Navigare la giungla contrattuale
Con un’inflazione galoppante che erode il potere d’acquisto e i mancati rinnovi dei contratti che, in questo modo, contribuiscono a frenare le retribuzioni, lo scenario non è dei più confortanti nemmeno nel fecondo Alto Adige. A tracciarlo, partendo dal recente studio “L’elemento retributivo nei contratti territoriali altoatesini”, condotto dall’Istituto Promozione Lavoratori, è la ricercatrice Alessia Paccagnella. Con l’esperta abbiamo parlato di nodi contrattuali, salario minimo e strategie di azione.
Salto.bz: Cominciamo dal principio: cos’è, come funziona e a cosa serve la contrattazione?
Alessia Paccagnella: La contrattazione collettiva è la fonte normativa attraverso cui le organizzazioni dei lavoratori e le associazioni dei datori di lavoro stabiliscono le regole generali che disciplinano il rapporto di lavoro e tutto ciò che ruota intorno a esso, compresi, tra gli altri, i livelli di inquadramento, quindi i profili professionali, e le relative retribuzioni. Esistono diversi livelli di contrattazione, ciascuna con un proprio scopo: a livello interconfederale vengono definite regole generali che si applicano a tutti i lavoratori, indipendentemente dal settore di appartenenza; la contrattazione nazionale regola invece il rapporto di lavoro in ogni suo aspetto e avviene per categoria o per settore economico; la contrattazione decentrata, infine, adegua quella nazionale a una specifica realtà territoriale o aziendale.
La contrattazione collettiva è la fonte normativa attraverso cui le organizzazioni dei lavoratori e le associazioni dei datori di lavoro stabiliscono le regole generali che disciplinano il rapporto di lavoro e tutto ciò che ruota intorno a esso, compresi, tra gli altri, i livelli di inquadramento, quindi i profili professionali, e le relative retribuzioni.
La contrattazione collettiva nazionale è in grado di assicurare un tenore di vita dignitoso ai lavoratori e alle loro famiglie in Alto Adige?
Il ruolo fondamentale della contrattazione collettiva nazionale è quello di stabilire delle retribuzioni che garantiscano un tenore di vita adeguato. Purtroppo ciò non accade sempre, a causa di fenomeni quali dumping salariale, contrattazione pirata, contratti di lavoro atipici, part-time involontari. Il primo riguarda principalmente il settore degli appalti: poiché il criterio per la scelta dell’aggiudicazione è l’offerta economicamente più vantaggiosa, vengono creati contratti collettivi ad hoc con livelli retributivi bassi. I contratti pirata invece sono quelli firmati da organizzazioni sindacali e datoriali poco rappresentative o con pochi iscritti. I contratti atipici e i part-time involontari, infine, riguardano soprattutto i settori meno coperti dalla contrattazione. C’è poi un altro problema…
Quale?
Le parti economiche dei contratti collettivi nazionali in vigore non vengono rinnovate entro le tempistiche necessarie. Porto come esempio quello del contratto collettivo per il settore della vigilanza privata, il quale risale al 2013 e che solo di recente è divenuto oggetto di discussione. È chiaro che dieci anni fa il costo della vita fosse diverso rispetto a oggi, ed è altrettanto evidente che un contratto stabilito a livello nazionale non sia adeguato per qualsiasi situazione; la realtà economica non è infatti la stessa ovunque all’interno della penisola e dei singoli settori.
Ci fa alcuni esempi?
Esistono alcuni settori che ciclicamente sono oggetto della contrattazione decentrata, vale a dire agricoltura, commercio, edilizia e turismo. Ognuno di questi ha un contratto di secondo livello più o meno attivo e/o recente, con le dovute differenze fra Nord, Centro e Sud: tre quarti dei contratti decentrati nel 2022 sono infatti stati stipulati nel Nord Italia, i restanti tra Centro e Sud.
Come potrebbe quindi intervenire la contrattazione decentrata?
La contrattazione di secondo livello serve proprio ad adeguare la retribuzione nazionale allo specifico contesto territoriale o aziendale, tenendo quindi conto delle specifiche peculiarità geografiche e settoriali. È dunque necessaria una ripresa della contrattazione.
Qual è la situazione nella nostra Provincia?
