Politica | Società ed economia

Il falso mito della proporzionale

Come un principio redatto a salvaguardia del gruppo etnico tedesco si è rivelato un sistema di compressione occupazionale a sfavore del gruppo etnico italiano.
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale dell’autore e non necessariamente quella della redazione di SALTO.

In un articolo di qualche settimana fa, pubblicato dalla redazione di salto.bz e dal titolo «Un giovane su 4 non sa cos’è la proporz», si è potuto leggere quanto segue:

 

«Il termine è tornato d’attualità per qualche giorno quando l’Svp a giugno ha deciso di forzare la mano sulla legge per l’edilizia sociale, ma la “proporzionale etnica” è totalmente uscita dal dibattito politico da circa sei anni, e cioè dal clamoroso "nulla di fatto" espresso dalla “Convenzione per l’autonomia”. Ma in realtà la proporz è stata “mentalmente archiviata” da tutta la classe politica da quando nei primi anni Duemila è stata la destra italiana, rappresentata da Giorgio Holzmann, a definirla come “un bene” anche per il gruppo linguistico italiano. Uno strumento, utile, cioè, per tenere almeno “salda” la posizione nel comparto pubblico che è di gran lunga il principale sbocco lavorativo per il gruppo italiano [grassetto NdA]. Ma ciononostante -stando a una statistica diffusa oggi (22 luglio) dall’Astat il gruppo italiano resta molto perplesso sul suo mantenimento».

 

La proporzionale è uno strumento, utile per tenere almeno “salda” la posizione nel comparto pubblico che è di gran lunga il principale sbocco lavorativo per il gruppo italiano

 

Dalla citazione non si capisce se la frase «Uno strumento, utile, cioè, per tenere almeno “salda” la posizione nel comparto pubblico che è di gran lunga il principale sbocco lavorativo per il gruppo italiano» sia da attribuire a Holzmann o al redattore dell’articolo. Ciò che invece è evidente per chi conosce la materia è che si tratta di un falso.
Chiarito in premessa che il tema in esame riguarda il solo istituto della proporzionale relativo al pubblico impiego, per procedere con l’esposizione è necessario partire con un excursus storico.
Il trattato internazionale firmato il 5 settembre 1946 a Parigi - a margine dei lavori della Conferenza di pace in esito alla conclusione della seconda guerra mondiale - per definire la questione della tutela della minoranza etnica tedesca della regione Trentino-Alto Adige previde anche «l'uguaglianza di diritti per ciò che concerne l'ammissione nelle pubbliche amministrazioni con lo scopo di raggiungere nell'impiego una proporzione più adeguata tra i due gruppi etnici». Il punto dell’accordo citato aveva fondamento nella volontà di contrastare (una sorta di “affirmative action” ante litteram) tramite il riequilibrio della proporzione tra i gruppi etnolinguistici ivi occupati, la discriminazione operata dal regime fascista dal 1922 al 1943 con l’italianizzazione del personale in seno alla pubblica amministrazione sudtirolese.
Il principio enunciato nell’accordo di Parigi trovò poi compiutezza e fondamento giuridico nell’approvazione dello statuto di autonomia del 1972:

 

I posti dei ruoli, di cui al primo comma [il titolo del relativo articolo è: «89. Ruoli del personale di uffici statali in provincia di Bolzano»], considerati per amministrazione e per carriera, sono riservati a cittadini appartenenti a ciascuno dei tre gruppi linguistici, in rapporto alla consistenza dei gruppi stessi, quale risulta dalle dichiarazioni di appartenenza rese nel censimento ufficiale della popolazione.
L’attribuzione dei posti riservati a cittadini di lingua tedesca e ladina sarà effettuata gradualmente, sino al raggiungimento delle quote di cui al comma precedente, mediante le nuove assunzioni in relazione alle vacanze che per qualsiasi motivo si determinano nei singoli ruoli.

