Società | Intervista

I rider senza padrone

Come funziona lo strapotere delle multinazionali del delivery? È possibile combatterlo? A Firenze la risposta allo sfruttamento arriva dal basso e si chiama Robin Food.
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Foto: robinfood

Nelle scorse settimane nella città metropolitana di Firenze è nata Robin Food, una cooperativa di delivery alternativa al monopolio delle multinazionali del settore e con un obiettivo semplice quanto ambizioso: dimostrare che i rider possono organizzare il proprio lavoro senza l’intermediazione di un padrone invisibile ma spietato. Una realtà in cui al governo dell’algoritmo si preferisce l’autogestione democratica e orizzontale dell’impresa e dove il profitto non prende il sopravvento sui diritti di chi lavora, ma viene anzi redistribuito equamente tra le lavoratrici e i lavoratori stessi. 
Per conoscere il mondo del delivery e le sue alternative salto.bz ha intervistato Nadim Hammami, 33 anni e rider dal 2016, nonchè uno dei sette fondatori della cooperativa di Robin Food.


 

salto.bz: Nadim, da dove nasce la necessità di fondare una realtà come Robin Food? E perché è importante porre un freno allo strapotere delle multinazionali del settore del delivery?

Nadim Hammami: Come d’altronde lo stesso nome evoca, la necessità primaria è quella di redistribuire le risorse con tutti gli attori che sono coinvolti. Quello che fanno le piattaforme è cercare di massimizzare i profitti ad ogni costo, non guardando in faccia né al lavoratore né al ristoratore stesso. Gli stessi esercenti sono ormai parecchio arrabbiati per via delle commissioni sempre più alte, schizzate soprattutto in seguito alla pandemia dove, non essendoci alternative alla consegna a domicilio, le multinazionali hanno aumentato le proprie percentuali di profitto, arrivando in certi casi anche al 40% del prezzo finale. Dallo sfruttamento messo in atto, sia contro i diritti dei lavoratori sia appunto contro i ristoranti stessi, in diverse parti d’Italia si stanno sviluppando progetti come Robin Food

Come vi differenziate dalle altre aziende del calibro di Deliveroo o Glovo?

Nel nostro caso prestiamo un occhio di riguardo all’ecosostebilità, che si traduce nell'utilizzo di mezzi non inquinanti. All’inizio, seppur in maniera implicita lo facevano anche le altre piattaforme conosciute, ma adesso è sempre più frequente vedere persone consegnare in motorino o addirittura in automobile e spesso vengono favorite dagli algoritmi, potendo godere di mezzi più efficienti. Il nostro obiettivo è redistribuire il profitto in maniera equa, dando ai ristoratori delle alternative sulla commissione allo scontrino e pagare il giusto compenso ai lavoratori con dei contratti da dipendente. Essendo una realtà locale, abbiamo anche il vantaggio di trattenere le risorse sul territorio anziché finire nelle tasche di multinazionali, che oltre ad avere sede in altri paesi godono di un regime di fiscalità agevolata. La vera sfida sarà dunque dimostrare che tutto questo è possibile, e lo potrà essere solo se riusciremo ad intercettare quella clientela attenta ai diritti delle persone e alla salvaguardia dell'ambiente. Anche noi poi riuscire dovremo riuscire ad essere sostenibili anche in termini economici: senza la clientela non avremo la possibilità di esistere. 

 

Come spiegate voi stessi, tutti coloro che hanno fondato la cooperativa di  Robin Food hanno lavorato nel settore delle consegne a domicilio e spesso e (mal) volentieri per le grandi aziende del delivery. Come si è sviluppato dunque quel processo che, partito dalla consapevolezza di essere sfruttati, è arrivato alla volontà di essere e praticare alternativa attraverso la riappropriazione dei diritti e degli utili negati?
I fondatori della cooperativa sono sette, e siamo appunto tutti rider che nel corso degli anni si sono interfacciati con diverse piattaforme. Io ho cominciato cinque anni fa, nel 2016, e per i primi due anni le condizioni di partenza non erano buone, in fondo era un po’ la novità, di conseguenza non ci si faceva molto caso. ma c’era un sentore di miglioramento. Dal 2018 in poi invece le cose sono precipitate, a causa dell’aumento della concorrenza tra le piattaforme: si è cominciato a proporre consegne sempre più lunghe e in tempi sempre più rapidi e questa concorrenza spietata ha trascinato tutte le aziende a sgretolare diritti e svalutare sempre più il lavoro. L’idea che fosse necessario diventare alternativa al sistema predominante non è stata immediata. Inizialmente sono nati scioperi, soprattutto contro la piattaforma di Deliveroo, per la quale io ho lavorato, e riguardavano l'abbassamento delle tariffe di un pagamento che è sempre stato nei fatti a consegna, calcolato in base al tempo di percorrenza e ai chilometri effettuati. I rider, ancora prima delle istanze rispetto all’assenza di contratto, hanno cominciato a protestare contro la retribuzione a cottimo e il suo calcolo al ribasso. Con l’entrata dei sindacati la protesta è diventata più consistente perchè delle piattaforme non ci si può fidare, non ci sono garanzie e non puoi sapere quello che succederà il mese prossimo. Noi sette, abbiamo avuto modo di conoscerci meglio tra una consegna e l'altra e pian piano la nostra consapevolezza è aumentata, fino ad arrivare appunto alla volontà di creare qualcosa di diverso, che possa convenire a chi consegna e ai ristoranti stessi, dal momento che le commissioni applicate sullo scontrino saranno più basse di quelle richieste dalle piattaforme, che prosciugano così gran parte del loro guadagno. Per adesso siamo ancora in fase di contrattazione con molti ristoranti, ma in diversi hanno risposto bene, è un’iniziativa che in generale piace e viene guardata con interesse.

