Ambiente | Dati & clima

Ma che caldo fa

Una mappa interattiva mostra l’aumento delle temperature nei comuni d’Europa – con un triste primato per il Sudtirolo. Matteo Moretti: “Trasformare i dati in bene comune”
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Foto: climatechange.europeandatajournalism.eu

Ma che freddo fa”, recita un famosissimo ritornello di Nada Malanima. Ed è esattamente ciò che avranno pensato in molti durante le abbondanti nevicate di questi giorni, a dispetto di quanto sostengano i climatologi – ovvero che alle nostre latitudini tormente e freddo polare siano anch’essi conseguenza del riscaldamento climatico, ad esempio per il surriscaldamento della stratosfera (lo “stratwarming”).

Anche i risultati di una ricerca condotta dall’Osservatorio Balcani-Caucaso, nell'ambito del progetto European Data Journalism Network e in collaborazione con Sheldon.studio di Bolzano, confermano che in Europa è in atto un aumento significativo delle temperature medie. Tra i circa 100mila comuni europei analizzati, in ben due terzi l'aumento della temperatura media in cinquant’anni è di due gradi, e nei casi più estremi raggiunge addirittura i 5°C di differenza tra gli anni sessanta e i giorni nostri. “E le zone che più stanno subendo il climate change sono quelle più fredde, contrariamente a quanto si pensi” fa notare il designer bolzanino Matteo Moretti, che con Sheldon.studio ha realizzato una mappa interattiva dove poter consultare i dati raccolti.

“Dalla mappa si nota come Norvegia e Regno Unito siano colorate di rosso. Pure la Provincia di Bolzano detiene un triste primato: è la regione italiana con il maggiore aumento di temperatura, 2,71 gradi” prosegue Moretti. Il Comune sudtirolese con il maggiore aumento di temperatura media tra il 1960 e il 2018 è Curon Venosta (+3,6°C), il minore aumento si registra a Lauregno (+1,8°C).

 

Salto.bz: Com’è nata l’idea di collaborare con lo European Data Journalism Network sulle questioni climatiche?

Matteo Moretti: Lo “European Data Journalism Network” è una rete europea che ha sede a Trento e fa capo all’Osservatorio Balcani-Caucaso (OBC). Prende dataset su tematiche di ampio respiro e li mette a disposizione di varie testate europee, come Der Spiegel e El Confidencial. Noi abbiamo consigliato loro di non creare solo dei “semilavorati” per altri giornali, ma anche produrre qualcosa di proprio.

E quindi di realizzare una mappa interattiva.

Esatto. Il data analyst Ornaldo Gjergji dell’OBC si è occupato di mappare le temperature medie a livello europeo e di connetterle ai comuni. Di solito queste mappe usano un sistema che si chiama “choropleth” (la sagoma del territorio comunale con un colore) ma ci piaceva l’idea di restituire un’informazione più capillare, rappresentando i comuni con dei punti. E la densità dei punti racconta anche altre questioni, come la diversa suddivisione amministrativa di ogni paese.

Da dove arrivano i dati – e come mai si conoscono così poco?

I dati arrivano da Copernicus, un programma europeo di monitoraggio dell’ambiente. Sono quindi dati già disponibili, ma vanno messi in fila. Gli open-data rischiano infatti di trasformarsi in un’occasione persa se non vengono resi accessibili, se restano appannaggio solo di chi sa usarli, leggerli e visualizzarli. Vorremmo fare un passo ulteriore, creando degli strumenti che appassionino le persone, che riescano ad “aprire” gli open data per non restare nella propria bolla. Sapere che l’Unione europea raccoglie da 40 anni dati sulle temperature di ogni comune europeo, è un elemento di assoluto valore che può stimolare altre persone ad analizzarli. Magari per capirne di più: comuni adiacenti hanno medie climatiche differenti, perché? Ci sono diversi fattori, non solo geografici.

 

Quali obiettivi vi siete prefissati con la mappa interattiva?

