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“Per un giornalismo che non dà risposte”

Ieri a Bolzano la presentazione degli ultimi numeri di Q Code Mag. Dalla Palestina alla Colombia, perché in un tempo senza rotte sempre più forte è il bisogno di mappe.
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Foto: minga indigena

Indipendente, collettivo e multimediale. In un mondo dove il giornalismo è dominato (e accecato) dai flash delle notizie, il progetto di Q Code Magazine ha scelto una forma diversa, lenta, accurata. Ogni tre mesi una rivista, che assomiglia più a un libro, ospita decine di reportage da tutto il mondo che mettono al centro diritti, geopolitiche e culture. Il plurale è d’obbligo, come i titoli che caratterizzano ciascun numero, perché plurale, complessa e sfaccettata è la realtà che prova ad essere raccontata da un giornalismo che non dà risposte, ma vuole al contrario accendere la miccia per scatenare sempre più domande. 
Q Code Magazine nasce nel 2013 fondato da Angelo Miotto, Christian Elia, Nicola Sessa e Gianluca Cecere sulle ceneri del giornale di Emergency, chiuso in seguito a una crisi economica che non dava cenno a risolversi. Q Code è frutto del lavoro volontario di decine di persone, sparse in Italia e nel mondo, che ogni giorno fanno i conti con uno spazio di movimento e azione sempre più ristretto, tanto nel giornalismo mainstream quanto in contesti di lavoro sempre più ostili. 

 

Il lavoro di Q Code è stato ben riassunto da una frase pronunciata ieri (5 settembre) dal co-direttore Christian Elia, invitato a Bolzano dal Centro per la Pace e dalla Fondazione Alexander Langer per presentare “Generi” e “Geografie”, gli ultimi due numeri pubblicati: “Il giornalismo che abbiamo scelto non è quello che parla di Daesh come un’astronave che a un certo punto arriva nei nostri mondi ma è quello che ti spiega le connessioni con quanto accaduto gli anni prima e ti fornisce il contesto, i contesti, in cui si è sviluppata”, ha spiegato Elia dalla sala del Centro Trevi.
Altrettanto evocativi sono stati gli interventi di Francesca Caprini e Laila Sit Aboha.

 

Caprini è una giornalista freelance trentina che da 20 anni accompagna, con l’Associazione Yaku di cui fa parte, numerose popolazioni indigene e contadine dell’America Latina, dalla Bolivia alla Colombia, in difesa della terra, dei diritti e dei beni comuni. Ed è proprio in Colombia, più precisamente nel Putumayo, che la sua strada si è intrecciata con quella di Celeste, una donna indigena trans che vive in uno dei contesti più pericolosi e machisti al mondo, dove la comunità di cui fa parte (e che l’accoglie), resiste quotidianamente ai signori della guerra e del narcotraffico, a chi saccheggia i territori e ne strappa le risorse per il profitto di pochi. La storia di Celeste è raccontata tra le pagine di “Generi”, il numero che Q Code ha deciso di dedicare per le questioni identitarie, sessuali, di genere dove il femminismo, o meglio i femminismi, evolvono tra i dibattiti e l'internazionalità che li attraversa.

 

Laila Sit Aboha, ricercatrice italo-palestinese, esperta di diaspore e identità, nonché giornalista e collaboratrice per Nena News, ha collaborato nella stesura di “Geografie”, un lungo viaggio tra itinerari identitari e letterari, che spaziano dalle mutazioni dei territori in nome di nuove geografie climatiche, politiche, economiche. 
Il processo di colonizzazione della Palestina pertanto è centrale, come è centrale la capacità di indicare un fenomeno complesso, ridotto strumentalmente a mero “derby”, con il termine che più di tutti è in grado di descriverlo: colonizzazione, appunto.

Sit Aboha, figlia della diaspora e attivista per i Giovani Palestinesi d’Italia, racconta una storia personale e collettiva, cominciata con la Nakba, l’espulsione 700.000 di palestinesi (che rappresentano oggi la più grande comunità di profughi al mondo) dai Territori occupati durante l’aggressione del 1947-48, e che continua ancora oggi con leggi sempre più restrittive da parte dello stato di Israele (l’ultima entrata in vigore ieri obbliga gli stranieri, compresi i palestinesi in esilio, a dichiarare all’autorità militare i rapporti sentimentali con i palestinesi residenti in West Bank), arresti arbitrari ed espulsioni forzate. Dal 2009, centinaia di demolizioni di case palestinesi hanno causato 13 mila sfollati dai Territori Occupati. 

In attesa della pubblicazione dei nuovi numeri, che saranno intitolati “Economie” e “Taboo”, è possibile ordinare le copie presentate ieri direttamente sul sito di Q Code Magazine, con possibilità di abbonarsi annualmente alla rivista.