 

L’attribuzione dei posti riservati a cittadini di lingua tedesca e ladina sarà effettuata gradualmente, sino al raggiungimento delle quote di cui al comma precedente, mediante le nuove assunzioni in relazione alle vacanze che per qualsiasi motivo si determinano nei singoli ruoli

 

Sul fatto che la conseguenza dell’approvazione dello statuto di autonomia del 1972 per la parte citata sia quindi la compressione occupazionale del gruppo etnolinguistico italiano - che si dichiari come tale - nel pubblico impiego, non ci sono dubbi: quanto meno, fino al «raggiungimento delle quote … mediante le nuove assunzioni … in rapporto alla consistenza dei gruppi stessi».
A spiegare cosa non funzioni in un principio che in teoria nasce per rimediare ad una discriminazione occupazionale a sfavore di un gruppo etnico specifico ci pensa prima la sociologa Flavia Pristinger, autrice del libro pubblicato nel 1978 da Patron editore e intitolato «La minoranza dominante nel Sudtirolo. Divisione etnica del lavoro e processi di modernizzazione dall'annessione agli anni Settanta», poi i sociologi Sabino Acquaviva e Gottfried Eisermann con «Alto Adige. Spartizione subito?» sempre di Patron edtore.
La capacità occupazionale di un dato territorio si configura in base allo stato dei relativi settori economici: primario (agricoltura, allevamento, attività boschive, …), secondario (industria, edilizia, …), terziario base e avanzato (vendita di beni e servizi, …) e pubblica amministrazione. Ciò che rileva Pristinger è che il correttivo della proporzionale – con conseguente discriminazione occupazionale a sfavore del gruppo etnolinguistico italiano - si applica al solo ambito del pubblico impiego lasciando intatti tutti gli altri: che (industria a parte, ma della quale si dirà in seguito) sono a maggioranza assoluta – quando non vera e propria totalità – appannaggio occupazionale del gruppo etnolinguistico tedesco. Riguardo all’industria, è il caso di citare direttamente Pristinger (pag. 89):

 

«Lo sviluppo relativamente modesto dell’industria locale [di fatto creata in Alto Adige a Bolzano dal 1922 in poi, NdA] in questo dopoguerra viene generalmente interpretato come un indicatore significativo di debolezza dell’economia sudtirolese. Le cause sono in parte già note: è questo il settore maggiormente penalizzato dalle conseguenze del conflitto etnico, in un quadro di generale ristagno dell’economia locale che viene delineandosi già sul finire degli anni cinquanta; ma più esattamente, l’inadeguatezza dello sviluppo industriale della provincia si spiega con la politica di “contenimento” applicata per decenni nei confronti di questo settore [storicamente appannaggio del gruppo etnico italiano, NdA], a seguito di un preciso orientamento della leadership del gruppo etnico maggioritario [grassetto NdA]».

 

L’inadeguatezza dello sviluppo industriale della provincia si spiega con la politica di “contenimento” applicata per decenni nei confronti di questo settore, a seguito di un preciso orientamento della leadership del gruppo etnico maggioritario

 

Riassumendo per punti, la situazione è quindi la seguente:

 

  • Il gruppo etnolinguistico tedesco ha a disposizione un’offerta occupazionale cosiddetta esclusiva – ovvero della quale si fruisce già solo per appartenenza etnica - comprendente tutti gli ambiti tranne il pubblico impiego (dove si entra per concorso) e l’industria.
  • Il gruppo etnolinguistico italiano ha a disposizione un’offerta occupazionale cosiddetta escludente – ovvero della quale si può fruire del tutto marginalmente se non si ha la stessa appartenenza etnica - tranne il pubblico impiego (dove si entra per concorso) e l’industria.
  • Lo statuto di autonomia ha, tramite la proporzionale, prima bloccato e poi compresso l’offerta occupazionale nel pubblico impiego per il gruppo etnolinguistico italiano senza però applicare per quest’ultimo alcun altro correttivo speculare per gli altri settori occupazionali.
  • La leadership del gruppo etnolinguistico tedesco ha applicato una politica di “contenimento” al settore industria – e conseguentemente, alla sua capacità occupazionale -, storicamente appannaggio del gruppo etnolinguistico italiano.

Alla luce di questi fatti si evidenzia la falsità dell’assunto di cui alla frase citata in apertura e qui riproposta:

 

Ma in realtà la proporz è stata “mentalmente archiviata” da tutta la classe politica da quando nei primi anni Duemila è stata la destra italiana, rappresentata da Giorgio Holzmann, a definirla come “un bene” anche per il gruppo linguistico italiano. Uno strumento, utile, cioè, per tenere almeno “salda” la posizione nel comparto pubblico che è di gran lunga il principale sbocco lavorativo per il gruppo italiano [grassetto NdA]

