Dice Maffeis: "Come gli antichi profeti, ha indicato una strada e un metodo politico che vanno oltre la sua stessa esistenza. De Gasperi non ha mai usato invano il nome di Dio, ma ha accettato e assunto la propria condizione di politico cattolico come una vocazione. Lo ha ripetuto a sé e ai suoi cari molte volte. Sentiva di non aver altro destino. In una lettera alla moglie, inviata nel 1927 dal carcere romano di Regina Coeli scrive: “Rifaccio con la memoria l’ingrato cammino di questi ultimi anni e penso se potevo fare altrimenti. E mi pare di no. Ho resistito fino all’ultimo sulla trincea avanzata dove mi aveva chiamato il dovere, ma era proprio la mia coscienza che me lo imponeva, le mie convinzioni, la dignità, il rispetto di me stesso. Ci sono molti che nella politica fanno solo un’escursione, come dilettanti” (ammetto che quando l’ho sentita recitare questa frase, nel video della mostra a Palazzo Trentini, dove ho resistito solo due anni della scorsa legislatura, mi sono sentito condannato da Sant’Alcide all’inferno degli inguaribili dilettanti, ndr) “ed altri che la considerano come un accessorio di seconda importanza. Ma per me, fin da ragazzo, era la mia carriera o, meglio, la mia missione”.
"Come Mosè non entrerà nella Terra Promessa, la scruterà soltanto da lontano, prima di morire in solitudine, lontano da quel popolo per il quale si era speso senza misura"
Maffeis lo paragona a Mosè per le analogie nelle parabole esistenziali del profeta biblico e del leader trentino: "Mosè, la guida, il legislatore, il profeta con cui “il Signore parlava faccia a faccia come uno parla con il proprio amico”, non entrerà nella Terra Promessa, la scruterà soltanto da lontano, prima di morire in solitudine, lontano da quel popolo per il quale si era speso senza misura".
Così De Gasperi morirà in un momento poco esaltante per la politica italiana e per quella europea. Stanco e deluso per non aver raggiunto gli obiettivi di concordia nazionale e di elevazione spirituale che si era dato come missione. Nessun riferimento, nella lectio di Maffeis, all’autonomia, alla Regione, ai “cugini” di Bolzano. È un De Gasperi italiano ed europeo che si staglia. Sulle orme di Mosè. Nessuna traccia di Magnago.
Maffeis l’ha criticato, su “Il Dolomiti”, il giornalista romano con ascendenze trentine Enrico Rufi, già voce di Radio Radicale e autore di “L’alleluja di Susanna”: "Si domanda l’arcivescovo trentino in conclusione della sua peraltro a suo modo originale e ben scritta Lectio degasperiana che cosa farebbe oggi De Gasperi, che cosa direbbe, quale sarebbe la sua parte. Cioè, tradotto, quanto e come riterrebbe di dover difendere l’Ucraina aggredita da Putin, e quanto e come assicurerebbe la sopravvivenza di Israele, anche se mai viene menzionato lo Stato di Israele e mai neppure viene menzionata l’Ucraina in una dissertazione che pur spazia tra Europa unita, pace e democrazia. Il relatore non si sbilancia, non prende il rischio di suggerire, anche timidamente, una risposta. Per umiltà, diranno i suoi fan". Ma è un’umiltà un po’ troppo umile… i vescovi hanno le loro responsabilità e devono prendersele, osserva Rufi, ruvido.
Dal canto suo, invece, lo storico roveretano trapiantato a Roma (al Cnr) Maurizio Gentilini ha ricordato sull’Adige del 5 settembre che Angelino Alfano, presidente della Fondazione De Gasperi (no, non è una battuta, Alfano è il custode degasperiano, ndr) rammentava il passaggio di competenza - nel 2022 - nella gestione della causa dall'Arcidiocesi di Trento al Vicariato di Roma.
Un passaggio che ha sortito un rinnovato slancio nelle indagini e nella raccolta e selezione dei documenti che dovrebbero attestare le “virtù eroiche” e la “fama di santità” del candidato, attualmente Servo di Dio. Un iter che - se concluso positivamente - prevede il successivo passaggio al Dicastero vaticano delle Cause dei Santi per le ulteriori fasi del processo».
Secondo Gentilini, nihil obstat per quanto riguarda la questione sudtirolese: "Note sono le polemiche e le obiezioni avanzate in passato da alcune componenti del mondo civile ed ecclesiale sudtirolese a proposito delle presunte responsabilità di De Gasperi intorno alla impostazione e alla gestione della questione altoatesina. I documenti, la storiografia e la maturazione culturale e politica collettive dovrebbero aver ampiamente superato questi elementi e il relativo dibattito. Saltuariamente viene riacceso il dibattito su presunti sentimenti e pregiudizi antisemiti di De Gasperi: un'analisi non strumentale dei contesti e dei fatti escluderebbe che tali accuse possano ostacolare l'iter della causa".
Il riferimento è al recente libro di Augusto Sartorelli (Editrice Clinamen) “L’antisemitismo di Alcide De Gasperi – Tra Austria e Italia”. Libro che si presenta con una tesi molto netta: "De Gasperi fu antisemita. Il suo antisemitismo, sia pure non biologico-razziale, si manifestò con la parola e con gli scritti fin dagli esordi della sua militanza politica nel Tirolo asburgico e poi a Vienna nel corso degli anni universitari, e riaffiorò durante il suo esilio di antifascista presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, nei commenti di politica internazionale sull’Osservatore Romano e nel periodo di gestazione della legislazione razziale fascista. De Gasperi fu antisemita perché antisemita era la cultura del tempo ma soprattutto perché antisemita era la Chiesa".