Società | diritti delle donne

"Il termine giusto è architetta"

Attraverso l'uso del linguaggio si può promuovere l'uguaglianza di genere, lo sanno bene Valentina Lucich e RebelArchitette, promotrici di cambiamenti fondamentali
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Foto: RebelArchitette

Architetta e non architetto. È questo il termine con cui una professionista dell’architettura dovrebbe essere chiamata. Architetta, avvocata, direttrice d’orchestra…sono solo alcuni dei nomi declinati al femminile, un chiaro esempio di quanto sia necessario riconoscere la presenza delle donne in tutte le categorie professionali. Eppure in molti si ostinano a dimostrare contrarietà all’uso del femminile, liquidando la questione come non rilevante, ignorando, o fingendo di ignorare, quanto il linguaggio sia fondamentale nel combattere gli stereotipi e nell’affermare la propria identità in ogni ambito. Valentina Lucich, architetta bolzanina che lavora a Vienna, invece, è ben consapevole della forza delle parole e ha deciso di spendersi perché venisse riconosciuta la qualifica di architetta: ha chiesto, e finalmente ottenuto, che l’Università di Bologna riportasse sui documenti dell’abilitazione il termine architetta. Una battaglia portata avanti anche grazie all’appoggio di RebelArchitette, un collettivo che dal 2017 sostiene ed organizza iniziative per la parità di genere in architettura e in ingegneria. E proprio a Valentina Lucich e alle esponenti di RebelArchitette Cinzia Bigoni e Francesca Perani, Presidente del collettivo, che salto.bz ha deciso di dedicare un’intervista. 

Salto.bz: Dott.ssa Lucich, grazie al suo intervento l’Università di Bologna ha deciso di cambiare il termine nei documenti dell’abilitazione, si è trattato di un percorso difficile?

Valentina Lucich: Ho deciso di sottoporre la richiesta all’Università, che in un primo momento ha opposto un rifiuto. Non mi sono data per vinta e ho continuato ad insistere, anche grazie al supporto di RebelArchitette, il cui contributo è stato fondamentale. 

Nonostante la diffidenza e la contrarietà al cambiamento, ad oggi 44 ordini, che rappresentano il 72% di tutte le iscritte, hanno deciso di aderire

Il collettivo, fondato nel 2017, sembra godere di notevole vivacità…

Francesca Perani, Cinzia Bigoni: Sebbene la data di fondazione risalga a 5 anni fa, il nostro lavoro è cominciato molto prima, dal 2011 abbiamo iniziato a promuovere iniziative per la parità di genere, all’interno dell’ordine degli architetti di Bergamo e sui social. Online il dibattito è molto forte e non riguarda il solo ambito dell’architettura ma investe più in generale la questione della rappresentanza femminile attraverso il linguaggio, come dimostrano i contributi di Cecilia Robustelli, accademica dell’Accademia della Crusca, e della sociolinguista Vera Gheno

Come hanno reagito i vari ordini alle richieste di inclusione? 

Le storie delle richieste ai vari ordini sono abbastanza complesse e ciascuna di esse ha comportato determinazione e fermezza, perché spesso ci sono stati diversi respingimenti prima di arrivare all’apertura dell’uso dei termini al femminile. Gli ordini sono in generale abbastanza lenti, ma tale lentezza non ha solo a che fare con le procedure burocratiche. Nonostante la diffidenza e la contrarietà al cambiamento, ad oggi 44 ordini, che rappresentano il 72% di tutte le iscritte, hanno deciso di aderire. Ne rimangono fuori però ancora 7 (Terni, Teramo, Varese, Massa Carrara, Fermo, Reggio Calabria e Latina) che continuano a negare l’uso del sostantivo architetta. Il lavoro è quindi ancora tanto, non solo per quanto riguarda l’ottenimento della qualifica e del timbro. Noi, tra l’altro, non affianchiamo solamente le architette ma ci spendiamo anche perché venga riconosciuta la professione di ingegnera. 

Si potrebbe ottenere una procedura uniforme attraverso un’azione congiunta a livello nazionale? 

Un indirizzo in tal senso favorirebbe sicuramente un’accelerazione, ma il CNAPPC (Consiglio nazionale degli architetti pianificatori paesaggisti e conservatori) non ha mai portato avanti alcun tipo di azione, al contrario, nel 2019, in un parere carico di inesattezze linguistiche ha ribadito che in italiano non è prevista la possibilità di declinare al femminile le professioni di architetto ed ingegnere perché derivano da parole latine neutre. Un’azione coordinata sarebbe utilissima anche in ambito universitario, dove invece di aspettare i regolamenti dell’ateneo o le sollecitazioni dei singoli, come nel caso di Valentina Lucich, si potrebbe arrivare ad un riconoscimento unitario. A livello locale però esistono anche alcuni esempi virtuosi, come nel caso dell’ordine di Bari o di Torino che hanno aperto delle procedure chiare e trasparenti per permettere il rilascio del timbro al femminile a coloro che ne fanno richiesta. 

