Cultura | La débacle educativa

Domanda inquietante

La débacle educativa in cui il '68 ha precipitato l'Occidente
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale dell’autore e non necessariamente quella della redazione di SALTO.
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    Gentile dottoressa Saraceno,

    ringrazio per avermi contattato personalmente, dandomi così la possibilità di risponderle con quella libertà che scrivendo al giornale non è possibile avere.  

    Mi chiede da dove io abbia “tratto l’informazione che da anni si sono messe al bando le punizioni sostituendole con l’educazione socio-emotiva e la giustizia riparativa”, visto che a lei non risulta affatto.

    Trovo la domanda inquietante! È come se volesse farmi credere che durante quest’ultimo mezzo secolo lei non si è neanche lontanamente accorta della débâcle educativa in cui il ’68 ha precipitato l’Occidente!

    Non posso dilungarmi sulle dinamiche, ma certamente determinante (almeno da noi) è stato il pensiero di don Milani, mal compreso o volutamente distorto da quel movimento: con la massima “L’obbedienza non è più una virtù” si è fatto/lasciato credere che la disobbedienza fosse sinonimo di autonomia e di libertà, e l’obbedienza di sottomissione e di servitù; approfittando del principio “La scuola dell’obbligo non può bocciare” ci si è spinti fino a pretendere di applicare il principio di pari opportunità anche alla Scuola superiore (6 politico) e all’Università (18 politico) – su questo punto don Milani non transigeva: “Alle superiori bocciate pure …” – scriveva, consapevole del pericolo di essere mal interpretato.

    Come poteva tutto ciò non portare in pochi anni alla deistituzionalizzazione della scuola e del mercato del lavoro: autorità educante azzerata, diplomi svalutati (dei veri falsi in atto pubblico), ascensore sociale scardinato, dissipazione di talenti, distribuzione iniqua (a tutto svantaggio dei poveri) e inefficiente (laureati disoccupati e operai specializzati introvabili) delle carriere lavorative? Detto per inciso: a smaltire la gran parte dell’eccesso di disoccupazione intellettuale mediamente poco qualificata che ne scaturì, fu la stessa scuola che divenne, fino ad esaurimento dei posti, il più importante ufficio di collocamento del Paese (ovvio che buona parte della classe docente sia attualmente inadeguata). Una decostruzione – secondo i movimentisti – necessaria per porre le basi di una moderna pedagogia progressista: un coacervo tra principi di educazione rousseauiana (lo sviluppo spontanea del fanciullo procede ottimamente da sé, per forza e direzione naturali proprie al suo fine intrinseco ed immanente) e di educazione “negativa” (rimuovere ogni possibile ostacolo allo sviluppo senza intervenire nei suoi processi che potrebbero deviarlo e guastarlo).

    In pochi anni, anche la giurisprudenza si adeguò. Ne fece le spese Giovanni Colasante, consigliere comunale di Canosa che, il 31/8/’11, vacanziere in Svezia con famiglia, trascorse tre giorni in galera per aver maltrattato il figlio dodicenne con un salutare schiaffone educativo. Oggi, ogni studente sa che i suoi professori possono essere offesi (anche fisicamente) senza o quasi subire punizione alcuna: situazione troppo invitante per non provare a innalzare il livello di sopportazione e sondarne i limiti. Il 16 maggio dell’anno scorso uno studente dell’Itis “Viola” di Rovigo, mentre i compagni riprendevano la scena col cellulare, ha colpito alla testa la professoressa con due pallini di gomma sparati da una pistola ad aria compressa senza subire alcuna punizione: un mese dopo ha superato l’anno scolastico a pieni voti con solo (ma perché è intervenuto il Ministro) l’abbassamento di un punto (da 10 a 9) del voto in condotta. Come risarcimento, la professoressa ha ricevuto un attestato di benemerenza (per aver perdonato il reo e non essersi rivolta all’avvocato) dalle mani del Presidente Mattarella. Siamo alle comiche.

    Messe al bando le punizioni, venuto meno il timore dell’insuccesso (promozione garantita), svanita la certezza di una carriera lavorativa proporzionata al titolo di studio conseguito, quali strumenti persuasivi restavano al docente per realizzare in classe la disciplina (discere = imparare)? Il carisma personale?

    Ho visto insegnanti di lunga esperienza e di profonda cultura costretti a blandire, quasi a elemosinare l’attenzione dei propri studenti pur di poter svolgere ai limiti della decenza la propria lezione. Il rapporto di forza tra docente e discenti è talmente paritario che le disposizioni di ordine, di attività, di valutazione, deve essere ogni volta contrattato fra le parti.   

    Se oggi abbiamo bisogno dell’educazione socio-emotiva è proprio perché è venuto a mancare ogni ovvio strumento persuasivo. L’educazione delle emozioni è sempre stata congenita all’insegnamento, una sua parte integrante, mai un accessorio da aggiungere: nulla è più efficace per riconoscere le proprie passioni che immergersi in quelle dei grandi (Omero, Virgilio, Dante, ecc.); nulla per sviluppare le proprie capacità di concentrazione e affrontare le frustrazioni e i disagi, che trascorrere il pomeriggio a prepararsi con l’ansia dell’insuccesso per la verifica del giorno dopo; nulla per imparare a gestire le proprie emozioni (conoscere se stessi, le proprie capacità e i propri limiti) che affrontare una interrogazione orale (quella approfondita di un tempo: vera radiografia della mente) con i compagni di classe che fanno da uditori.

    Difficile quantificarne la diffusione, ma è certo che il progetto di una educazione socio-emotiva sta pervadendo le istituzioni scolastiche: non passa giorno che non vengano pubblicati articoli e saggi che la promuovono e fioriscono dappertutto acronimi miracolistici del tipo SAGCAI (Stanza di Accoglienza per Gestire le Crisi d’Ansia da Interrogazione) o FABER (Facilitatore del Benesserte Emotivo e Relazionale). Mi sbaglierò, ma la mia sensazione è che dopo mezzo secolo di scuola “democratica” si è attenuato, se non perso del tutto, perfino il senso del ridicolo.

    Chi pensa di sanare il baratro educativo in cui siamo precipitati con la sola carota (educazione emotiva e giustizia riparativa) senza il ripristino del bastone (autorità e pene certe e immediate) non sa di cosa parla. Basterebbe obbligarlo ad insegnare, per un intero anno scolastico, in una prima classe superiore di una qualsiasi scuola italiana per fargli cambiare idea: la conversione sarebbe immediata e irreversibile. 

    Cordiali saluti

    Mario Refatti

     

     

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