Trasnazionalismi definitivi. Italia, addio
Oggi è un giorno particolarmente triste per me. Sono affranta, mogia, quasi spossata.
Sono giorni di addii e di partenze. E intorno a me, nel mio piccolo paese di Langa tutto preso da festeggiamenti vari, sembra nessuno percepisca questa atmosfera. Insomma, l’importante è che dall’esterno si dia l’impressione di esser un luogo ameno e felice. Poi, i problemi, li spazziamo sotto il tappeto.
Mi spiego. Da circa un anno e mezzo la comunità marocchina del paese in cui vivo, ormai installata e radicata da oltre vent’anni, sta iniziando a smembrarsi con partenze definitive verso lidi migliori. Leggasi Francia e Belgio. E persino Marocco, dove pare ci siano maggiori possibilità di reinsediamento.
Io credo si tratti di una vera Caporetto di un sistema. Forse qualcuno, cinicamente, penserà “meno problemi in giro”, ma è un atteggiamento miope, ottuso.
Qualche dato generale, per poi arrivare al locale.
Secondo dati Istat pare che nell’ultimo anno circa 800.000 cittadini di origine straniera abbiano lasciato l’Italia. Molti di essi vivono qui da oltre 15 anni, e hanno la cittadinanza italiana. Un 28,8% di questi sono extracomunitari, il cui 44,5 % sono marocchini.
Gente che qui aveva un lavoro, spesso un’attività indipendente da anni, con figli nati e scolarizzati qui. Rimasta senza lavoro e senza reddito, si è trovata costretta ad abbandonare forzatamente un paese che sente proprio, ma che non ha più nulla da offrire e da garantire. E allora è partita per Francia, Belgio e il nord Europa, dove lo stato sociale è ancora forte e consente aiuti e sussidi alle famiglie numerose e bisognose. Aiuti per la scuola, per la casa, e maggiori possibilità di trovare un lavoro.
Qui nel mio paesino di 5000 anime, sono almeno una decina le famiglie marocchine (su una popolazione di circa 250 persone) che si sono trasferite in Francia o sono in procinto di farlo.
Per un certo periodo gli uomini hanno vissuto con modalità transnazionali, a cavallo tra le due nazioni, spesso in regioni francesi confinanti con il Piemonte, per trovare certezze lavorative e abitative. Poi hanno scelto e amaramente, soprattutto per i loro figli italiani, di varcare definitivamente le Alpi.
Oggi al telefono con F., amica carissima e mia insegnante di arabo, sono rimasta senza parole.
Lei, dall’altra parte, singhiozzava e piangeva:
“Mio marito è più di vent’anni che è in Italia, siamo cittadini italiani, le maestre ci hanno fatto i complimenti per quanto vanno bene a scuola i nostri bambini, io sono qui da 16 anni, ho tutto qui.
Cosa possiamo fare? Non ce la facciamo più ad andare avanti.
Ma stai tranquilla Sandra, andiamo vicino, al di là delle Alpi in Savoia, quando finisce la crisi in Italia io voglio tornare perché casa mia è qui”.
E non voglio sentire più parlare di sciocchezze sulla questione della cittadinanza o meno per i figli degli immigrati...
Il paese festeggia, con vino e gastronomia, mentre il sistema economico e sociale crolla. E il sintomo di questo malessere è il fatto che non c’è più posto per chi lavora per noi.
Quando tutti gli immigrati saranno andati via, no, non staremo meglio.
Saremo con i pantaloni a fondo gamba anche noi.