Lama Bolzano
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Politics | Accadde domani

Lama Bolzano

Le Acciaierie. Gli industriali che si nascondono e l’eredità Bolkestein.
  • Giorgio Pasquali, eminente uomo politico altoatesino, recentemente rievocato a cent’anni dalla nascita, soleva dire che in questa terra tutti i problemi, alla loro naturale complessità aggiungono quella derivante dalla questione etnica.

    La considerazione vale oggi tanto quanto valeva ieri. Qualche esempio. Un assessore SVP propone di tassare i cani e immediatamente scatta la possibile ritorsione con la tassazione delle mucche (tedesche?). Nel vortice degli opposti patriottismi finisce perfino il povero San Francesco, gratificato con ripristino di un’antica giornata festiva e al quale nulla giova il fatto di esser venuto, giovine apprendista, a vender tessuti nelle fiere bolzanine. Collocato di diritto nella quinta colonna dei propagandisti in camicia nera, il Santo di Assisi dovrebbe cedere il passo al più autonomista San Giuseppe.

    Se queste sono le premesse non deve meravigliare se una questione come quella del futuro delle Acciaierie di Bolzano acquista una coloritura etnica piuttosto rilevante. La Südtiroler Volkspartei, a livello provinciale e comunale ha smentito con toni pacati ma decisi di aver mai nutrito sentimenti di avversione per la grande fabbrica bolzanina. Occorre, fino a prova contraria, crederle, ma è altrettanto certo che il rapporto tra il mondo politico sudtirolese e il concetto stesso di industria non è proprio del tutto sereno.

    Alla base di tutto, come ovvio, quel progetto di italianizzazione voluta da Mussolini realizzata da Mastromattei, con l’insediamento, al posto dei frutteti dell’Agruzzo, dei quattro o cinque grandi stabilimenti capaci di mobilitare un’immigrazione tale da riempire gli spazi della nuova città e mutarne per sempre la composizione etnico linguistica.

    È un assalto che non verrà mai dimenticato e che forse ha abbandonato dei sedimenti che sono all’origine di rifiuti clamorosi come quello riguardante il possibile insediamento di una fabbrica di pneumatici germanica, la Continental, nella piana di Bressanone o come lo sdegnato addio, qualche anno più tardi, della Zuegg di Lana. Naturalmente, sul fronte opposto, ci sarebbero da citare numerosi insediamenti industriali, anche di medie e grandi dimensioni in vari centri della provincia. Mentre chiudono, travolte dalla crisi strutturale e dalla fine delle forniture di energia a prezzi super agevolati le grandi imprese portate a Bolzano dal Regime, il tessuto industriale cambia volto e cambia anche nelle figure degli imprenditori che lo animano.

     

  • Le acciaierie Valbruna Foto: Seehauserfoto
  • Industriali noi?

    L’associazione degli industriali altoatesini era rimasta un feudo saldamente in mani italiane per decenni. Poi gli equilibri cambiano e alla ribalta arrivano esponenti del mondo di lingua tedesca. Accade così che a un certo punto il nuovo presidente sudtirolese annunci, urbi et orbi, che loro non vogliono più farsi chiamare industriali. È una parola, dice, che in provincia ha un suono sgradevole. La nuova denominazione è quella di associazione degli imprenditori (Unternehmerverband) e risulta vana l’osservazione di chi fa rilevare che si tratta di uno svarione concettuale e giuridico al tempo stesso visto che, in italiano come tedesco, gli imprenditori sono una categoria generale che comprende anche gli industriali ma, al tempo stesso, agricoltori, commercianti, artigiani e chiunque altro si trovi a dover gestire un’impresa. La cosa va avanti sino ad oggi anche se poi la componente italiana ha fatto recentemente una parziale marcia indietro recuperando la denominazione di Confindustria. Il fatto che le stesse persone che fanno quel mestiere preferiscano celarne il nome con un artifizio la dice lunga sul fatto che determinati sentimenti continuano ad avere un loro peso.

