Una generazione da “Tre Euro e Quaranta”
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SALTO: Innanzitutto, come sta?
Antonino Giannotta: Non saprei da dove cominciare, è difficile rimanere lucidi, faccio ancora fatica a capire quello che sta succedendo. Che poi in realtà lo so come siamo arrivati fino a questo punto, alla realizzazione del film intendo. Ho ben presente la fatica che ho e che abbiamo fatto come troupe per realizzare questo film e per promuoverlo, però il fatto che stia realmente accadendo rimane in un certo senso difficile da comprendere.
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Quant’è durata la lavorazione del film?
La produzione del film è cominciata a febbraio, e il 19 luglio lo abbiamo presentato al cinema Beltrade di Milano. Il film però era già pronto due settimane prima della proiezione. Nello specifico, il soggetto del film è arrivato verso fine gennaio, durante un mio attacco di panico notturno devastante. Era quel momento in cui esplode qualcosa che hai tenuto dentro da tempo, l’ora dell’output insomma. In quel momento ho chiesto a Letizia, la mia compagna che recita nel film e che era con me, se avesse voglia di prendere carta e penna e di segnarsi delle mie idee mentre io facevo il corridoio avanti e indietro faticando a respirare. Rileggendo quello che mi era venuto in mente mi ero subito accorto che l’idea era fattibile, perché l’avevo pensata in base a quello che materialmente avevo già a disposizione, ovvero niente, e già questo rappresentava la vera sfida. La sceneggiatura è stata scritta in due settimane, il tutto mentre nel frattempo continuavo a lavorare part-time per un negozio sportivo con orari che cambiavano a seconda della settimana. Nei ritagli di tempo ho organizzato quello che sarebbe poi diventato il team di lavoro di Tre Euro e Quaranta. Per essere più preciso, il 24 gennaio ho creato un reel Instagram per cercare i membri della troupe, e da quel contenuto social sono cominciate ad arrivare moltissime e-mail, abbiamo raggiunto il migliaio. Cercavo una troupe ridotta, che si è composta man mano di giovanissime persone talmente appassionate da aver maturato una capacità professionale, nonostante alcune di queste non siano state mai su un set canonico. E mi azzarderei a dire che alcune di queste sono pure più brave di tante altre “qualificate” che lavorano abitualmente sui set. La produzione era composta da cinque persone, che mi hanno aiutato a scremare le e-mail di chi si proponeva per lavorare al film. Da lì poi abbiamo formato la squadra completa. Eravamo sette persone in troupe, regia, aiuto regia, due direttori della fotografia, un operatore, un segretario di edizione e un fonico.
“il 24 gennaio ho creato un reel Instagram per cercare i membri della troupe, e da quel contenuto social sono cominciate ad arrivare moltissime e-mail, abbiamo raggiunto il migliaio.”
In che periodo avete girato il film?
Abbiamo scelto il periodo pasquale, per diversi motivi. Comincerei col dire che tutte le persone coinvolte nel progetto stavano facendo altri lavori e quindi il periodo di festa ci consentiva di avere meno obblighi lavorativi. Inoltre, nei periodi di festa, Milano si svuota e la città diventa un vero set naturale. La mattina di pasquetta, ad esempio, abbiamo potuto girare una scena che in un giorno qualunque sarebbe stata impossibile da realizzare. L’addetto alla fotografia è venuto da me e abbiamo scritto la “shot list”, cioè tutte le inquadrature, in soli due giorni. I luoghi in cui giravamo le scene appartenevano perlopiù ad amici che ci hanno concesso di utilizzarli, quindi ci adattavamo in base alle possibilità che avevamo sottomano. C’è stato anche un momento in cui, provando un piano sequenza, abbiamo urtato il guard rail di un’autostrada e ci era sembrato che la macchina fosse esplosa. Sul momento è stato terrificante, diciamo che lì mi sono fatto prendere un po’ la mano.