...E che fa bene dunque alla comunità nella sua interezza.
Si, per questo motivo abbiamo lanciato un mese fa un crowdfunding per l’acquisto dei mezzi aziendali. L’aiuto da parte della comunità è fondamentale. I donatori hanno superato il centinaio, sicuramente ci ha aiutato anche un’esposizione mediatica che non ci saremo mai aspettati. Ci manca ancora qualcosina per raggiungere l’obiettivo, speriamo in bene

Come siete riusciti ad apprendere tutte le competenze necessarie per affrontare soprattutto gli ostacoli burocratici e i principi di autorganizzazione del lavoro?
Noi siamo rider, non imprenditori. il processo di acquisizione delle competenze sta durando tuttora. Nel nostro caso è stato possibile attraverso la vittoria di un bando e grazie ad alcuni corsi di formazione. Siamo seguiti da alcune figure esterne che ci supportano in questo processo che è in continuo divenire. Ma ora siamo pressoché pronti e contiamo di partire a breve.

 

Si sente spesso parlare del governo dell’algoritmo, per quel che riguarda la galassia delle grandi piattaforme. Perchè questa sorta di padrone invisibile è così discusso e per quale motivo metterebbe a repentaglio i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori?
Premesso che ogni azienda ha il suo algoritmo. e non si possono valutare nella stessa maniera. Quello che sicuramente però li accomuna è che hai un capo che non vedi mai, nessun referente territoriale, Se hai problemi devi rivolgerti a una chat, dove il tuo interlocutore risponde da luoghi lontani e non sempre riesce ad essere d’aiuto e risolvere i tuoi problemi. Io ho avuto esperienze con Deliveroo e Just Eat e quello che posso dire è che le aziende non spiegano in realtà come funziona questo algoritmo, non c’è vera trasparenza a riguardo se non qualche dato superficiale. È il rider stesso che deve provare a intuire come funziona. Nel caso di Deliveroo esiste una classifica, un ranking che ti dice che se fai tutte le sessioni del weekend e non salti i turni verrai valutato positivamente. Ma tutto quello che c’è sotto, il sommerso, non è dato a sapere. I rider hanno intuito, sebbene l’azienda non abbia mai dato conferme, che se sei lento o rifiuti un ordine perchè magari devi attraversare tutta la città in quel breve lasso di tempo che hai a disposizione all’interno delle fasce orarie del pranzo o della cena, il tuo ranking - e di conseguenza la possibilità di ricevere ordini diminuisce. Negli ultimi tempi pare sia emersa la tendenza di affidare pressoché in toto le consegne a chi dispone di una macchina o di un motorino.

E quando ti ammali?
Non puoi fare praticamente nulla. Per le grandi piattaforme tu sei un lavoratore autonomo e da quel punto di vista non sei coperto da nessuna tutela. Tendenzialmente vieni tolto dal turno e non vieni pagato.

Dunque scivoli verso il basso della classifica...
Ipoteticamente si. Dopodichè il sistema cambia molto spesso, adesso per esempio Deliveroo ha modificato alcuni elementi e impostato il free login: ognuno accede quando vuole in quello che diventa un processo molto selvaggio. Prima c’era una sorte di suddivisione dei turni per far sì - almeno teoricamente - che a ogni rider potesse arrivare qualche ordine. Adesso non c’è più limite alcuno. Se ci sono tantissimi ordini e pochissimi lavoratori, nessuno guadagna e permette alle aziende di proporre tariffe sempre più basse perché i lavoratori, soprattutto i più disperati, accettano consegne per pochi spiccioli. Questo è il loro strumento di potere che hanno a disposizione per minimizzare i costi e massimizzare i profitti.

 

A più ripartite vi hanno chiamato “l’alternativa che sfida le multinazionali”. Al momento ci sono diversi altri rider che portano avanti vertenze contro il loro "padrone invisibile". Voi consigliate di continuare a lottare e chiedere diritti oppure è meglio uscire dal circuito delle grandi piattaforme per provare ad essere loro stessi l’alternativa che rivendicano?
Le vertenze come gli scioperi sono strumenti importanti e più che condivisibili, grazie alle quali per esempio il tribunale è arrivato a stabilire che il delivery non è un lavoro autonomo ma deve essere pagato come un lavoro subordinato. C’è da dire che non tutti hanno la possibilità di esporsi né di intraprendere questo percorso di lotta di conseguenza non mi sento di dire cosa consigliare. Sicuramente le due possibilità sono entrambe fronti aperti. C’è da dire che produrre alternative sostenibili non è facile, quello che facciamo noi è molto impegnativo ma laddove è possibile diciamo: perchè no. Più persone intraprendono questo percorso più diventa possibile fare rete e creare qualcosa di solido. Lo scambio di informazioni resta anche un aspetto fondamentale, si cerca di aiutarci a vicenda perchè in fondo l’obiettivo è comune. È importante che ci sia un percorso di supporto, anche di tipo istituzionale, perché il mondo burocratico è complicato, ma nulla vieta di potersi muovere autonomamente

Dunque possiamo dire che Robin Food è un'esperienza replicabile ovunque, Bolzano compresa?
Se in questi luoghi il settore del delivery gode già del proprio bacino di utenza non vedo perchè no. Esperienze di questo tipo stanno già nascendo in più città, anche di piccole e medie dimensioni, e questo dimostra che c’è una necessità condivisa di reagire e creare risposta al sistema dominante.