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La prospettiva del due di coppe

Cosa ho in comune con Weinstein? Niente. Eppure anch'io, come lui, ho il potere di scegliere se approfittare della mia posizione lavorativa per ottenere favori sessuali.
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Foto: myartguides.com

Confesso che all'inizio la storia del caso Weinstein (meglio conosciuto come caso Asia Argento, in Italia) non riusciva ad appassionarmi, derubricata a solita storia noiosa e voyeuristica nella mia ricerca quotidiana di news. Disinteressandomi programmaticamente agli aspetti tecnici della questione (cosa è stato mostrato/toccato/leccato etc etc), la vicenda iniziò ad attirare la mia attenzione solo quando lessi l'intervista ad una celebre regista (genere: intellettuale socialmente impegnata) che manifestava tutta la sua solidarietà ad Asia Argento contro le critiche – rivolte anche da molte donne - per il suo tardivo coming out. Solo che, al termine dell'intervista, alla domanda: “A lei è mai successo qualcosa del genere?” la celebre regista impegnata rispondeva su per giù così: “A me? Con il mio carattere? Se ne guardavano bene!”. Che, agli occhi miei, equivaleva a dire: io non sono così stupida/sprovveduta/debole come Asia (incidentalmente, citata sempre per nome al contrario di Weinstein). Vanificando quindi qualunque tipo di solidarietà pelosa precedentemente offerta. A quel punto, data la complessa stratificazione di ambiguità e contraddizioni che vedevo sorgere intorno alla questione (dagli editoriali di Libero alla campagna #metoo), iniziai a seguirla da vicino. Perché credo che le ambivalenze siano una straordinaria occasione per avvicinarsi a capire l'intima natura dell'essere umano (uomini, donne e tutte le diverse gradazioni contenute in questa polarità).

Tra l'altro, la notizia era di quelle capaci di bucare ogni discussione sui social, onnipresente nella sua trasversalità come solo il sesso può essere, e vedevo accalorarsi da più parti insospettabili individui e individue, tutte ugualmente ansiosi di dire la loro. Mi è capitato di bannare un tipo che sulla mia bacheca si ostinava a voler usare (“in nome dell'antifascismo e della libertà di pensiero” diceva lui) la parola “zoccola” come categoria semantica su cui poggiare ogni discussione, così come mi è capitato di smettere di commentare status di amici che rispetto nella vita reale ma che su facebook non mi restituiscono l'idea che ho di loro, e con cui non ho voglia di alimentare flame.

Ho deciso che, se volevo arrivare a capire la storia in sé e (soprattutto) l'enorme diversità di reazioni che scatenava in giro, per prima cosa dovevo assumere una prospettiva mia sulla vicenda. Un punto di vista preciso. E certo non poteva essere (come vedevo fare disinvoltamente a molti miei conoscenti di genere maschile) quello di Asia Argento: io non ho le tette, né conosco la sensazione di avere le mani di sconosciuti sul culo quando salgo su un autobus affollato. Manca il minimo comun denominatore, e tanto basta per farmi dichiarare incapace a calarmi nei suoi panni - o quelli di qualunque altra donna, compresi quelli della regista impegnata. E di conseguenza evitare di formulare qualunque tipo di giudizio e opinione su di lei.

Ma d'altronde, anche con Weinstein, ad eccezione del cromosoma X ( o forse Y?) e conseguente escrescenza fallica, non è che sentissi di avere molto in comune. Lui, un produttore hollywoodiano di successo abituato al lusso e al jet set, eternamente circondato da donne bellissime e desiderabili. Io, un precario di oltre cinquant'anni, senza proprietà, ricchezze e/o speranze di pensione, che non lavora nel cinema ma nel sociale. Quanto alle donne bellissime, modestia a parte, qualcuna ne conosco anche io, ma sono di un tipo diverso da quelle a cui si accompagna Weinstein. E soprattutto, la discussione riguardava frequentazioni professionali (è questo il motivo di tutta la bellezza che gira intorno a Weinstein: il bello è un valore fondante dell'industria in cui lavora lui. Nella mia, molto di meno) e non su quelle personali. Quindi, potevo concludere, non si tratta neanche di una questione di donne bellissime, tutto sommato, ma piuttosto di lavoro. E di rapporti di potere all'interno di un ambiente di lavoro. È lì che si nascondeva la mia ultima possibilità di trovare un tratto comune tra me e lui, di permettermi di fare uno sforzo (fosse anche solo teorico e virtuale, di tipo narrativo) per riuscire a mettermi nei panni di quell'uomo.

