Society | Commento

Dal Leonka al Waltherpark: città negata

Dallo sgombero del Leoncavallo a Milano all’imminente apertura del Waltherpark a Bolzano: il filo conduttore è la sottrazione di spazi liberi e collettivi a favore del commercio, del turismo e del decoro di facciata, con città sempre meno vivibili.
Wikipedia
Foto: Wikipedia
  • Cosa hanno in comune il Waltherpark con il suo Mercato Centrale, la tragicomica inaugurazione del tunnel di via Mayr Nusser e lo sgombero del Leoncavallo a Milano?
    A prima vista, qualcuno potrebbe dire… niente. Uno è un buco sotterraneo con un pedaggio a peso d’oro, l’altro è un centro commerciale mal travestito da riqualificazione con una storia di vita piuttosto accidentata e non particolarmente attenta alla legalità, il terzo un’icona della controcultura italiana sgomberata in piena estate sotto gli occhi impotenti dei pochi milanesi rimasti in città in agosto. Eppure il filo conduttore c’è. E non è nemmeno sottile.

  • Manifestazione al Leoncavallo: Manifestazione di solidarietà davanti all'originaria sede del Leoncavallo, avvenuta il 17 ottobre 1993 Foto: Wikipedia

    Il 21 agosto 2025, con una Milano deserta e incapace di difendere le proprie roccaforti, le forze dell’ordine con quello che sembra un vero e proprio colpo di stato, hanno messo fine alla lunga storia del Leoncavallo, o “Leonka” per gli amici di via Watteau.
    Non un semplice centro sociale, ma un pezzo di storia nato nel 1975 che ha accompagnato tre generazioni di ragazzi milanesi, lombardi e non solo. Non solo un luogo di concerti e feste, ma un microcosmo libero, dove l’ingresso non costava quanto una cena stellata o uno dei preziosissimi piatti radical del Mercato Centrale e una birra non era oggetto di investimento finanziario.

    Ridurre lo sgombero del Leonka a un tema di “ordine pubblico” significa ignorare la sua funzione culturale e sociale: uno spazio di libertà e divertimento, di partecipazione civica, di respiro collettivo in una città e in un mondo dove tutto – sempre più – si paga.

    Una città non può fare a meno della controcultura e perderla equivale a perdere un organo vitale. Pensare che una metropoli o una città “funzioni” solo quando è tutto sotto controllo è un errore enorme di fondo. Chiudere luoghi dove si lavora per migliorare le condizioni di chi ha più bisogno e per proporre cultura dal basso significa snaturare il senso stesso di città e comunità, che dovrebbe avere come protagoniste le persone e non un concetto di decoro, piegato alle esigenze del potere e del denaro. Non si tratta di fare la rivoluzione e distruggere l’intrattenimento monetizzato, ma di proporre un’alternativa valida per chi non può permetterselo o non vuole per motivi etici.
     

    Presto anzi PRESTISSIMO arriverà il Waltherpark, il micidiale ecobestione...


    E neanche tre settimane dopo lo sgombero del Leonka, a Bolzano, continua il film dell’orrore con l’apertura del tunnel di via Mayr Nusser. Una galleria che avrebbe dovuto snellire la viabilità e che nel giro della sua breve vita è già riuscita nella sua impossibile missione di paralizzare più volte una città già paralizzata - non oso immaginare le tempistiche quando aprirà il diabolico Mercatino di Natale - regalando ai pendolari ritardi superiori all’ora. Ciliegina sulla torta e notizia degli ultimi giorni? Il pedaggio da 4,50 euro l’ora per parcheggiare. Forse le strisce sono state dipinte in oro zecchino? Sono inclusi anche brioche e cappuccino? Possibile, rimane da verificare.
    Ma non finisce qui. Presto anzi PRESTISSIMO arriverà il Waltherpark, il micidiale ecobestione - siamo gentili e la parola “mostro” ci sembra esagerata - che trasformerà il parco della stazione in un parco giochi per i turisti in arrivo. Il tutto stando ben attenti al Decoro e al Degrado, le due D che piacciono tanto alla politica. Peccato che dietro queste parole e alla presunta riqualificazione si nasconda l’ennesima sottrazione di spazi collettivi, storicamente di tutti, ora consegnati al commercio e al turismo.

