Arte | Beni culturali

Dieci anni nel Bunker

La cooperativa Talia raccontata dal presidente Gino Bombonato. Più di 10 anni di fatica e impegno nella valorizzazione dell'arte e della cultura sul territorio.
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale del partner e non necessariamente quella della redazione di SALTO.
Talia
Foto: Cooperativa Talia
  • SALTO: Come nasce la cooperativa Talia? Perché la scelta del nome? Di cosa si occupa?

    Gino Bombonato: Talia è il nome di una musa, la musa del teatro e della poesia. Questa cooperativa si è formata all'interno del teatro Cristallo - tra il 2011 e il 2012 - con persone che volevano costituire un nuovo soggetto culturale. L’intento era quello di fare attività in questo ambito parallelamente ad una sorta di servizio di hostess per fornire servizi all'interno dei teatri, ruolo che poteva procurare un'entrata continuativa, una cosa molto importante per mantenere la struttura. Così abbiamo cominciato in sottovoce con piccoli eventi e con un gruppo di dipendenti che lavoravano in alcuni teatri di Bolzano, ma questo aspetto è andato un po' a decadere col tempo, mentre è rimasta invece l'identità culturale nella cooperativa.

     

    Quali sono stati gli eventi di rilievo agli albori della cooperativa?

    Tra il 2012 e il 2013 abbiamo messo in piedi a Palazzo Mercantile a Bolzano una mostra sul pittore Giovanni Battista Barbieri detto il Guercino, uno degli artisti più famosi del barocco italiano, nella quale siamo riusciti a portare ben dieci opere di altissimo valore, in una mostra che per noi è diventata un'avventura professionale meravigliosa oltre che una vera e propria fonte di vivacità e di entusiasmo. Da quell'avventura sono poi nate altre mostre fatte ancora a Bolzano, tramite le quali siamo riusciti ad allestire degli spazi anche a Palazzo Menz, a Palazzo Pock e nell’antica sede della Prevostura dietro il Duomo. Questa attività ci ha anche portato lontano, come ad esempio all'Expo di Milano, nel 2015, dove siamo riusciti ad allestire al suo interno una mostra di antiche incisioni. Nel 2013 siamo stati protagonisti, durante il Festival delle Resistenze, in accordo con il Teatro Cristallo, della visita ad un rifugio antiaereo che ancora oggi si trova sotto le cantine di uno degli edifici di Piazza Matteotti. La partecipazione di molte più persone di quanto previsto ha reso l’iniziativa un successo inaspettato. 

     

    È da qui che nascono le riflessioni attorno al Bunker di via Fago?

    Sì, quella occasione ci ha portato a riflettere sul bunker di via Fago, il più grande costruito durante la guerra in Alto Adige, abbandonato da tantissimo tempo. Ammetto che da ragazzino andavo in quei cunicoli a giocare con gli amici e ci si divertiva molto, nonostante la paura. Nel 2013 abbiamo fatto un sopralluogo proprio perché il bunker era aperto ed accessibile a chiunque. Dentro era disastrato, poiché utilizzato per anni da clochard, da persone che facevano uso di stupefacenti e persino per messe nere, con scritte di ogni sorta sui muri e sulla roccia. Noi non ci siamo persi d'animo e siamo riusciti a fare un contratto di affitto con lo Stato, attraverso l'Ufficio del Demanio, in cui concordavamo di prendere in gestione il bunker inizialmente per un anno. Tre mesi per fare grandissime pulizie e poi finalmente l'apertura, che ha visto subito un grande successo di pubblico perché c'era molto interesse.

  • Foto: Cooperativa Talia
  • Foto: Cooperativa Talia

    Quest’anno cade il decimo anniversario, dell’apertura tramite la vostra cooperativa del bunker. Siete soddisfatti del vostro lavoro?

    Soddisfatti? Molto di più! Il bunker è ritenuto da molte persone, oltre che da noi stessi naturalmente, uno dei monumenti storici di Bolzano. Realizzato tra il ‘43 e il ‘44 dalla mano dell'uomo, in condizioni terribili, quando l'Alto Adige si è ritrovato sotto il dominio nazista a partire dal 9 settembre del ‘43. L'esercito germanico aveva fin da subito bisogno di un rifugio antiaereo e quelli scavati in roccia erano sicuramente i più sicuri. Hanno quindi messo all'opera ben sette squadre che lavoravano giorno e notte per realizzare nel più breve tempo possibile questa grande superficie che si dirama nelle viscere del Guncina, il tutto scavato nel porfido, una roccia antichissima e durissima che ha comportato condizioni di lavoro terribili per tutti coloro che erano costretti a lavorarci. Il rifugio è stato abbandonato ai primi di maggio del 1945, con il ritiro delle truppe germaniche. Da allora non si hanno certezze su che storia abbia avuto, ma è sempre, più o meno, rimasto aperto. Adesso questo luogo è a tutti gli effetti un importante monumento storico per Bolzano e tutta la provincia, che comincia ad essere molto apprezzato, a tal punto che su TripAdvisor è sempre tra i primi posti in classifica dei luoghi e punti d’interesse nella conca di Bolzano. 

