Pasolini, Roma
Pasolini è senza ombra di dubbio uno degli intellettuali italiani più influenti del ventesimo secolo. La sua critica al consumismo e alla massificazione dei costumi come vero compimento del fascismo (fascismo che lui, al contrario, riteneva incapace di aver cambiato nella sostanza l'Italia) sono forse una delle ultime poche idee “forti”, vale a dire critiche, che questo paese è riuscito ad esprimere prima di essere assorbito senza residui dalle dinamiche che lo scrittore osava mettere in questione nel preciso momento in cui esse avevano preso a formarsi.
Pasolini è stato però anche un autore intimamente (il che non vuol dire affatto interamente) “romano”. A Roma arriva all'età di ventotto anni, dopo essere stato rimosso dall'insegnamento nelle scuole pubbliche ed espulso dal Partito comunista, nel quale militava. Il motivo: una denuncia per atti osceni con adolescenti in occasione di una sagra di paese friulana, sua terra di origine. La capitale diventa così un luogo nel quale rifugiarsi, e dal quale lui trarrà immediatamente ispirazione per volgere in chiave poetica i propri tormenti esistenziali. Dagli inizi non facili (“io vivevo come può vivere un condannato a morte, sempre con quel pensiero come una cosa addosso, - disonore, disoccupazione, miseria”), ai primi successi letterari, le collaborazioni col mondo del cinema, fino alla lenta penetrazione nella falsa coscienza morale del Paese, da dove verrà fisicamente estirpato la notte tra il primo e il due di novembre 1975, ucciso sulla spiaggia di Ostia.
Ma una domanda che coglie lo spettatore della mostra, e che ha colto anche me: tutta questa potenza espressiva, distribuita poi nei molteplici rivoli di una curiosità vorace di ogni tecnica (qui sono documentati per esempio i suoi sforzi figurativi, tutt’altro che disprezzabili), a cosa realmente è servita? Pasolini è stato un poeta (nel senso più ampio di quest'espressione) ferocemente schierato contro la modernità, ne ha denunciato le storture fino a sporgersi pericolosamente sul versante che immagina l'antidoto a ritroso, nel rimpianto delle epoche passate. Consapevole di questo, ha però sempre scartato di lato, interpretando con facilità il ruolo di provocatore nel contesto di un paese allora sin troppo facile da provocare. Oggi non sarebbe più così. Il ruolo dell'intellettuale (che Pasolini aveva chiarissimo) è sbiadito per sempre fondendosi con quello di un banale opinionista, per il quale la televisione non è certo un “nemico” dal quale distanziarsi, ma un traguardo al quale aspirare. Scartare di lato, in tale contesto, non è soltanto diventato difficile o magari impossibile, ma soprattutto inutile. Ed è così in fondo anche per Roma, la città un tempo teatro di dannazioni e salvezze (sia pure nel campo più ristretto dell'arte) e oggi capitale affaticata e faticosa, nella quale solo a strappi sopravvive la “grande bellezza”, mentre per il resto è diventato quasi tutto pigra abitudine e insensibilità a una cospicua dose di bruttezza.
La mostra "Pasolini Roma", al Palazzo delle Esposizioni di Roma, è aperta fino al 20 luglio
L'ossatura
Direi che il pensiero di Pasolini costituisce proprio l'ossatura della mostra. Una mostra ben fatta, godibilissima e ricca di spunti.