È stato complicato crederci fino alla fine?Il cinema è come tutte le arti. È come la musica, la pittura, eccetera… Se tu vuoi fare qualcosa in quell’ambito devi convincere qualcuno della tua idea ancora prima che quell’idea esista. Questa è la vera sfida. Noi ci siamo detti: “questo è il lavoro che vogliamo fare nella vita e abbiamo già acquisito delle competenze, quindi dimostriamo quello che sappiamo fare”. Questo è il motivo per cui non abbiamo fatto una raccolta fondi prima della realizzazione del progetto, anche se per alcuni può apparire una scelta controintuitiva. Come prima cosa noi volevamo dare un prodotto al pubblico, e solo successivamente aprire una ricerca di finanziamenti. Prima volevamo far capire che le basi erano solide, invece che chiedere soldi solamente sulla fiducia. In sostanza quello che abbiamo fatto è scommettere tutto su noi stessi. Penso che questo sia un approccio sano al concetto di scommessa. Siamo abituati a giocare una schedina, a scommettere che troveremo la fortuna alla cieca, ma siamo poco abitati a puntare su di noi per la paura di fallire. E voglio essere chiaro, non è per nulla facile. Ci vuole una forza immensa e, sotto un certo punto di vista, la passione sconfina spesso in un’ossessione, ma senza che questa assuma una valenza negativa. Forse la cosa più difficile in assoluto era tenere unita la squadra fino alla fine, nonostante le riprese avvenissero sia di notte che di giorno, provocando quindi un’inevitabile stanchezza. Quando abbiamo finito di girare non ci credevamo, anche perché le condizioni metereologiche della settimana di riprese non ci hanno favorito. Non ho mai sentito un freddo così pungente ad aprile a Milano come in quel periodo.
“Siamo abituati a giocare una schedina, a scommettere che troveremo la fortuna alla cieca, ma siamo poco abitati a puntare su di noi per la paura di fallire.”
Una volta ultimate le riprese cos’è successo?
Una cosa molto difficile è stata cominciare col montaggio. Tra il lavoro e le mille cose da fare era difficile trovare del tempo. Era una sofferenza perché finalmente avevo il film sull’hard disk ma riuscivo a lavorarci solo a stento la notte. Poi dopo qualche settimana ho avuto un’epifania mentre mi stavo allacciando un paio di scarpe. Mi sono fermato e ho pensato “ma che cavolo sto facendo?”. Dovevo sbloccare la situazione. Allora ho cominciato a fare due conti, soprattutto a proposito del TFR. Avendo lavorato cinque anni in un negozio sportivo avrei avuto qualche soldo da parte, e questo mi ha convinto a licenziarmi per concentrarmi totalmente sul film, così da poter lavorare finalmente al montaggio. È sicuramente un azzardo, ma ho pensato: “Ma sai che c’è? Se non sbaglio adesso che non ho ancora compiuto trent’anni, quando devo sbagliare?”. Così mi sono buttato, e ho cominciato a lavorare full time al montaggio e a tutta la post-produzione. Per fare più in fretta ho fatto tutto assieme, e intendo audio, musiche, colore, ed è una cosa che di base non si deve fare. Solitamente si fa un montaggio grezzo, da lì si comincia a lavorare sulle musiche e solamente dopo procedi ad occuparti del resto. Facendo tutto assieme invece penso di aver sviluppato dei problemi d’attenzione, perché dovevo sentire tantissime persone contemporaneamente, impegnandomi ad avere sempre la panoramica completa della situazione.
Com’è stata la prima volta che l’avete visto su uno schermo?
Prima di proiettarlo ufficialmente abbiamo fatto una prova con pochi intimi per vedere se andasse tutto bene. E quella sera il film, per un errore d’esportazione, è partito senza colori. Quindi l’ho visto grigio e il primo pensiero che ho avuto è stato che non volevo più saperne, ero nel panico più totale. Poi però abbiamo capito qual era il problema e l’abbiamo sistemato. Abbiamo lavorato anche sull’audio perché, per ultimare il tutto, serve una proiezione su uno schermo, perché solo lì si capisce cosa funziona e cosa no. Andare invece alla sera della proiezione ufficiale è stato surreale, perché stava accadendo una cosa che prima di allora viveva solo nella mia immaginazione. Il film era finalmente sul grande schermo. Ma non solo, era pure proiettato sullo schermo di un cinema che io avevo frequentato per anni come spettatore, chiedendomi quando mi sarei trovato dall’altro lato, dal lato del regista. E adesso ero esattamente lì ed era una sensazione inspiegabile.
Non avendo una distribuzione alle spalle, il film è girato con un passaparola?
Il fatto di fare una determinata comunicazione sui social ha avvicinato delle realtà specifiche e ha stimolato la richiesta del film. Quando ho pubblicato il trailer sui social ho chiesto alle persone di taggare i cinema nei quali avrebbero voluto vedere il film, e questo ha fatto sì che fossero direttamente quei cinema a contattarmi e a permettermi quindi di realizzare questo piccolo tour di presentazione che si è svolto finora.