Sheldon.studio fa information design unendo il mondo del design a quello dell’informazione: quindi non solo infografiche, ma visual e data journalism. Quello che cerchiamo di fare è trasformare in dati in un bene comune, uno strumento a disposizione della comunità, nel senso più ampio del termine. E la mappa non è solo visualizzazione dei dati: quando clicchi sulla singola municipalità c’è un minimo di narrazione che tiene insieme più elementi. L’idea è quello che uno si immerga, un’immersione nell’informazione che non è più quella tradizionale, testuale – sempre meno letta, se non nel titolo – ma spinga a esplorare. Inizieremo una campagna che lavori anche sul piano emotivo.

Cioè?

Stimolando la curiosità nel saltare da un comune all’altro, linkandoli tra loro come su Wikipedia. E lavorando sul narcisismo tipico dei social network: quando condividi sui social la tua città si genera l’immagine di anteprima con il nome del luogo e l’aumento di temperatura. Inoltre, stiamo promuovendo ironicamente la mappa taggando personaggi famosi, come Fedez, Sting, Clooney, David Attenborough, Elly Schlein… Occorre divulgare in un’altra maniera, che sia più vicina alle esperienze e ai mezzi delle persone, ad esempio sugli smartphone (la mappa si può consultare facilmente dal browser del cellulare, ndr).

Su temi così complessi il lettore medio non ha il tempo di fare il lavoro di incrocio delle fonti tipico del giornalista.

Il tema del riscaldamento climatico è stato per un paio d’anni sulla cresta dell’onda. Onda che si è (almeno in parte) infranta sugli scogli della pandemia. Questa ricerca contribuisce a restituirle attenzione.

Tutte le emergenze delle quali siamo vittime, ma anche responsabili – migrazioni, violenza di genere e via dicendo – sono rappresentate in maniera effimera dalla stampa mainstream. Il design non può cambiare il mondo, da solo, ma certo una società meglio informata porta una maggiore consapevolezza su grandi temi come il cambiamento climatico o i femminicidi sui quali siamo chiamati a rispondere e che i nostri figli si troveranno di fronte. Il Covid-19 ha certamente un po’ asfaltato il dibattito sul clima, soprattutto in Italia dove i media sono particolarmente ansiogeni nell’utilizzo dei numeri.

Il Covid-19 ci ha portato a un’overdose dei dati. I numeri dicono qualcosa, certamente, ma non sono un dato oggettivo, soprattutto per chi – comprensibilmente – non possiede gli strumenti per interpretarli da solo e deve ricorrere a qualcuno che glieli spieghi. Come se ne esce?

Sul sito abbiamo un manifesto, e il primo punto recita “i dati sono un’opinione”. Un’espressione provocatoria, che al tempo fece Salvatore Iaconesi. Che i dati non mentano è la più grande menzogna che sia mai stata raccontata: i dati, se opportunamente torturati, dicono quello che vuoi. È quello che accade con il racconto dei fenomeni migratori. Va detto che il Covid ha reso i dati protagonisti e anche chi non sapeva cosa fosse una curva logaritmica, adesso è “alfabetizzato”. Ma i dati continuano a essere usati come grimaldello per confermare le proprie posizioni, come pregiudizio di conferma: un classico dei social network.

 

Nella questione climatica cosa ha notato di specifico rispetto ad altre tematiche?

Non sono un esperto climatologo, il nostro è un lavoro di divulgazione ai cittadini. E al di là della narrazione “catastrofica”, quando dici che la temperatura media è aumentata di due gradi o la dimensione del ghiacciaio si è ridotta “solo” di qualche centimetro, si tende a relativizzare. Il problema delle questioni climatiche è parlare solo dell’oggi e in piccoli numeri di poco valore. Quando realizzi che una goccia alla volta si arriva a un’escalation, e questa è più prossima a te, le cose cambiano: per esempio, se tramite un’infografica ti spiego quante notti in più trascorri insonne per l’afa o l’aumento delle zanzare.

La vostra ricerca sul clima avrà ulteriori tappe?

Ci piacerebbe prendere questa mappa e farne una versione animata, aggiungendo un’ulteriore componente temporale: ora si vede solo l’ultimo anno, e non il processo. Per capire come sono aumentate le temperature in relazione a specifiche caratteristiche del territorio e alle sue trasformazioni – ad esempio per via della cementificazione. Siamo comunque sempre al lavoro su questioni di rilevanza sociale e ci piacerebbe lavorare con realtà locali, mettendo a disposizione le nostre competenze.