L’Europa è in default?
Siamo di fronte a segnali forti di un progressivo deterioramento dell’idea europeista. La crisi migratoria è solo il detonatore che ha evidenziato l’assenza di strategie comuni e la mancanza di solidarietà. L’opinione pubblica è in preda a nazionalismi e a una voglia di rivincita nei confronti delle élite continentali. Queste spinte, nel novembre dello scorso anno, hanno indotto gli stati europei a siglare a Göteborg una dichiarazione comune chiamata: “Pilastro europeo dei diritti sociali”. Va però detto che questo documento non ha sinora trovato grandi riscontri nell’opinione pubblica, a differenza dei temi legati alla competizione e al libero scambio di persone e merci. Eppure rappresenta una novità nel panorama europeo: si torna a parlare di un’Europa sociale attraverso la proposta di standard minimi su argomenti abbandonati in passato. Tra i punti qualificanti del documento troviamo le pari opportunità e l’accesso al mercato del lavoro, come pure le richieste di condizioni di lavoro eque e di una protezione sociale inclusiva. Viene poi lasciata ai singoli stati ampia libertà di applicazione, fatto che rappresenta purtroppo un limite.
L’esperienza insegna, infatti, che i “buoni propositi” sono difficili da realizzare senza una forte pressione dal basso. Manca l’obbligo di individuare, da parte della politica, gli standard minimi auspicati nel documento. Il rischio è che il tutto rimanga un progetto senza nessun seguito concreto. Inoltre rimane difficile ipotizzare che le forze politiche che vogliono disgregare l’Eu, tra l’altro in crescita, saranno propense ad avviare percorsi utili a ridare ai cittadini e agli elettori fiducia nel progetto d’integrazione europea. Il tempo è quasi scaduto. Nel 2019 i cittadini sono chiamati a eleggere il Parlamento europeo e il clima che si respira va dall’indifferenza più assoluta, all’astensione dal voto fino a forme di aperta ostilità nei confronti delle istituzioni europee. Spetta all’attuale Parlamento avviare le necessarie riforme per evitare che le forze antieuropee, oggi al 30%, non diventino maggioranza. Significherebbe bloccare qualsiasi iniziativa di rilancio del continente in un momento mondiale cruciale e il rischio di avere un Parlamento europeo che lavora per la disgregazione della Comunità.
In questo momento a livello di Commissione si discute su condizioni di lavoro più trasparenti e su come eliminare alcune forme di precarietà inaccettabili, nonché su una migliore conciliabilità tra lavoro e famiglia. Purtroppo, come era facile immaginare, non esiste un’idea comune tra i singoli paesi e ci si avvia verso il solito compromesso politico, che alla fine rischia di lasciare insoddisfatti tutti. Riguardo a questi aspetti, come sindacati, siamo chiamati a svolgere il nostro compito. Siamo da sempre convinti che solo un’Europa unita possa garantirci un ruolo forte nei giochi internazionali. Per questo la Ces, la Confederazione europea dei sindacati, ma anche le singole organizzazioni devono esercitare una forte pressione per realizzare una serie di normative che ridiano ai lavoratori e ai cittadini la certezza sul loro futuro, ormai andate perse. La democrazia nei posti di lavoro, il coinvolgimento dei lavoratori nelle scelte e la solidarietà sono gli strumenti strategici per avviare questo processo. Serve infine un’alleanza tra le forze progressiste, le parti sociali e la società civile per evitare il default dell’idea europea.
La situazione è seria e l’attuale Parlamento europeo deve avviare percorsi nuovi per migliorare le condizioni di vita e di lavoro. Se i cittadini non riescono almeno a intravedere questo processo, o se la discussione si dimostrerà inconcludente, è quasi certo che alle forze politiche europeiste oggi al comando, sarà presentata la quietanza per le scelte sbagliate e la scarsa sensibilità dimostrate nei confronti dei propri cittadini.
Ecco il documento completo: