proprio

Quando le sedi di partito, anche a Bolzano, non erano ancora un peso di cui sbarazzarsi.

Nel Partito Comunista degli anni di ferro, quello stalinista di Palmiro Togliatti, uno degli imperativi categorici in base ai quali veniva organizzata l'attività politica era quello che sconsigliava totalmente di prendere in affitto i locali dove allestire le sedi principali. I contributi degli iscritti e le sostanziose sovvenzioni in arrivo da Mosca permettevano di comprare, quando si presentava una buona occasione, le stanze che sarebbero servite, qua e là per l'Italia, come incubatrici dell'inevitabile rivoluzione proletaria.

È questa anche la storia della porzione di casa che si affaccia al numero 6di piazza dei Domenicani a Bolzano. Per decenni è stata la sede del PCI, con tanto di targa ornata da falce e martello all'entrata. Ha ospitato i grandi della nomenklatura comunista, da Berlinguer a Pajetta, in occasione delle non frequentissime visite elettorali a Bolzano. Ha protetto con solide mura il travaglio ideologico di intere generazioni di marxisti leninisti, più o meno fedeli, man mano che passavano i decenni, al credo in arrivo da oltrecortina. Ha vissuto i passaggi epocali della caduta del Muro e della fine di una storia iniziata nel 1919 a Livorno. La falce e martello, sulla targa all'entrata, sono stati sostituiti da una quercia e infine dal "logo" tricolore del PD.

Adesso si chiude.

Nella democrazia 2.0 le sedi di partito, su cui un tempo si investivano gli avanzi di bilancio, sono diventate dei cespiti passivi di cui liberarsi al più presto possibile. Se quella di piazza Domenicani è durata così a lungo, rispetto quasi tutte le altre a Bolzano, è proprio perché era "di proprietà". Le bandiere della politica sono state ammainate già da lungo tempo su altri storici luoghi nel capoluogo altoatesino. Ha chiuso persino i battenti, un paio d'anni fa, la sede missina di via Locatelli che sembrava destinata a durare nel tempo almeno quanto l'arco marmoreo di Piacentini che la sovrasta.

Persino l'unica forza politica rimasta fedele alla forma-partito, la Suedtiroler Volkspartei, cerca ormai da tempo di sbarazzarsi della sede di via Brennero. Si liquidano così le eredità immobiliari di un passato nel quale, invece, le sedi di partito avevano una loro importanza.

Parrà strano a chi è cresciuto in un'epoca nella quale il dibattito politico è ormai quasi del tutto concentrato sui "social", tra un tweet e un post , ma c'è stato un tempo, relativamente recente, nel quale per fare politica occorreva trovarsi di persona, discutere, litigare, votare infine alzando una mano o infilando un pezzo di carta in un'urna di legno. Tutte attività che abbisognavano di luoghi deputati. I partiti vivevano all'interno delle loro sedi, grandi o piccole che fossero. Vi celebravano riti settimanali sempre uguali a se stessi, stagione dopo stagione, anno dopo anno, a Bolzano come a Roma.

Al primo piano dell'edificio di piazza Domenicani , che tra qualche giorno rimarrà vuoto e silente in attesa di nuovi inquilini, il giorno principale della settimana, come del resto nelle altre sedi politiche bolzanine, era il lunedì. Scelta obbligata, non tanto per cominciare nel modo migliore la settimana, quanto perché occorreva convocare le riunioni in modo che potessero parteciparvi anche i parlamentari in partenza per Roma. Nel primo pomeriggio il fuoco di fila delle riunioni era aperto immancabilmente dalla direzione o dall'esecutivo della SVP. Qualche ora più tardi toccava ai comunisti e ai democristiani.

Ho già scritto da qualche parte che mi è sempre parso curioso come la geografia politica bolzanina rispecchiasse allora, in piccolo ovviamente, quella romana. Chi ha percorso i sentieri politici di Roma nella prima repubblica sa bene che poche centinaia di metri separavano, a quel tempo, il palazzone comunista di via delle Botteghe Oscure dall'altrettanto storica sede democristiana di piazza del Gesù. Anche a Bolzano, uscendo dal portone comunista di piazza Domenicani bastava percorrere in pochi passi la via e il vicolo dei Cappuccini e poi un breve tratto di via Isarco. L'ultima casa sulla sinistra ospitava la sede della Dc. Meno risparmiosi e previdenti degli avversari, i democristiani rimasero sempre in affitto e così, quando lo Scudo Crociato si frantumò sotto i colpi di Tangentopoli, la vecchia sede fu una delle prime ad essere sacrificata sull'altare di nuovi equilibri politici. Alcuni fra gli epigoni di quel mondo hanno finito, grazie alla nascita del PD, per chiedere e ottenere ospitalità nella casa degli antichi avversari. Ora, tutti assieme, spegneranno la luce e chiuderanno la porta, lasciandosi dietro una penombra affollata di inquieti fantasmi.

Sono solo, me ne rendo conto, nostalgie piuttosto sciocche per un passato che non può assolutamente ritornare.

Oggi le vere sedi delle forze politiche (uso malvolentieri la definizione di partito) sono le rispettive pagine Facebook. Lì ci si confronta e si discute. Ogni tanto non manca il lusso di una Leopolda, ma con moderazione, senza esagerare. Secondo gli entusiasti dei partiti "liquidi" è un modo che serve a coinvolgere di più anche i non addetti ai lavori. La crescente disaffezione per la politica sembrerebbe dimostrare il contrario.

Una cosa è certa: quelle sedi di partito che si vanno chiudendo una ad una, come botteghe dove si vendeva una merce che nessuno pare più aver voglia di comprare, non sono stati solamente luoghi dove si sono intessute oscure trame politiche o si sono costruite carriere folgoranti e ambigue. Sono luoghi dove, per decenni, si è fatta politica sul serio e dove generazioni intere hanno cercato di costruire qualcosa di buono per se stessi e per gli altri.

Ora cala il sipario. A ricordare quegli indirizzi, tra un po', resteranno solo ritagli di giornale ingialliti e qualche antico volantino con, in calce, la dicitura di legge: ciclostilato in proprio piazza Domenicani 6.