"Europa lebt oder stirbt in Sarajevo"
Der Bosnisch-Serbische Präsident Milorad Dodik hat in den vergangenen Wochen konkrete Schritte unternommen, um den serbisch geprägten Landesteil vom Gesamtstaat Bosnien und Herzegowina abzuspalten. Unterstützt wird die Demonstration in Rom unter anderem von der Bozner Alexander Langer Stiftung und vom ARCI Südtirol. Es geht darum, die Aufmerksamkeit der Zivilgesellschaften in Europa auf diese politische Krise zu lenken.
Warum die Krise nicht nur Bosnien, sondern ganz Europa betrifft, erläutert Andrea Rizza Goldstein im Gespräch mit Georg Zeller weiter unten. Rizza Goldstein begleitet seit Jahren Studienreisen, unter anderem aus Südtirol, in die Länder Ex-Jugoslawiens, darunter auch das Projekt des ARCI “Ultima Fermata Srebrenica”. Georg Zeller arbeitet zur Zeit am Dokumentarfilm "Souvenirs of War" über den Umgang dreier bosnischer Männer mit ihrem persönlichen Kriegserbe.
Was ist geschehen?
Letzte Woche gab es endlich erste Sanktionen. Das US Amerikanische Finanzministerium hat all jene Vermögen Milorad Dodiks eingefroren, die direkt in den USA liegen oder dort verwaltet werden. Die Biden-Administration verwirklicht damit eine erste, lange erwartete Reaktion auf die in den vergangenen Monaten von Dodik veranlassten konkreten Schritte zu einer Abspaltung des von ihm regierten Landesteils von Bosnien und Herzegovina. Je nach Interpretation geht es ihm dabei um eine Weiterführung jener Ziele, die bereits nach dem Zusammenbruch Jugoslawiens im Bosnienkrieg angestrebt wurden oder aber vielmehr darum, seine kriminellen Aktivitäten mithilfe einer nationalistischen Politik zu verdecken. Für das Amerikanische Finanzministerium sind beide Gründe gegeben, in einer Aussendung begründet es die Sanktionen folgendermaßen: “Dodik hat Institutionen des Staates Bosnien und Herzegovina unterminiert und die Schaffung eines Parallelstaates in der Entität Republika Srpska (dem Serbisch dominierten Landesteil Anm.d.Red.) in Gang gesetzt. Außerdem hat Dodik sein staatliches Amt zur Anhäufung persönlichen Wohlstandes durch Schiebung, Bestechung und weitere Formen von Korruption missbraucht. Seine auf Spaltung setzende, ethno-nationalistische Rhetorik bezeugt seine Bemühung diese politischen Ziele voranzutreiben und von seinen korrupten Aktivitäten abzulenken. All diese Tätigkeiten stellen eine Bedrohung für die Stabilität, Souveränität und territoriale Integrität Bosnien und Herzegovinas dar und untergraben das Friedensabkommen von Dayton, womit die Stabilität der gesamten Region bedroht wird.”
Egal welches der eigentliche Grund für Dodiks provokante und brandgefährliche Politik sein mag, Tatsache ist, dass sie nicht nur das Land am Rande Europas wieder in Richtung eines bewaffneten Konflikts treibt, sondern auch Europa in seiner Gesamtheit bedroht. Wenn Dodiks Bestrebungen nichts entgegengesetzt wird, nähern wir uns erneut jenem Punkt, der letztendlich 1995 zum Genozid von Srebrenica führte. Damals sah bekanntlich die internationale Gemeinschaft dem Grauen sprachlos zu und ließ sich von den Kriegsverbrechern an der Nase herumführen. In diesem Sinne müssen dringendst auch von Seiten der EU und insbesondere von jenen Staaten die sich weiterhin den Menschenrechten verpflichtet sehen, Sanktionen und weiterführende Reaktion folgen, die über die bislang verfolgte Strategie der Beschwichtigung hinaus gehen.
Georg Zeller: Come è possibile che 25 anni dopo la fine della guerra in Bosnia-Erzegovina ci possa essere oggi una politica che cerca di concludere quello che è stato interrotto dall’Accordo di pace di Dayton?