    Ai cambiamenti sul campo e negli organigrammi della categoria segue di poco anche quello della gestione politica. L’assessorato provinciale all’industria era rimasto l’ultimo baluardo in mano italiana sin dai tempi di Magnago. Poi sono gli stessi industriali (pardon imprenditori) che sollecitano ufficialmente un passaggio di mano, giudicando come una diminutio capitis non avere un referente tedesco. Vengono prontamente accontentati e la competenza resta in mani sudtirolesi sino a due anni fa quando Kompatscher la assegna al vicepresidente italiano.

    Oggi chi allora rimase sorpreso fa notare, con una robusta dose di malizia, che forse la decisione risentiva dell’approssimarsi della scadenza del contratto con la Valbruna. Quale idea migliore che lasciare a metterci la faccia proprio un esponente di quella parte politica che delle grandi industria bolzanine aveva fatto una Fort Alamo dell’italianità

    A pensar male si fa peccato, ma….. con quel che segue.

  • La manifestazione degli operai di Acciaierie Valbruna del 7 ottobre contro il bando di gara della Provincia Foto: Seehauserfoto
  • Grazie signor Bolkestein

    Tornando alla questione delle Acciaierie e ai suoi possibili sviluppi, può anche darsi che gli antichi pregiudizi siano diluiti nel corso del tempo, ma è altrettanto certo che proprio la storia di come l’industria è venuta a radicarsi in Alto Adige un peso notevole nell’intera questione ce l’ha eccome.

    Se ci si pensa un attimo il caso Acciaierie è tutt’altro che isolato nel contesto delle questioni politiche ed economiche che incombono sulla realtà locale. C’è un legame forte con un’altra questione aperta ormai da decenni, quella del rinnovo della concessione dell’Autostrada del Brennero, c’è un parallelo altrettanto evidente un problema che si aprirà tra non molto ed è quello del rinnovo delle concessioni per le centrali idroelettriche altoatesine.

    L’autostrada fu costruita con i soldi sborsati garantiti dagli enti locali mezzo secolo fa, ma gli altri cespiti sono il frutto di una politica che potrebbe essere definita come quella del “ricompiamoci tutto” messa in atto con un colossale esborso finanziario negli anni centrali dell’era Durnwalder. Quello di riportare sotto controllo provinciale tutta una serie di beni di proprietà dello Stato e di privati fin dai tempi del fascismo fu una sorta di imperativo categorico. Parecchia roba arrivò più o meno gratis o sulla base di trattative con Roma: rifugi, caserme abbandonate, terreni agricoli tra Merano e Sinigo, ma per altre attività, le centrali elettriche e i terreni della zona si dovette metter mano ai portafogli.

    Una politica di rivalsa al termine della quale c’era anche il progetto di poter controllare in maniera diretta o indiretta l’utilizzo di questi beni.

    Non si erano forse fatti i conti con l’avvento di una legislazione europea, la famosa direttiva Bolkestein che impone il rinnovo delle concessioni attraverso una gara aperta a tutti, con rischio evidente che il player storico (come nel caso delle Acciaierie) o quello locale (Autobrennero o Alperia) potrebbero vedersi messi fuorigioco da concorrenti nazionali ed esteri.

    È una storia che si replica dalle imprese di grandi dimensioni a quelle più piccole. Vale per le centrali elettriche come per il piccolo bar sulle passeggiate del Talvera a Bolzano. Per la A22 ci si arrovella da un tempo quasi infinito sul modo di evitare che il controllo sfugga agli enti locali. Adesso è il turno dello stabilimento di Bolzano con la possibile scorciatoia dell’esercizio di una Golden share da parte del Governo. Poi arriverà il momento di parlare di energia e di nuovo gli occhi sono puntati sui controllori di Bruxelles per capire quali sono i margini di movimento.

    La partita è in corso e l’esito, su tutti i fronti, quanto mai incerto.