"Il femminismo fa paura"
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Quest'anno l'Aied di Bolzano, sezione Andreina Emeri, compie 50 anni. Ieri al Cristallo si è tenuto l'urltimo degli appuntamenti organizzati dall'Associazione per celebrare l'anniversario.Stiamo parlando di un convegno libero e gratuito, intitolato "Donne e denaro", che ha visto protagoniste alcune importanti attiviste del panorama nazionale. La libertà economica delle donne è un tema del tutto attuale, che tocca da vicino storie e situazioni difficili da affrontare.Tra le protagoniste, Karen Ricci, attivista e femminista fondatrice della pagina instagram "Cara, sei maschilista!". Karen ci ha raccontato il suo punto di vista parlandoci del suo progetto che sta crescendo di giorno in giorno e che, con pungente ironia, affronta tematiche complesse.
SALTO: Partiamo subito dalla comunicazione social. Lei ha una pagina nella quale parla di femminismo e maschilismo, con più di 40mila follower al seguito. Quanto è difficile comunicare argomenti così delicati in una società che fatica ad accettarli e, quindi, rispondere anche alle eventuali critiche?
Karen Ricci: Il progetto "Cara Sei Maschilista!" nasce nel 2013, e oggi tra Facebook e Instagram conta circa 100K followers. Credo che la scelta della comunicazione sia stata la carta avvincente di questo progetto, ossia parlare di tematiche come la parità di genere, il sessismo interiorizzato e cultura patriarcale, utilizzando un linguaggio semplice e accessibile. Questi argomenti sono stati isolati in ambienti accademici o politici, lontani dalla vita di tutti i giorni, quando invece sono presenti nella vita di tutte le persone. Proprio per questo ho deciso di tradurre teorie complesse utilizzando esempi quotidiani nei quali tutte le persone si possano identificarsi e ritrovarsi nelle varie tematiche che ho spiegato prima.
Essendo esperta in comunicazione, cosa pensa ci sia di sbagliato nel modo di comunicare sui social network e come poter rendere la comunicazione di certe tematiche maggiormente comprensibile ai più?
Credo che sia essenziale come comunicatrice cercare uno stile di discorso che mi avvicini al pubblico. "Cara, sei Maschilista!" non nasce per insegnare niente a nessuno, ma per proporre riflessioni che poche volte abbiamo l’opportunità di fare. La critiche fanno parte del gioco e confermano la necessità di continuare ad affrontare questi argomenti.
Sconfiggere il maschilismo interiorizzato è un’obiettivo ambizioso.
Come più volte accade, accettare l’esistenza di determinati problemi è difficile. Affrontarli ancora di più. Nella nostra società il problema del maschilismo interiorizzato è uno di questi: quanto tempo ci vorrà secondo lei, prima di vedere un cambiamento radicale nella società in cui viviamo? Cosa manca, ancora? E quanto è importante il ruolo dell’educazione in questo processo?
Sconfiggere il maschilismo interiorizzato è un’obiettivo ambizioso. Credo di essere parte del percorso anche se molto probabilmente non vedrò il risultato finale. I grandi cambiamenti culturali e sociali succedono lentamente, un passo alla volta e come stiamo vedendo nel ultimo periodo, si scontrano con constanti contraccolpi e retrocessi. Soltanto con un coinvolgimento trasversale si può pensare che le cose possono cambiare, partendo dell’educazione sessuale e affettiva nelle scuole ma per farlo è necessario che la questione dei rapporti di genere sia riconosciuta come un problema sociale. Quindi lavorare su diversi fronti, dall’attivismo politico alla formazione nelle organizzazioni e istituzioni, dallo studio e e la ricerca teorica alla comunicazione mainstream.
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Spesso molte persone dicono che non “ce la fanno più” a sentir parlare sempre di femminismo e che “tutto è diventato femminismo”. Secondo lei è semplice paura di affrontare una realtà evidente, oppure c’è anche una componente di strumentalizzazione del femminismo, specie sui social network?
Il femminismo fa paura perché effettivamente mette in discussione un sistema molto strutturato e sfaccettato che soppravvive grazie a una idea confortante di che “si è sempre fatto così”. Ripensare i nostri ruoli in società, ripensare il modo come ci relazioniamo, dove sbagliamo, come migliorare è un lavoro faticoso e scomodo, il femminismo provoca questo movimento. Le teorie femministe propongono la revisione e il ribaltamento di un sistema che ha bisogno invece di una immutabilità dei ruoli, proprio perché ciascuna pedina in questo puzzle è funzionale. È funzionale, ad esempio, che le donne vedano la maternità come il ruolo più importante della loro vita per garantire la natalità. Non solo, ma anche per assicurare che una volta diventate madri si prendano cura dei figli e della famiglia gratuitamente, sgravando stati e aziende dei costi di welfare.
L'Italia si colloca alla 107esima posizione su 146 paesi nel Global Gender Gap Report.
Parlando di donne e denaro, quanto è difficile la situazione nel nostro paese e quanto la politica influisce in questo processo?
La situazione è molto grave. L'Italia si colloca alla 107esima posizione su 146 paesi nel Global Gender Gap Report. I dati dell'occupazionale femminile sono drammatici soltanto una donna su 2 risulta occupata. Parliamo di metà della popolazione femminile che non ha un reddito e dipende esclusivamente dai propri compagni, occupandosi nel frattempo di tutto il lavoro di cura non rimunerato. Questa condizione impedisce l’autonomia femminile, rende difficile la fuori uscita della violenza e impedisce l’avanzo culturale una volta che la presenza femminile negli spazi pubblici è insufficiente e ridotta a posizioni marginali. La politica segue lo stesso ritmo parlando di politiche pubbliche legate alla natalità e alla maternità, confermando i ruoli di genere che ingabbiano le donne nella posizione di angeli del focolare invece di affrontare la questione in modo collettivo. Si parla di “aiuto alle madri lavoratrici” come se i padri lavoratori non avessero nessuna responsabilità. Si dà per scontato, ancora nel 2023, che la priorità maschile sia quella di portare i soldi a casa, mentre per le donne l’autonomia economica, lo sviluppo professionale e personale rimane sempre in secondo piano, dopo la famiglia.
Secondo lei nelle scuole si dovrebbe parlare di educazione emotiva? Perché è così difficile affrontare il tema all’interno di un luogo di crescita così importante?
L’educazione emotiva, così come l’educazione sessuale dovrebbero essere le basi per la costruzione di un futuro più equo e meno violento. Esiste un grande fraintendimento quando si parla di educazione sessuaffetiva nelle scuole perché l’informazione a riguardo è ostacolata e viene spesso strumentalizzata, proprio per evitare questo cambiamento di mentalità che potrebbe mettere in discussione i ruoli che conosciamo. Sembra scontato dirlo, ma non si tratta di “insegnare sesso ai bambini” ma di promuovere una educazione al rispetto, al consenso, alla gestione delle emozioni, alle relazioni e al superamento delle limitazioni imposte dagli stereotipi di genere. Inoltre non è soltanto una questione di investimento nelle future generazioni ma anche di protezione nel presente di questi bambini e bambine, argomento di cui si parla pochissimo. Tuttavia parlare di corpo, di limiti, di consenso, di rispetto, di ascolto delle proprie emozioni è un modo per insegnare a riconoscere abusi e violenze, che sappiamo succedere spesso tra le mure di casa o tra conoscenti.
no lager.
no lager.
tutto il resto è fuffa ipocrita.