  • La città espropriata

    Che sia Milano o Bolzano, il copione non cambia. Spazi liberi e pubblici vengono continuamente sottratti a chi li vive e vengono privatizzati, regalandoli così solo a chi se li può permettere. Gli spazi autogestiti diventano sempre più risicati e marginali, quando non vengono direttamente sgomberati. Le piazze popolari si trasformano in vetrine per turisti. L’aggregazione spontanea è percepita come “degrado”, la stessa aggregazione che storicamente invece è stata usata proprio per combattere delinquenza e disperazione tramite la solidarietà e la creazione di luoghi e missioni condivise.
    E così, in un’epoca in cui per andare a ballare servono minimo venti euro di biglietto e otto per una birra media - si dice il peccato ma non il peccatore, immaginare un luogo dove entrare gratis, ballare, chiacchierare e bere a prezzi umani sembra ormai fantascienza.

    Era proprio questo il valore del Leonka, offrire un’alternativa, un luogo libero dalle logiche del mercato, dove non sentirsi osservati, colpevoli di “non consumare abbastanza” o giudicati dal proprio giudice morale interiore, il giorno dopo, per aver speso quaranta euro in una sola sera.
     

    Il Leoncavallo si dichiara quindi al momento “nomade” e continua a spingere per un ritorno in via Watteau, dove si trovano anche pezzi di storia artistico culturale milanese...


    Ho studiato a Milano e ancora oggi ci vivo a fasi alterne. La prima volta che sono entrata al Leoncavallo sono rimasta stordita dalla vastità e dalla varietà degli spazi. Abituata alla nostra conca, ritrovarsi in un capannone immenso suddiviso in ambienti che cambiano umore e funzione a ogni porta aperta è stata un’esperienza quasi straniante. L’ingresso è un tunnel che poi si spalanca su una zona franca di tavolini spartani, con un bar onestissimo e la musica rimbombante in sottofondo. Nel capannone principale l’aria è densa di fumo e la musica ti investe - con una certa violenza, fuori invece un giardino enorme, con angoli tranquilli dove sedersi e chillarsela. Poi altri stanzini più piccoli con musica diversa e luci diverse, altri piccoli mondi alternativi dove rifugiarsi se il capannone principale di incute soggezione. E poi un’altra sala grande, una mensa con dei tavoli. Rimango basita quando a mezzanotte iniziano a servire patate bollite. Il cibo degli dei, le adoro. E poi in un angolo una minuscola libreria di seconda mano, stipata di volumi sgualciti, quaderni improbabili, prezzi stracciati e qualche piccola perla da scoprire.

    E soprattutto, la sensazione di libertà. Nessuno ti giudica per i tuoi vestiti, per come balli o per cosa bevi. L’unica domanda che ti fanno al massimo è se hai un accendino. Qualcuno dirà che questa non è cultura, che è solo normale degrado giovanile. E senza voler mitizzare i centri sociali - le contraddizioni ci sono, è chiaro che il loro valore sta in quella libertà difficile da trovare altrove. Per qualche ora puoi sottrarti agli sguardi, non dover giustificare nulla, non sentire addosso l’ansia di “stare sbagliando”. Una sensazione preziosa, soprattutto per una generazione cresciuta con l’angoscia costante del giudizio di una società affamata di performatività.

    Adesso il sindaco Beppe Sala - che dopo lo sgombero si è dichiarato contrariato e ha garantito che nessuno lo aveva avvisato - si sta muovendo per trovare una nuova sede al Leoncavallo (forse anche in vista delle imminenti elezioni comunali). Lo sgombero non ha chiuso la storia del Leoncavallo e il 6 settembre in 50.000 sono scesi per le strade di Milano per protestare e difendere lo storico centro sociale, rivendicare il diritto ad una città libera e di tutti dopo anni di speculazioni. Sull’onda della mobilitazione, il Leonka ha scelto di non accettare la proposta del comune di trasferirsi in via San Dionigi. Lo spazio è piccolo, isolato - si parla della zona di Corvetto, completamente dislocata rispetto alla città e famosa per essere uno dei quartieri più disperati di Milano - e inagibile senza una bonifica dall’amianto. Il Leoncavallo si dichiara quindi al momento “nomade” e continua a spingere per un ritorno in via Watteau, dove si trovano anche pezzi di storia artistico culturale milanese come i murales del Dauntaun (la “città sotterranea” sotto il Leonka stesso), un vero e proprio patrimonio di arte urbana.

  • La morale amara?

    Che si parli del Leoncavallo o del Waltherpark, che sia un tunnel sotto terra o la casa a cielo aperto espropriata al clochard che l’ha abitata per anni, la sostanza è la stessa: la città non è più di chi la abita, ma di chi la compra. Il resto, ci viene detto, è solo “degrado”. E sui social in tanti esultano per la vittoria contro la mancanza di decoro.
    Ma forse, più che di degrado, dovremmo preoccuparci di quanto sia degradante vivere in città dove la libertà – e perfino una birra – hanno un prezzo sempre più proibitivo.