Adesso, lo ripeto: lui è un boss di Hollywood che detta l'agenda a una delle più ricche e importanti industrie del pianeta, io lavoro con i profughi e sono quello che (bene o male, a torto o ragione) potrebbe essere definito un due di coppe nella filiera umanitaria che da Bruxelles arriva ai lager libici distribuendo fondi, risorse ed energie con criteri più o meno discutibili. E su cui comunque io – a differenza di Weinstein ad Hollywood – non ho mai nessun tipo di controllo.

E quindi la domanda, l'unica possibile, rimaneva una sola: sono mai stato nella sua posizione? Poter scegliere se approfittare di un rapporto di potere in un ambiente di lavoro per ottenere quelli che potremmo definire favori sessuali?

E la risposta è sì. Anche se sono un due di coppe, in quella posizione ci sono stato anche io.

Donne (talvolta bellissime, come e anche più delle dive di Hollywood) a torto o ragione mi considerano (e quindi si relazionano di conseguenza) una persona in grado di migliorare il loro status e le loro condizioni di vita. E con cui talvolta si sviluppano legami emotivi che si nutrono anche delle ambiguità e delle ambivalenze che ogni rapporto tra uomo e donna naturalmente porta con se (per dire, ho accompagnato donne dal ginecologo per nascite e interruzioni di gravidanze, ho retto la mano a una partoriente con le doglie, ho mediato linguisticamente perizie medico legali per casi di stupro, raccolto dichiarazione di vittime e presunte tali, e anche talvolta degli accusati).

Passi quotidiani di percorsi relativi al ritorno alla realtà per loro, esperienze ad alto impatto emotivo per me, e per entrambi la costruzione di un genere di intimità ogni volta diversa. Una linea d'ombra in cui la regola chiara e invalicabile era che io ero quello che davo supporto e loro quelle che ne avevano bisogno. Mancava cioè, dalla mia prospettiva di due di coppe, quella che invece nella vita personale considero una componente fondamentale delle relazioni sentimentali e sessuali, senza la quale cade ogni possibile credibilità: la parità di ruoli e la non dipendenza reciproca tra me e la mia partner. A suo modo invece, rispetto a questa linea d'ombra e in condizioni totalmente diverse, Weinstein ha fatto delle scelte diverse dalle mie: e questo mi sembra il punto della questione, non l'ingenuità più o meno colpevole dell'Asia Argento di turno.

Appare evidente che essere maschio comporta delle prese di responsabilità ben diverse dal non esserlo. Perché anche quando la vittima non è necessariamente una donna – penso alle recenti denunce contro Kevin Spacey – l'abusante sembra comunque essere sempre maschio. Ed è qui che la questione diventa anche di genere, e riguarda anche me.

Ma se questa esperienza di potere è capitata anche a un due di coppe come me, allora probabilmente stiamo parlando di una dinamica molto comune e legata a molti tipi di esperienze lavorativa. È capitato a tanti di noi, insomma. E in questa dinamica, appare evidente che essere maschio comporta delle prese di responsabilità ben diverse dal non esserlo. Perché anche quando la vittima non è necessariamente una donna – penso alle recenti denunce contro Kevin Spacey – l'abusante sembra comunque essere sempre maschio. Ed è qui che la questione diventa anche di genere, e riguarda anche me. Che poi questa querelle sia nata proprio a Hollywood mi sembra naturale e oltremodo salutare. È nella fabrica maxima dell'immaginario culturale contemporaneo che probabilmente si annidano gli archetipi più profondi della modalità Weinstein. Penso a John Wayne, role model maschile dei film western con cui sono cresciuto io, che quando voleva una donna se la prendeva e basta, senza tanto badare troppo alle proteste e alle recriminazione: tanto quella, in quanto femmina, sotto sotto ci stava e le piaceva anche. O almeno, quello era il sottotesto non espresso. Credo che la grande opportunità di questa storia, per chi non ha voglia di perdere tempo solo a sparare giudizi su Internet, sia proprio questa: ridefinire le categorie del desiderio erotico e slegarle, una volta per tutte, da quelle del lavoro e del potere. Che non dovrebbe essere una priorità della sola Asia Argento – e neanche solo delle donne – ma un po' di tutti.

