Ambiente | Stupori

La neve in testa

Perché ad ogni nuova nevicata si ascoltano o si leggono reazioni di ammirato stupore?

Prima ancora di essere un fenomeno meteorologico, cioè del mondo “reale”, la neve è un fenomeno psichico, vale a dire uno stato della mente. In modo manifesto: un fenomeno della mente infantile. Non si spiegherebbero altrimenti i commenti entusiastici che, quando i bianchi fiocchi ricominciano a cadere, ogni volta si diffondono nella cerchia dei conoscenti, anche quelli apparentemente più restii a lasciarsi andare a sensazioni di acerbo stupore.

Fotografia di Francesco Liturri, pubblicata sulla pagina Facebook "W la neve a Bolzano"

A proposito di “stupore infantile”, riporto l'apertura di un vecchio libro di Elémire Zolla dedicato proprio a questa condizione: “Qui dell’infanzia come premessa gloriosa e tradita dell’esistenza si ragiona, luogo ideale dove si cela l’Unità ed estasi da cui ogni sentimento promana. È nell’esperienza dell’infanzia che nasce la conoscenza senza dualità, la filosofia spinta al di là delle parole. Dove si può ritrovare l’incanto dell’infanzia?”. Non c'è dubbio che la neve restituisca tale incanto, riunendo in sé almeno tre caratteristiche che le corrispondono perfettamente: si dà perlopiù come evento (atteso o sorprendente), segnalando quindi un distacco dalle abitudini percettive prevalenti; ha una consistenza soffice, che attribuiamo al fiabesco; ricopre tutto di bianco, come un foglio che cancella l'esistente e sul quale ci immaginiamo sia possibile ricominciare a scrivere nuove storie, anche semplicemente deponendoci sopra i nostri passi.

Questi sono ovviamente effetti associati alla “prima neve”, quella appena caduta ma soprattutto quella che sta cadendo, che ci sorprende a guardarla scendere incantati (e sicuramente esistono fotografie di volti immortalati in una tipica espressione da “prima neve che cade”). Il resto, poi, è anche dato dai giochi e dalle memorie di giochi che si associano alla neve: dagli scambi di palle lanciate agli sport invernali praticati in uno scenario naturalmente innevato (tristissimo, invece, il medesimo scenario se prodotto artificialmente)

(Qui interpolo un ricordo personale. Inverno 1994, Villa Guastavillani, Bologna. Abitavo sui colli, durante l'anno di servizio civile, insieme a un manipolo di altri obiettori. Quando cadde la neve ci precipitammo fuori a fare a pallate con un gruppo di ragazze, musiciste di un'orchestra, anche loro confinate lassù, in un'altra ala della villa. Fare a pallate di neve ha un indefinibile retrogusto erotico, come cantavano giustamente i Cinytalk in un brano di qualche tempo fa).

Fotografia di Luca Sticcotti, pubblicata sulla pagina Facebook "W la neve a Bolzano"

Ma ecco un'altra storia di neve che fonde quanto appena detto alla perfezione.

Accadde a Praga, nel 1611. In una nevosa notte di fine dicembre Keplero camminava tutto solo sul Ponte Carlo, afflitto dal freddo e dall’angustia di non avere un regalo da offrire per capodanno al suo amico e mecenate, protettore e benefattore, il dignitario dell’imperatore di Boemia e sostenitore di scienziati e letterati Johannes Matthäus von Wackenfels. Mentre, assorto nei suoi pensieri, osservava i fiocchi che gli cadevano sulle falde del pastrano, fu colto di sorpresa da un’idea. A quell’amante delle arti che si dilettava del Nulla doveva donare un oggetto «di tenue importanza, di piccola misura, di prezzo minimo, e neanche granché durevole». Un rompicapo per ricomporre il disegno della neve. Compose così in forma di trattato la sua strenna. Lo intitolò Strena seu de nive sexangula. Lo dedicò «all’Illustre Signor Consigliere aulico di sua Maestà l’Imperatore, Cavaliere del Vello d’Oro e titolare di molte altre distinzioni». E vi riunì a mo’ di congettura le ragioni per cui «le nevi, alla loro prima caduta, prima di aggrovigliarsi in fiocchi più grossi, sono sempre esagonali, e hanno, ogni volta, sei raggi vellutati come piume». L’esagono, ipotizzava l’astronomo, era il poligono più vicino al cerchio a originare una tassellatura del piano; compariva nella struttura dei corpi inanimati, distinti da animali o vegetali; era un riflesso della mente del Creatore nella natura. Anche il giglio però aveva sei petali, e i minerali presentavano un’infinità di forme… Infine Keplero si arrese, non giunse a una conclusione, offrì il proprio libello come «un’approssimazione» e invitò il suo lettore a cercare da solo la risposta.

E' tutto qui. La passeggiata dello scienziato (ossia di un custode senile dello stupore infantile) nella neve, l'idea di un dono ineffabile, la forma geometrica e casuale che riflette un ordine imperscrutabile della natura. Mentre il segreto dell'universo si svela rimanendo tuttavia enigmatico.