“Quando ho pubblicato il trailer sui social ho chiesto alle persone di taggare i cinema nei quali avrebbero voluto vedere il film”
Ogni scelta riguardante questo film, dalla produzione alla distribuzione, non è per nulla casuale, anzi, è dettata da un’etica ben precisa. Ce la può spiegare?
Ho preso la decisione di non distribuirlo in maniera canonica, cioè di non venderlo a nessuno, e questo perché noi stiamo facendo una denuncia al precariato e una critica alla condizione economica che vivono i giovani in questo periodo storico. C’era un messaggio ben chiaro da lanciare e non potevo far sì, ad esempio, che il biglietto costasse 8 euro. Il protagonista stesso del film è rimasto con tre euro e quaranta e non poteva permettersi di andare al cinema. Ci tenevo a preservare questa coerenza. Quindi quello che ho proposto ai cinema che mi hanno contattato è stato di mettere un ingresso gratuito, con la possibilità di lasciare un’offerta solamente dopo aver visto il film. Nei casi in cui invece non mi è stato concesso di mettere un ingresso libero, come ad esempio al cinema Modernissimo di Bologna, ho proposto il biglietto a tre euro e quaranta. Adesso, tu pensa di essere il proprietario di un cinema, e un regista ti chiede di mettere il prezzo del biglietto del suo film a tre euro e quaranta. A prima vista può apparire come una cosa folle, ma dopo aver visto il film tutti capivano il senso che c’era dietro e alla fine si trovavano d’accordo con la mia proposta. Tutto questo impegno è volto a lanciare un unico messaggio, ovvero che ci sono persone che fanno mille lavori tranne quello che vorrebbero fare davvero. E poi c’è anche chi un lavoro non riesce proprio a trovarlo, come il protagonista all’inizio del film.
Come sta andando il tour di presentazione del film?
A Milano è andata benissimo e lì ci vorrei tornare per chiudere il tour. A Roma è andata bene tutte e due le volte. Anche ad Oppido Mamertina, il Comune della Calabria in cui sono nato, è andata benissimo ed è stato molto emozionante. Mi sembra assurdo pensare di aver portato lì il mio film.
“(...) l’esperienza del film in sé ha cambiato la vita di tutti. Alcune persone, dopo la settimana di riprese, hanno preso delle decisioni importanti per la loro vita.”
Facendovi portatori di un messaggio così attuale e intenso, che tipo di rapporto è nato tra la troupe?
Al primo ciak sembrava che stessimo lavorando insieme da dieci anni. In quel momento ho realizzato cosa fa la passione, quella vera. Noi eravamo lì per lo stesso motivo, volevamo tutti la stessa cosa e lo si sentiva dall’energia che c’era sul set. Inoltre, l’esperienza del film in sé ha cambiato la vita di tutti. Alcune persone, dopo la settimana di riprese, hanno preso delle decisioni importanti per la loro vita. C’è chi faceva un lavoro con una paga di tre euro all’ora e che quindi era arrivato sul set con l’urgenza di poter finalmente vivere la propria passione. Senza contare che attraverso la passione per il cinema affrontavamo delle tematiche che, come già detto, sentivamo tutte e tutti noi.
Ho la sensazione che sia sempre più difficile trovare la fiducia necessaria per scommettere su se stessi. Lei cosa ne pensa?
La nostra società ci ha abituati a vivere in un modo molto rigido ed è questo che, ad esempio, ora mi fa spesso pensare che ho lasciato uno stipendio fisso, e che quindi chissà cosa succederà prossimamente. Sto vivendo con questa spada di Damocle, però allo stesso tempo è proprio questo modo di vivere e di pensare che stiamo combattendo col nostro film. Abbiamo pensato fuori dagli schemi e sicuramente c’è anche della follia in queste scelte, necessaria per abbandonare un certo tipo di impostazione mentale. Però, ripeto, se avrò sbagliato me ne farò una ragione, ma almeno so che ci ho provato con tutto me stesso.
“Tre Euro e Quaranta” verrà proiettato sabato, 7 dicembre dalle ore 18 al DRIN, Corso Italia, 34 a Bolzano. Evento su prenotazione a offerta libera, in presenza del regista e dei attori.