Andrea Rizza Goldstein: C’è una specie di peccato originale dell’Europa, che si sta trascinando fin dall’inizio della crisi in ex-Jugoslavia. Erano gli anni della fine del comunismo, e l’Europa occidentale vedeva tutti i Paesi dell’Est – Jugoslavia compresa – come un territorio di espansione dove bisognava cambiare, stravolgere le strutture sociali, economiche e politiche socialiste, ed “esportare” la democrazia-mercato occidentale. Dopo le elezioni “libere” del 1990, in Croazia, in Serbia e poi di riflesso anche in Bosnia-Erzegovina, hanno vinto i programmi politici etno-nazionalisti e di esclusivismo etnico che hanno rappresentato per l’Occidente un’alternativa ai sistemi socio-politici precedenti.
La comunità internazionale e l’Europa in primis hanno commesso il grande errore di accettare di interloquire con questi politici e hanno quindi dialogato – legittimandoli – con delle persone che poi sono state incriminate per crimini di guerra e contro l’umanità dalla giustizia internazionale. Per esempio, il leader dei serbo-bosniaci Radovan Karadžić, quando nel 1991 ha autoproclamato la cosiddetta Repubblica dei Serbi di Bosnia (oggi Republika Srpska), ha fatto un discorso pubblico, e quindi ben udibile da chi aveva scelto di dialogare con lui a livello internazionale, in cui proclamava una lotta per lo “spazio vitale”. È la traduzione di “Lebensraum”, un termine che conosciamo da quei tempi bui della nostra storia recente, dal nazionalsocialismo, che l’Unione Europea aveva dichiarato di non voler mai più ripetere. Eppure ha continuato a interloquire proprio con chi aveva chiamato ad un programma che intendeva cancellare fisicamente la presenza di persone, gruppi nazionali e popoli considerati diversi, nei territori che dovevano diventare serbi, senza neanche scomodare il fascismo, sono bastati i programmi politici etno-nazionalisti per mettere in pratica le “pulizie etniche", gli stupri di massa e i vari crimini di guerra che conosciamo, fino al genocidio di Srebrenica.
Zeller: E la situazione di adesso si riallaccia a questo obiettivo, trent’anni dopo l’inizio della guerra?
Rizza Goldstein: Il progetto di conquista di territori, di pulizia etnica e di spartizione era stato accettato dalla comunità internazionale già negli anni ’90. Ne è prova tutta la mediazione – fallimentare – durante la guerra e anche subito dopo con l’Accordo di pace di Dayton, che ufficializza la spartizione della Bosnia-Erzegovina pur essendo stata realizzata commettendo crimini di guerra e contro l’umanità. Il genocidio di Srebrenica ha interrotto questo processo, perché se dopo quattro anni di assedio di Sarajevo, dopo le “pulizie etniche” e gli stupri come arma di guerra si faceva ancora finta di non capire, dopo Srebrenica non si potava più fingere di non vedere. Fondamentalmente è per questo, che la “incorporazione” completa dei territori conquistati negli anni novanta non si è potuta completare subito dopo la guerra e il genocidio.
Zeller: L’idea di spartizione del territorio si era macchiata di troppo sangue.
Rizza Goldstein: Dopo il genocidio di Srebrenica era ovvio a tutto il mondo che il “progetto Republika Srpska” – di divisione della Bosnia-Erzegovina – nasceva da un’idea criminale, e chi l’aveva coniata e provato a mettere in atto è stato condannato dalla giustizia internazionale.
Zeller: Non ci sono delle alternative politiche a questo etno-nazionalismo in Bosnia?