Le discriminazioni di genere nel linguaggio sono solo la punta dell’iceberg di tanti altri tipi di discriminazioni. Questo accade anche nel settore dell’architettura? 

Come ogni settore anche l’architettura non ne è immune. Nelle nostre ricerche continuiamo ad osservare come anche negli eventi e nei panel la presenza maschile non solo sia preponderante, ma molto spesso sia la sola prevista. Persistono poi le discriminazioni tipiche dell’ambito lavoristico, dal gender pay gap al peso del carico familiare. 

Si tratta di differenze molto ampie? 

Assistiamo ad un abbandono costante degli studi di architettura da parte delle donne dopo i 40 anni. Il maggior peso delle cure familiari non permette di mantenere i ritmi delle consegne e dei lavori, che spesso si protrae ben oltre il classico orario lavorativo, sacrificando notti, weekend e giorni di ferie. Questa situazione provoca una differenza di retribuzione tra uomini e donne che arriva anche al 50% e condiziona talmente tanto la vita familiare da spingere le donne a virare verso l’insegnamento. Serve un cambiamento soprattutto culturale, sia in ambito lavorativo, perché i ritmi degli studi di architettura sono di frequente insostenibili per tutti i professionisti, sia dal punto di vista sociale, con un ripensamento dei ruoli e una divisione più equa del carico familiare. 

Anche a livello apicale c’è una minore presenza delle donne in architettura? 

Nonostante la minor rappresentanza sia un problema trasversale, noi abbiamo individuato la presenza di un alto numero di architette di eccellenza (137), che lavorano però spesso in una dinamica di condivisione lavorativa con il proprio partner, e quindi hanno la possibilità di gestire e redistribuire i compiti familiari in maniera più sostenibile. In ambito internazionale invece le percentuali segnalano un maggior numero di dirigenza solamente al femminile, bisogna quindi creare anche qui le condizioni perché alle donne siano aperte le stesse posizioni dei loro colleghi uomini. 

Questa situazione provoca una differenza di retribuzione tra uomini e donne che arriva anche al 50% e condiziona talmente tanto la vita familiare da spingere le donne a virare verso l’insegnamento

Dott.ssa Lucich, lei lavora a Vienna. In Austria le condizioni sono diverse? 

Dott.ssa Lucich: Ho riferito ai miei colleghi la vicenda del termine architetta e ho strappato loro un sorriso, qui il termine Architektin si usa da tempo e anche le politiche sulla genitorialità consentono una vita lavorativa meno difficile da gestire per le donne. Nonostante questo anche in Austria la prospettiva culturale dovrebbe essere rivista, durante il mio percorso universitario ad Innsbruck ha constatato che tutto è orientato al maschile, dalla maggior presenza dei professori allo studio dei programmi. 

La vittoria della Dott.ssa Lucich a Bologna dimostra non solo una grande determinazione personale, ma anche la capacità di sostegno di un’iniziativa collettiva. La rete di RebelArchitette si è allargata nel tempo?

Valentina Lucich, Francesca Perani, Cinzia Bigoni: siamo molto attive sui social, continuiamo a proporre progetti e siamo pronte ad accogliere le richieste che ci arrivano. Del resto conosciamo molto bene la forza del nostro essere rete e accogliamo contributi trasversali, provenienti da competenze differenti. L’iniziativa con l’Università di Bologna è nata dalla sinergia tra noi e Vera Gheno, Laura Onofri, Giovanna Cosenza, Cinzia Castelluccio, il CUG di UNIBO e Cristina Demaria, delegata al rettore per l’uguaglianza e le pari opportunità

Proprio grazie a queste sinergie RebelArchitette sta lavorando anche ad un percorso legale…

Si tratta di un percorso che guarda all’articolo 3 della nostra Costituzione. Garantire l’uguaglianza formale e sostanziale dei cittadini e delle cittadine è uno dei compiti della Repubblica e non prevedere l’uso dei termini femminili ne rappresenta una violazione. L’uso di un linguaggio inclusivo è fondamentale: negare le parole al femminile permette di negare l’esperienza femminile e il contributo fondamentale che essa ha nel lavoro e nella società.