Economia | Latte fieno?

L’identikit del prodotto nasce al NOI

La produzione di latte fieno è regolata nei minimi dettagli ed è rigorosamente controllata, ma attualmente non esistono metodi analitici per garantire l’autenticità di questo prodotto analizzando il latte.
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NOI LABS Heumilch
Foto: ©www.wisthaler.com

Il segreto è nel nome: latte fieno. La peculiarità di questo prodotto sta tutta nell’alimentazione di chi lo produce, cioè le mucche delle stalle dell’Alto Adige che si nutrono esclusivamente di erba, fieno e di una quantità limitata di mangimi concentrati. Per poter utilizzare la denominazione “latte fieno”, infatti, è assolutamente vietato utilizzare foraggio insilato, ossia foraggio conservato in silos dove viene rimosso tutto l’ossigeno presente, originando un particolare processo di fermentazione che rende il foraggio acido e permette così di conservarlo più a lungo. Ma quali sono i vantaggi del latte fieno? Questo tipo di latte contiene una percentuale più elevata di omega-3 che l’organismo non è in grado di produrre e che contribuiscono, ad esempio, al mantenimento di livelli normali di colesterolo nel sangue: un alimento prezioso dunque, che nel 2016 l’Unione europea ha denominato “specialità tradizionale garantita”.
 

Come distinguere quindi un bicchiere di latte normale da uno di latte fieno?

La produzione di latte fieno è regolata nei minimi dettagli ed è rigorosamente controllata maso per maso, stalla per stalla, ma attualmente non esistono, invece, metodi analitici per garantire l’autenticità di questo prodotto analizzando il latte. Come distinguere quindi un bicchiere di latte normale da uno di latte fieno? A questa domanda vuole rispondere un team composto dai gruppi di lavoro del Laboratorio per aromi e metaboliti del Centro di sperimentazione di Laimburg e del Food Technology Lab dell’università di Bolzano (entrambi al NOI Techpark), della Federazione latterie dell’Alto Adige e del Bring, l’organo consultivo per l’agricoltura di montagna.

«Il latte fieno è un prodotto molto importante per le nostre latterie e i contadini che scelgono di produrlo, grazie alla cura di prati e pascoli, garantiscono la biodiversità di erbe e piante aromatiche e la tutela del paesaggio alpino – dichiara la direttrice della Federazione Annemarie Kaser –. I decreti che ne regolano la produzione prevedono controlli periodici della tracciabilità e della corretta alimentazione delle vacche da latte, ma avere a disposizione un metodo analitico per il controllo diretto del latte fieno –  in grado di individuare eventuali non conformità nella produzione – sarebbe una sicurezza in più».

Tutto ruota attorno a una classe di composti organici dal nome decisamente complesso: acidi grassi ciclopropanici. «Vengono prodotti da alcuni microrganismi durante il processo di fermentazione del mais insilato – spiega Elena Venir, responsabile del gruppo di lavoro Trasformazione dei prodotti ortofrutticoli del centro di Laimburg – e sono stati riconosciuti come marcatori – ossia elementi distintivi – per l’autenticazione del Grana Padano e del Parmigiano reggiano. Questi elementi si possono, infatti, individuare nel latte di mucche alimentate con foraggio insilato, come nel caso del Grana, mentre sono sempre assenti nel latte delle mucche a cui non vengono dati foraggi insilati, come prevede invece il disciplinare del Parmigiano».

Perché non usare quindi questo metodo per distinguere il latte fieno da quello normale? Da qui prende le mosse un progetto che è ancora in corso e si concluderà a marzo del prossimo anno: «Abbiamo dovuto adattare il modello prima di tutto alla prassi altoatesina – spiega il ricercatore di Laimburg Federico Fava – perché qui a essere usato è soprattutto l’insilato di erba e non di mais come avviene in pianura, poi l’abbiamo dovuto adeguare ai macchinari a nostra disposizione».

Dalla Bassa Atesina all’alta montagna, trenta stalle sono state selezionate per fornire i loro campioni ai laboratori, che li hanno analizzati per due anni e quattro stagioni (due invernali e due estive). «Nel latte prodotto durante il periodo invernale è stato più facile vedere le differenze tra i campioni, perché le mucche non vanno al pascolo e non si nutrono di erba fresca – spiega Ksenia Morozova, ricercatrice del Food technology lab dell’università di Bolzano – mentre per il periodo estivo è stato più complicato».

Ma la buona notizia è che, stando alle analisi condotte finora, «nel latte fieno non abbiamo trovato quel particolare tipo di composto organico – conferma Fava – mentre lo abbiamo sempre individuato quando nella dieta delle mucche era presente l’insilato di mais, come già sperimentato dagli studiosi che si sono occupati di Grana e Parmigiano. Quando il latte proviene da bovine che si sono nutrite di insilato di erba lo abbiamo trovato, ma non in tutti i campioni».

Come spesso accade nella ricerca, dunque, il raggiungimento di un risultato porta alla comparsa di nuove domande. La risposta potrebbe arrivare al termine dell’analisi, ancora in corso, di tutti i campioni prelevati: per individuare senza tema di smentita un bicchiere di latte fieno ci vorrà ancora un po’ di pazienza.