Rizza Goldstein: Oggi la Bosnia è spaccata trasversalmente. Tra i serbi di Bosnia, i musulmani di Bosnia (chiamati bosgnacchi dal 1992) e i croati di Bosnia, c’è una buona fetta di popolazione che vorrebbe trovare il modo di far funzionare il loro stato in modo “normale”, mantenendo la caratteristica storica di multiculturalità e convivenza, fondato sui valori europei e sulla legalità. Ma al governo ci sono le tre élite politico-finanziarie che sono la continuità dei progetti etno-nazionali che hanno portato alla guerra degli anni Novanta. Dodik – il rappresentante serbo-bosniaco della Presidenza tripartita della Bosnia-Erzegovina – è questo, è la continuità con l’ideologia criminale di spartizione della Bosnia-Erzegovina degli anni Novanta. E sta giocando d’azzardo perché è arrivato politicamente alla fine. Ha perso la capitale Banja Luka alle ultime amministrative con un dissenso fortissimo causato dalla sua malagestione, dalla situazione economica disastrosa, dal suo nepotismo, clientelismo e dalle sue molto discutibili attività economico-finanziarie. Forse spazzando via i potentati politico-economici eredi della guerra, si potrà aprire uno spazio per la parte sana della società civile bosniaco-erzegovese.
Zeller: Dodik dopo anni che ne parla, ora fa i primi passi concreti per spaccare effettivamente il paese. C’è il rischio di una nuova guerra?
Rizza Goldstein: Questo rischio penso che non sia concreto. È una minaccia, ma in realtà Dodik vuole ottenere principalmente la gestione patrimoniale della Republika Srpska e creare una giustizia indipendente da Sarajevo – entrambi obiettivi per uscire impunito dalle sue attività sospette. Comunque mi sono spaventato a sentire alcuni amici bosniaci che dicono “Questa volta non ci troveranno impreparati”.
Zeller: Quindi guerra no, ma i conflitti si faranno sempre più forti.
Rizza Goldstein: Voglio sperare che l’ex Alto Rappresentante (una delle autorità istituite dall’accordo di Dayton per la supervisione dell’implementazione delle condizioni previste; n.d.r.) Valentin Inzko, non abbia fatto solo un “colpo di teatro” quando l’autunno scorso, prima di andarsene, ha imposto una legge che vieta il negazionismo del genocidio e la glorificazione dei criminali di guerra. Sapeva quale sarebbe stata la reazione di Dodik e penso che abbia avuto una copertura politica internazionale. Penso che abbia scelto di attaccare l’anello debole degli accordi di spartizione degli anni Novanta, cioè i serbi di Bosnia con alle spalle una Serbia che al momento è molto debole. Forse alla fine si deciderà per una specie di “buona uscita” per Dodik. È considerato internazionalmente un truffatore corrotto che usa l’etno-nazionalismo per coprire le sue attività economico-finanziarie e potrebbe bastare offrirgli delle garanzie per una vita tranquilla e lontana dalle corti bosniache, per toglierselo di torno.
Zeller: Cosa dobbiamo fare da qui, a questo punto?
Rizza Goldstein: Tenere accesi i riflettori su quello che sta succedendo in Bosnia-Erzegovina, come sostenere e divulgare sui social la manifestazione che ci sarà lunedì a Roma e in molte città europee, che serve per sensibilizzare la società civile e le istituzioni in Italia e in Europa a salvaguardare i valori Europei di cui si parla tanto, ma che di fatto attualmente sono in forte crisi. Con la guerra in Bosnia-Erzegovina, con il genocidio, e con il fatto che fino ad oggi si continua a dialogare con chi calpesta i diritti umani, l’asticella di questi valori si è abbassata. E questo significa un rischio non solo per la Bosnia-Erzegovina ma per l’Europa intera.
Europa stirbt aber auch im
Europa stirbt aber auch im Osten der Ukraine. Dieser Stellungskrieg ist Europas offene Wunde. Wir reden darüber aber nicht.
In risposta a Europa stirbt aber auch im di Waltraud Mittich
Wer mehr über die Ukraine,
Wer mehr über die Ukraine, den Krieg, über dieses wunderbare Land erfahren möchte, kann mein erzählendes Essay "Ein Russe aus Kiew" lesen. Es erscheint Anfang September
In risposta a Wer mehr über die Ukraine, di Waltraud Mittich
Obiges Essay by Waltraud
Obiges Essay by Waltraud Mittich erscheint in ukrainischer Sprache bei booksxx Czernowitz ca. zeitgleich mit der deutschen Fassung. "Ein Russe aus Kiew" laurin Verlag Innsbruck