Quando pochi mesi fa l’Alto Commissariato dell’Onu per i Diritti Umani ebbe accesso ai centri di detenzione libici in cui migliaia di migranti vengono reclusi, anche grazie all’accordo con il governo Gentiloni e l’allora Ministro dell’Interno Marco Minniti, gli osservatori descrissero una “situazione catastrofica” fatta di “schiavitù moderna, stupri e omicidi giustificati in nome di una gestione della migrazione e del tentativo di tenere lontane dalle coste europee delle persone disperate e traumatizzate”. Poco prima un reportage giornalistico di Francesca Mannocchi andato in onda durante la puntata di Propaganda Live del 29 settembre 2018 aveva aperto uno squarcio sull’orrore che si consuma a poche miglia dalle nostre coste. Persone letteralmente schiavizzate per la durata di un anno per pagarsi il posto in un barcone improvvisato con cui tentare l’attraversata e raggiungere l’Europa. Le donne (tutte le donne) stuprate e picchiate. Violenze e torture quotidiane e generalizzate.
Il Dipartimento Libico di Contrasto alla Migrazione Illegale contava 19.900 prigionieri nei centri ufficiali ma nessuna autorità indipendente ha mai potuto verificare che non siano dieci volte tanti. E ben sappiamo che una percentuale altissima di migranti provenienti dall’Africa subsahariana muore nel deserto ben prima di raggiungere la Libia. Senza dimenticare, naturalmente, i naufragi. Secondo l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati dal 3 ottobre 2013 (data della strage di Lampedusa in cui morirono 368 persone) e il 26 marzo 2019 le vittime accertate dei naufragi nel Mediterraneo sono 18.146. Accade quotidianamente, sotto i nostri occhi.
Le decine di migliaia di disperati respinti alle nostre frontiere non sono che la punta minuscola di un iceberg continentale
Eppure, Minniti è stato applaudito sia a destra che a sinistra per aver ridotto gli sbarchi in Italia grazie all’accordo con la marina libica che riconduce all’inferno chi dall’inferno riesce a scappare, mentre Salvini dichiara illegali le navi delle ONG che prestano soccorso vietando loro l’attracco nei nostri porti e nei sondaggi supera ampiamente il 30 % delle dichiarazioni di voto, dato in costante ascesa. Che l’Africa sia stata devastata da secoli di colonialismo, che i programmi di riforme economiche imposti dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale abbiano stretto il cappio al collo a masse sterminate di piccoli agricoltori a esclusivo vantaggio delle grandi monocolture di esportazione, che il saccheggio delle materie prime e lo sfruttamento di mano d’opera a bassissimo costo continui imperterrita, qui in Europa non sembra importare a nessuno. E si capisce. È l’essenza stessa del nostro modello di sviluppo. Che garantisce benessere materiale a pochi privilegiati e al tempo stesso condanna più di 800 milioni di persone alla fame e un altro miliardo sotto la soglia di povertà con meno di due dollari al giorno. A chi piacerebbe sapersi corresponsabile di un crimine di tale portata? Quale partito che innalzasse a proprio vessillo la condizione dei paesi più poveri e il superamento delle cause della loro povertà vincerebbe mai le elezioni? Molto più facile, e popolare, alzare qualche muro e soffiare su paure e pulsioni identitarie.
Quindi, che fare? Le decine di migliaia di disperati respinti alle nostre frontiere non sono che la punta minuscola di un iceberg continentale. Come non sentirsi inadeguati? A cosa servono queste parole e quelle di chi non vorrebbe rendersi complice? Il Mediterraneo, Mare Nostrum adibito a fossa comune, continua a inghiottire vite e storie e dolori e speranze che mai ci raggiungeranno. Ad accoglierli, solo silenzio.
“E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia: è tempo di morire.”