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Le 5 fasi del data journalism

Liberation ha un team di 3 giornalisti, una graphic designer ed uno sviluppatore per realizzare nuovi formati.

Alexandre Lechenet ha 28 anni, un’aria da geek e quella sana ironia che gli fa dire «io non me la cavo molto bene con i numeri». Alexandre con i numeri ci sa fare, eccome, tanto che dopo aver studiato informatica e comunicazione si è occupato di data journalism all’interno delle redazioni. Prima ad Owni, poi a www.lemonde.fr ed infine a www.liberation.fr.

Per Liberation parliamo di 6milioni di visite mensili, a Le Monde sono 20milioni. Tanto che da Le Monde hanno mandato dei redattori a Los Angeles per poter gestire meglio il flusso di notizie serali e notturne. A Liberation ci sono cinque persone che si dedicano al data journalism, cercando di collaborare e contaminarsi tra sviluppo, design grafico, storytelling ed analisi dei dati.

Il cursus honorum di Alexandre comincia fra il 2009 ed il 2011 a fare siti in una web agency, quindi l’incontro con il data journalism ad Owni, poi il passaggio a Le Monde nel 2012 per seguire le elezioni presidenziali con Les Decodeurs, occupandosi di fact checking.

A Le Monde partecipa con Icij al lavoro collaborativo di Swiss Leaks, legato alla banca internazionale Hsbc. Quindi comincerà a lavorare anche sui Panama papers, prima di passare a Libé Six Plus, il data team di Liberation. «All’inizio – spiega – il nostro scopo era quello di riprodurre anche online le grafiche delle doppie pagine, i “paginoni” del giornale cartaceo. Poi siamo passati anche alle longforms multimediali ed a brevi video».

Il lavoro sui contenuti fa sì che si pensi anche ai nuovi lettori, per questo è nato “Le P’tit libé”, formato dedicato ai bambini. «Siamo molto presenti sui social media, con 2mila sottoscrittori su WhatsApp e delle sperimentazioni anche su Vine e Snapchat».

Interessante la modalità di invio di link alle principali notizie quotidiane, modalità utilizzata ad esempio anche dal Tiroler Tageszeitung, con la spedizione di 2-3 link ogni giorno ai sottoscrittori.

Lechenet si è quindi soffermato su alcuni progetti realizzati dal team di Liberation. Da un’investigazione sui dati internazionali dei giocatori di rugby dal 1995, quando è diventato uno sport professionistico (www.liberation.fr/apps/rugby), fino all’analisi delle disparità locali nell’applicazione dello stato di emergenza.

«Il data journalism – chiarisce – funziona allo stesso modo del giornalismo: raccoglie, analizza e racconta una storia con informazioni strutturate».

Il lavoro si struttura in 5 fasi. La prima è quella della ricerca dei dati, costruendo un database. Si parte da un foglio Excel e si pensa a cosa si vuole mostrare e come lo si può mostrare. «Per raccogliere i dati si può appellarsi al freedom of information act, oppure attraverso le informazioni già messe a disposizione online. Oppure attraverso leaks. Infine magari si riescono a sfruttare meglio dei dataset non sfruttati integralmente da colleghi».

La seconda parte è dedicata allo “scavare” nei dati, identificando la media, usando tabelle pivot per trovare delle aggregazioni e infine cercare dati particolari che sono al di fuori della media e cercare di trovare una spiegazione.

Al terzo punto viene il report, che comprende il visitare i luoghi dei quali i dati “parlano” e confrontarsi con altre fonti. Al quarto posto viene il racconto vero e proprio della storia: «il data journalism significa prendere i dati come scheletro ed aggiungervi carne e ossa. Ogni elemento di una storia deve avere un suo angolo principale». Infine il quinto punto riguarda l’accesso libero al database utilizzato, affinché altri possano provare a costruire una loro storia.

«Diventa sempre più fondamentale – conclude Lechenet – la collaborazione con altri colleghi, ma anche con ricercatori scientifici ed altri esperti».