Verso una responsabilità sociale condivisa
La festa del lavoro che si celebra oggi in tutto il mondo è stata istituita nella seconda metà dell’800 negli Stati Uniti durante un’epoca di battaglie operaie spesso anche violente. Uno degli obiettivi di quelle lotte era la definizione per legge del diritto alla giornata lavorativa di 8 ore.
Per decenni il 1° maggio è stata una festività durante la quale al lavoro si recavano solo gli addetti ai servizi pubblici essenziali. Negli ultimi anni questa ricorrenza pare aver perso quel significato quasi sacrale vissuto dalle generazioni precedenti. I negozi aperti rappresentano, forse meglio di altro, questa trasformazione anche culturale rispetto al significato di questa ricorrenza.
Solo pochi anni fa la festa era del lavoro di tutti mente oggi non è più così. Esiste una dicotomia tra chi presta la propria opera in un ambito contrattuale che lo tutela e chi, al contrario, di questa condizione ne è privo almeno parzialmente. Coloro che appartengono alla prima categoria sono in progressivo calo, mentre i secondi sono decisamente in ascesa. Cosa sta accadendo? Il XXI secolo rischia di riportarci al XIX?
Ormai ci sono settori nei quali le persone sono ridotte in condizioni di semi schiavitù. Pensiamo alla logistica, alle pulizie, all’agricoltura, ma potremmo continuare. L’industria, che nell’800 fu il settore trainante nelle lotte che poi portarono a grandi conquiste, la più importante delle quali fu certamente lo stato sociale, oggi è ancora un ambito nel quale le tutele esistono. Allora che fare per tornare ad avere condizioni di vita e di lavoro dignitose per tutti in Italia?
Certamente lo schema del XX secolo, basato su una solida tradizione di contrattazione collettiva nazionale di settore, non garantisce più l’estensione progressiva delle tutele e i miglioramenti salariali del passato.
Oggi, in un mercato del lavoro europeo, nel quale si può liberamente circolare, ma nel quale i diritti hanno solide barriere nazionali non presidiate se non in alcuni settori, servirebbe una legislazione sul lavoro semplice che faccia da cornice ad uno schema contrattuale flessibile, interconfederale che veda la sua applicazione concreta a livello territoriale. Vicino a chi lavora!
Se nell’800 si lottava per ottenere il diritto alla giornata lavorativa di 8 ore e al diritto ad un welfare state che garantisse sanità, pensione e assicurazione contro gli infortuni per tutti, oggi queste conquiste vanno preservate secondo uno schema nuovo che veda la compartecipazione del sistema pubblico con quello privato senza fini di lucro.
L’invecchiamento della popolazione e la diminuzione delle risorse pubbliche impongono un ripensamento rapido della strategia del sindacato. Se vuole continuare a rappresentare gli interessi collettivi dovrà farlo partendo dal territorio e considerando che le persone avranno bisogno di servizi come mai nel recente passato. Questi servizi sono traversali alle professioni e ai mestieri e quindi dovrebbero essere resi esigibili in modo generalizzato.
In un’epoca nella quale la classe politica ha perso autorevolezza, le parti sociali e quindi i corpi intermedi, avrebbero il dovere di provare a statuire impegni reciproci attraverso i quali provare a generare una società decente basata sul diritto e sulla dignità diffusa della persona. Vorrei pensare al 1° maggio come alla festa di chi vorrà esprimere una nuova responsabilità sociale diffusa e condivisa.
Lo dobbiamo alle prossime generazioni che rischiano concretamente condizioni di vita peggiori delle nostre.