La senatrice Julia Unterberger si è giustamente lamentata. I commentatori si sono giustamente lamentati. Noi potremmo giustamente lamentarci. Tutto un grande giustissimo e straziantissimo lamento. E poi? Ricapitolo in fretta i fatti, anche se sono probabilmente già noti ai lettori di questa testata (diciamo a quelli più capaci di non annoiarsi). La scena (il poeta direbbe: sempiterna) è quella delle dichiarazioni dei parlamentari (e delle parlamentari) che chiosano (cioè chiosavano) l'elezione del nuovo (cioè del vecchio) Presidente della Repubblica. Escono alla spicciolata i politici, sostano o comunque si fermano brevemente davanti ai palazzi e parlano con i giornalisti, tutti lì pronti coi loro taccuini e i loro registratori per annotare inezie di qualsiasi tipo (tutto fa brodo: si tira fuori un titolo, si tira a campare, soprattutto, e cosa non si fa per campare). La nostra Unterberger – ovviamente, anche se si tratta di una ovvietà ancora abbastanza poco ovvia – si rivolge in tedesco a dei giornalisti di una emittente di lingua tedesca. A questo punto il solito incidente del quale abbiamo tutti le scatole piene: interviene uno (uno, nessuno e centomila) e dice: “Ma come? Auf Deutsch??? Perché auf Deutsch? Qui siamo in Italia e bla bla bla”.
E se io volessi parlare in antico aramaico?
Certo, siamo in Italia (ce lo dice persino Google-Maps). Ma come si parla in Italia? Solo italiano? E se uno/una volesse – se gli/le aggrada, se ne ha la possibilità – invece parlare in cinese, in turco, in portoghese, in aramaico antico (che non è una lingua tra le altre, ma quella in cui furono in origini scritti il Talmud e parte del Libro di Daniele e del Libro di Esdra)? Che facciamo? Obblighiamo questi parlanti a esprimersi sempre in italiano perché qui siamo in Italia? Scemenze. Le solite scemenze. Che però (altra scemenza, forse più grave) fanno ancora notizia. Ma perché fanno notizia? Perché continuiamo a parlare di questa robaccia anche se non ne possiamo più e ci viene la nausea solo a registrare con la coda di un occhio disgustato che siamo ancora lì, inchiodati lì? Se ne può finalmente uscire da questa melma, da queste sabbie scarsamente mobili?
È utile denunciare qualcosa di inutile?
Spiegazioni possibili: il vittimismo diversamente distribuito e diversamente incrociato e, ancorché ammarcito, da taluni considerato una pietanza da servire sempre in tavola (come il cotechino con le lenticchie a San Silvestro, quando tutti già vomitano e nella pancia non entrerebbe manco uno spillo); la mancanza di fantasia; la mancanza di intelligenza; la mancanza di pudore; la mancanza di professionalità. Fate voi. Comunque si tratta di una mancanza che viene costantamente attivata per reagire a una mancanza pregressa (di tatto, di conoscenza storica, di senso civico...). Eppure qui sta l'inganno, esattamente qui sta l'inganno che ci porta a presumere che denunciare qualcosa di inutile sia utile (non lo è, o per usare un francesismo: non serve a una emerita minchia). Già. Ma il nazionalismo? Il fascismo? L'Athesia? Altri cani tematici di Pavlov che aprono la bocca quando il famoso scienziato pone mano al suo stramaledetto campanello. E giù bava a volontà.