Cultura | Classica

La grandezza di Sokolov

Il pianista russo protagonista di uno splendido recital davanti al pubblico adorante dell’Auditorium
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Foto: BFB
  • Ho perso il conto dei concerti di Grygory Sokolov che ho sentito: il primo fu a Rovereto e fu una folgorazione, ma è stato al Bolzano Festival Bozen che ho potuto riascoltare più volte il grande pianista russo, sempre conquistata dalla sua grandezza.
    Con un programma musicale ogni volta completamente diverso (lo cambia ogni anno e lo porta nei suoi tour internazionali), Sokolov è presenza fissa a Bolzano negli anni pari, quelli in cui il Premio Busoni non invade la città con i finalisti del concorso ma va a cercarli in giro per il mondo, col suo Glocal Piano Project. Di questa edizione 2024 Sokolov è quasi il nume tutelare, il sacerdote che ha aperto un rito, quest’anno più che mai nel nome di Busoni: si è esibito mercoledì sera all’Auditorium; nel pomeriggio si era svolto il convegno “Busoni 100” e in platea ad ascoltarlo con reverenza c’erano alcuni tra premiati nelle scorse edizioni.
     

    Dopo il terzo bis è aumentata la luce, il Maestro si è concesso alla vista oltre che all’ascolto. 


    Auditorium gremito, come sempre, e pubblico osannante fin dalla prima apparizione: basterebbe la natura di quell’applauso per capire la venerazione del pubblico nei confronti del grande maestro. Non è un applauso convenzionale, è già un’ovazione, e Sokolov non ha nemmeno iniziato a suonare. Quando si siede, con quel suo modo sempre uguale di concludere l’inchino infilandosi tra seggiolino e pianoforte, cala il silenzio, e inizia l’incanto.

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    Sokolov è al centro del grande palcoscenico, avvolto da una penombra inconsueta: non c’è luce piena sul palcoscenico ma, su richiesta del pianista, solo una debole illuminazione. In quest’atmosfera fosca prende il via il concerto, con la prima parte dedicata a Bach, da sempre uno dei compositori che Sokolov coltiva con passione e profondità: in questa occasione regalava in apertura una gemma rara, i Quattro Duetti BWV 802-805. Non è così frequente ascoltarli, ma sono stati amati da alcuni grandi della tastiera, come i russi Sviatoslav Richter e Tatiana Nikolayeva. Sokolov li abbina alla grande Partita in Do minore e ci consegna un Bach perfetto, in cui ogni nota è nel segno della massima concentrazione. Il Bach di Sokolov raggiunge l’ideale equilibrio tra la perfetta geometrica di incastri di linee e l’affetto della melodia, un incontro tra astrazione e materia, tra freddo e caldo che rendono l’esecuzione un intenso momento di meditazione. Precisione ed espressione vanno a braccetto: un connubio che rende chiari e cristallini anche i passaggi più tortuosi e complessi.
     

    Sokolov scava a fondo portando alla luce le voci nascoste nella scrittura schumanniana, scolpendola per restituirne la complessità.


    Nella seconda parte del concerto Sokolov passava da Bach al Romanticismo, con due raccolte di Mazurche di Chopin e le Waldszenen di Schumann. Nelle Mazurche si rivela il lato più nostalgico di Chopin, che lasciò la Polonia a vent’anni per non tornarvi più: il tratto popolare e folklorico di queste musiche, di cui era stata imbevuta la sua infanzia, si fonde con i toni eleganti della musica da salotto in un’alchimia unica. Sokolov sceglie due raccolte (l’op. 30 e l’op. 50) in cui la scrittura è particolarmente densa e calca la mano sul lato cupo e tragico, senza concessioni al lirismo. E anche di Schumann il pianista esplora un aspetto poco ovvio, asciugando i toni più retorici: le “scene nel bosco” si aprono con l’atmosfera fiabesca dell’”Eintritt” ma già “Jager auf der Lauder” è asciutto e implacabile, con le sue veloci sgranature e i contrasti netti di suono e il “Vogel als Prophet” vive di un timbro impalpabile, un velo. Sokolov scava a fondo portando alla luce le voci nascoste nella scrittura schumanniana, scolpendola per restituirne la complessità.
    Alla fine del concerto si rinnova il rito dei molteplici bis. Qua sì Sokolov ama ripetere gli “encores” a cui è più affezionato e che è emozionante ritrovare. A “Le savages” di Rameau, pagina clavicembalistica che esegue con urgenza e intensità, seguono altre tre pagine di Chopin: la Mazurka op. 63 n. 3, ammantata di nostalgia, lo Studio op. 25 n. 2 e il Preludio n. 15; la Chaconne di Purcell, altro omaggio all’amato repertorio clavicembalistico e infine la chiusura nel segno di Busoni con il bachiano Preludio “Ich ruf' zu dir, Herr Jesu Christ”. Dopo il terzo bis è aumentata la luce, il Maestro si è concesso alla vista oltre che all’ascolto. Il pubblico non si stancherebbe di ascoltarlo, ma dopo sei bis anche questo indimenticabile recital bolzanino di Sokolov giunge alla conclusione.

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