 

e senza voler considerare l’altro fatto che è lo stesso, di nuovo non si sa se Holzmann o l’estensore dell’articolo, a confermare involontariamente una delle basi di quanto qui esposto scrivendo per l’appunto che il «comparto pubblico […] è di gran lunga il principale sbocco lavorativo per il gruppo italiano».
Riguardo infine all’ulteriore fatto che la destra italiana avrebbe definito la proporzionale «“un bene” anche per il gruppo linguistico italiano», è del pari evidente come detta preventiva dichiarazione politica sia semplicemente da inquadrarsi nell’obbligatorio passaggio attraverso le cosiddette “forche caudine” dell’accettazione acritica assoluta della bontà dell’autonomia– della quale la proporzionale qui esaminata rappresenta uno dei fondamenti – anche per il gruppo etnico italiano quale conditio sine qua non per una, se pur remota nel caso dell’allora Alleanza Nazionale capitanata in Alto Adige da Giorgio Holzmann (che alle elezioni provinciali del 26 ottobre 2003 vantò ben 3 ingressi in consiglio provinciale a fronte di un governo nazionale di centrodestra a guida Silvio Berlusconi dal 11 giugno 2001), possibile chiamata alla giunta provinciale da parte del partito di governo sudtirolese.

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Aggiornamento del 7 febbraio 2023

Sul quotidiano Alto Adige di oggi è stata pubblicata una mia lettera che riprende in sintesi i temi di cui a questo articolo. La riporto di seguito con la risposta del direttore del giornale..

Proporzionale ai nostri tempi
La provocazione sul bilinguismo

Gentile direttore,
raccolgo la “provocazione” di cui alla lettera pubblicata il 1 febbraio scorso e intitolata «Se un marziano vedesse il bilinguismo…» per replicare quanto segue.
Che l’obbligo di bilinguismo possa far parte di «un raffinato disegno di pulizia etnica di lungo-lunghissimo periodo» è ovviamente un’affermazione abnorme, come del resto premesso dallo stesso autore: il diritto di rivolgersi agli uffici pubblici potendolo fare nella propria lingua è giusto e intangibile.
Riguardo alla proporzionale, invece, non ne sarei così sicuro. Fatta la debita tara al linguaggio, che l’istituto che regola l’assegnazione dei posti pubblici suddividendoli per gruppo etnolinguistico fosse anche uno strumento per comprimere l’offerta occupazionale della comunità altoatesina lo avevano già svelato i sociologi Flavia Pristinger, Sabino Acquaviva e Gottfried Eisermann nelle due pubblicazioni uscite alla fine degli anni 70 ed evidenzianti in sintesi quanto segue.
Il gruppo etnolinguistico tedesco ha a disposizione un’offerta occupazionale cosiddetta esclusiva – ovvero della quale si fruisce già solo per appartenenza etnica - comprendente tutti gli ambiti tranne il pubblico impiego dove si entra per concorso. Il gruppo etnolinguistico italiano ha a disposizione un’offerta occupazionale cosiddetta escludente – ovvero della quale si può fruire del tutto marginalmente se non si ha la stessa appartenenza etnica - tranne il pubblico impiego dove si entra per concorso. Lo statuto di autonomia ha, tramite la proporzionale, prima bloccato e poi compresso l’offerta occupazionale nel pubblico impiego per il gruppo etnolinguistico italiano – notoriamente di gran lunga il principale sbocco lavorativo di quest’ultimo - senza però applicare per quest’ultimo alcun altro correttivo speculare per gli altri settori occupazionali.
Ora: per tornare alla “provocazione” a cui qui sto rispondendo, io non ho nessun problema a riconoscere l’opera di intelligenze finissime nella stesura di uno statuto di autonomia che tutela una minoranza linguistica come poche altre – o forse nessuna - al mondo. Per le medesime premesse non posso però pensare che le stesse intelligenze non sapessero che il sistema proporzionale applicato al pubblico impiego avrebbe comportato questi effetti e non lo abbiano quindi volontariamente posto in atto anche per questo. Perché in tal caso ad essere offesa sarebbe la mia, di intelligenza.

Fa molto bene a ricordare quelle pubblicazioni, i convegni di quel tempo lontano e lo sforzo dei tanti intellettuali che hanno studiato, soprattutto in quegli anni, il "caso altoatesino". Oggi - e lo dico soprattutto alla politica - servirebbe riprendere quel percorso interrogandosi su un tempo che è profondamente diverso da quello degli anni Settanta. E adeguando le norme all'oggi.

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