Stando ai dati di gennaio 2023 diffusi dal Ministero del Lavoro, in Alto Adige sono attivi 12 contratti territoriali, inclusi il contratto dei dipendenti pubblici e quello dell’agricoltura, e 57 aziendali. Nel nostro studio abbiamo analizzato i 43 contratti collettivi nazionali maggiormente rappresentativi nel settore privato altoatesino, riscontrando come solamente in 13 settori venga applicato un contratto di secondo livello che prevede un elemento integrativo.
Qual è quindi l’incidenza di questo elemento sul trattamento economico minimo previsto dal contratto collettivo nazionale? Quali sono le categorie meglio posizionate? E quelle che invece soffrono di più?
L’incidenza dell’elemento integrativo oscilla fra un +0,5% e un +12,8% a seconda del settore. In testa alla classifica si trova il settore metalmeccanico artigiano che prevede un elemento integrativo mensile che incide per il 12,8% sulla retribuzione nazionale. Segue il legno artigiano con un +7,4% e tutto il comparto del turismo con un’incidenza fra il +6,5% e il +6,9% sulla retribuzione mensile nazionale. Parliamo di cifre che oscillano circa tra 100 e 187 euro lordi mensili. A chiudere il settore del commercio con 8 euro lordi mensili, pari a un +0,5% sul minimo tabellare. Va precisato che abbiamo considerato i livelli di inquadramento di lavoratori qualificati, cioè che hanno svolto un percorso formativo o di apprendistato.
Ci sono settori in cui la situazione della contrattazione decentrata è più critica?
L’esempio lampante è il settore dell’artigianato che, fatta eccezione per il metalmeccanico e il legno, è quasi del tutto escluso dalla contrattazione decentrata. In Alto Adige ci sono, per esempio, molti parrucchieri, estetisti e lavoratori del settore alimentare per cui non sono previsti contratti territoriali.
Nel nostro Paese, infatti, oltre il 90% dei lavoratori è tutelato da un contratto collettivo
Si sente molto parlare di salario minimo. È una soluzione percorribile? Come si potrebbe rapportare con la contrattazione?
Il motivo per cui si parla molto di salario minimo è la Direttiva UE n. 2041 del 2022, che stabilisce per gli Stati membri l’introduzione di un salario minimo o la ripresa della contrattazione collettiva. In particolare, il salario minimo deve essere introdotto in tutti quei Paesi in cui la contrattazione non è sviluppata oltre l’80%. Non è comunque questo il caso dell’Italia: nel nostro Paese, infatti, oltre il 90% dei lavoratori è tutelato da un contratto collettivo. Nel nostro Paese si potrebbe dunque pensare di fare come in Germania, dove contrattazione collettiva e salario minimo coesistono.
23 dei 43 contratti collettivi analizzati prevedono una retribuzione minima superiore ai 9 euro lordi l’ora, cifra indicata in una proposta di legge sul tema presentata quest’anno.
Come si potrebbe favorire questa coesistenza?
Si potrebbe partire da una riorganizzazione della materia contrattuale, con l’introduzione di una soglia minima di rappresentatività per le organizzazioni sindacali. Andrebbe quindi estesa la parte economica dei contratti collettivi maggiormente rappresentativi per ciascun settore e, infine, il legislatore dovrebbe prevedere un salario minimo nei casi in cui la retribuzione sia inferiore a una determinata soglia.
Rifacendoci ancora al nostro studio, 23 dei 43 contratti collettivi analizzati prevedono una retribuzione minima superiore ai 9 euro lordi l’ora, cifra indicata in una proposta di legge sul tema presentata quest’anno.
Occorre riprendere la contrattazione nazionale e quella di secondo livello. Se questo non accade, i lavoratori si trovano a dover integrare il salario in metodi poco ortodossi che rischiano di sfociare nell’illegalità:
Quali potrebbero essere altre soluzioni per adeguare gli stipendi al costo della vita?
Occorre riprendere la contrattazione nazionale e quella di secondo livello. Se questo non accade, i lavoratori si trovano a dover integrare il salario in metodi poco ortodossi che rischiano di sfociare nell’illegalità: faccio riferimento a eccessive ore di lavoro, ricerca di secondi o terzi lavori o addirittura lavoro in nero. L’alternativa è l’implementazione di misure sociali di integrazione del reddito, le quali gravano però sulla spesa pubblica.