Adesso, mi rendo conto che una delle possibili maniere di leggere questo pezzo è ritenere che io abbia essenzialmente affermato di essere una persona migliore di Weinstein. Non è così. Consapevole della fallacia umana e dell'imprevidibilità del futuro, non mi auto-escludo dall'elenco dei potenziali molestatori. I traumi della funzione pedagogica di John Wayne non li risolvo con un articolo, e dovrò quindi continuare a confrontarmici per il resto della mia esistenza, anche professionale.

Credo però che solo la consapevolezza possa offrire una via d'uscita in situazioni come questa: consapevolezza della complessità e della non linearità che le dinamiche relazionali hanno (tutte, non solo quelle inerenti al sesso e al potere) per iniziare quantomeno ad assumere punti fermi su cui ancorare l'agire quotidiano. E uno di questi punti fermi, senza ombra di dubbio, è smettere di dare ascolto a chi usa la categoria concettuale di “zoccola” per definire comportamenti che riguardano sempre e solo il genere femminile. Un po' di sana intolleranza non può fare che bene, in certi casi. Sui social, che vivono essenzialmente di parole, ancora più che altrove.

Nota sull'immagine di copertina: è un quadro di Christian Schad, che ho visto alla Tate Gallery. Si tratta di un autoritratto fatto a Napoli negli anni '20. Il pittore era rimasto molto colpito dall'abitudine dei giovanotti locali di sfregiare le ragazze da cui si sentivano disonorati. da qui l’espressione fare uno sgarro. Il fiore sullo sfondo è un narciso, perché questo vedeva in quel gesto il pittore: un gesto di narcisismo maschile. Per denunciare la cosa, che gli faceva alquanto ribrezzo, ha deciso di metterci la propria faccia, e ci ha fatto un autoritratto.

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gorgias Sab, 11/11/2017 - 09:48
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gorgias Sab, 11/11/2017 - 12:02

In risposta a di Valentino Liberto

". . . l'abusante sembra comunque essere sempre maschio"

Penso che lei è una persona intelligente, allora non capisco come ha potuto trascurare questo aspetto.
L'abuso si colloca in momenti di asimmetria di potere. Al momento ci sono sicuramente più uomini in posizioni di potere, ma nonostante questo, che per donne ci sono meno occasioni di abusare potere, si trovano abbastanza casi per non poter trascurare il fatto.

Cosa cambia allora? Vorrei rispondere con un altro tratto dell'articolo:

"Mancava cioè, [...] quella che invece nella vita personale considero una componente fondamentale delle relazioni sentimentali e sessuali, senza la quale cade ogni possibile credibilità: la parità di ruoli e la non dipendenza reciproca tra me e [la/il] mi[a/o] partner."

È tempo di prendere conoscenza che non è una questione di genere e che questa polemica ci allontana dal fine di trovare una soluzione, ma aiuta a distorcere ancora più la percezione. Riconoscere questo non toglie niente dalla gravità dei casi recenti, ma dà la possibilità di vedere in modo più chiaro la radice del problema, che si colloca nella struttura delle istituzioni e nella carente attenzione della società per persone in situazioni vulnerabili, indipendentemente da sesso, etnia, religione o orientamento sessuale.

Sab, 11/11/2017 - 12:02 Collegamento permanente