  • Questo luogo dona a chi entra delle sensazioni molto forti, è stato impostato volutamente così?

    L'effetto suggestivo di questo luogo, che è molto forte, lo si ha per due caratteristiche principali: il silenzio e il buio assoluto che abbiamo all'interno e che permeano tutti gli spazi. Noi l'abbiamo aperto con il compito preciso di parlare di storia senza nessuna implicazione politica, ideologica o filosofica, in modo totalmente oggettivo; parliamo di quello che è successo durante il fascismo e durante il nazismo nella nostra città e nella nostra provincia, una storia che forse non si conosce ancora abbastanza bene, soprattutto per le scuole, dove noi sfruttiamo proprio gli spazi del bunker per cercare di dare una spiegazione il più aperta possibile a questo periodo così terribile che ha profondamente caratterizzato il nostro recente passato.

     

    Nel nome ‘Bunker H’, l'H rimanda a Franz Hofer, un fedelissimo di Hitler. Perché la scelta di questo nome? 

    Questo è anche uno dei suoi aspetti storici; si chiamava proprio Bunker H quando serviva per ripararsi dagli attacchi aerei e noi lo abbiamo mantenuto. La sigla faceva riferimento al Gauleiter che governava le tre province di Bolzano, Trento e Belluno annesse al Terzo Reich, dal ‘43, che si chiamava appunto Franz Hofer.

     

    Vuole anticipare ai lettori dei progetti per il futuro o delle ambizioni della cooperativa

    Ambizioni ne avremmo tantissime, progetti ne abbiamo svariati poiché ci scrivono tante persone da tutta Italia per mostre, per concerti e molte altre proposte da realizzare dentro il Bunker, proprio perché, questo luogo – come detto prima - sta richiamando moltissima attenzione. Ricordo anche che abbiamo una mostra permanente di murales che sono stati realizzati in un preciso corridoio del Bunker le cui raffigurazioni ci riportano nel mondo mitico dei Greci, dei Latini e anche dei Vichinghi, mostra per la quale sono venuti artisti da mezza Italia. Essi hanno realizzato opere murali che oggi fanno parte integrante del Bunker, una sorta di nostra eredità perché speriamo che questi dipinti si conservino veramente a lungo per ribadire come il bunker possa essere non solo monumento, ma anche luogo di diffusione culturale. 

     

    Vuole dirci due parole sulle difficoltà dietro alla gestione di un luogo così particolare?

    Nonostante ci si impegni davvero tanto in svariate attività, facciamo una grande fatica a andare avanti perché fino adesso, a parte alcuni e importanti eventi che siamo riusciti a promuovere grazie ai contributi dell’Assessorato ai giovani del Comune di Bolzano, tutto il resto lo stiamo facendo a carico nostro ed è una cosa che comincia a pesarci molto, sia in termini economici, perché paghiamo un affitto, ma soprattutto perché questo bunker va gestito come si deve per quanto riguarda le pulizie o il costante controllo dei soffitti di roccia o ancora la sicurezza generale degli ambienti visitabili. Tra le varie spese ci sono anche l'acquisto di torce e cavi elettrici, spese che sosteniamo con i nostri mezzi, ed è un problema. Sembra quasi impossibile che per un monumento così importante per Bolzano e la nostra provincia, da un punto di vista storico, non si abbia l’attenzione che merita e continuiamo a lavorare gratuitamente e a sforzarci di mantenere aperto questo monumento. È un po' un appello che vorrei fare perché non siamo stati molto avvantaggiati in questi ultimi due anni, ad esempio dalla provincia, però il bunker ha dei costi, non soltanto economici, ma anche fisici ed organizzativi e facciamo molta fatica a tenerlo in piedi senza aiuti.

     

    Vuole aggiungere qualcosa altro? 

    Abbiamo visto quanto le persone all'interno del bunker, che siano bolzanini o che siano ospiti che vengono da fuori regione o da fuori Italia, riescano a capire, grazie alle nostre guide, l'importanza di questo luogo e le emozioni che esso ancora emana. Bastano poche parole, pochi ricordi in mezzo a questo silenzio e a questa oscurità per suscitare inaspettate emozioni nelle persone. Riscontriamo un piacere unico nel vederle veramente estasiate mentre girano per gallerie, sale, spazi enormi di roccia rossa. Persone colpite da quello che riusciamo a raccontare soprattutto grazie alle tante testimonianze che abbiamo a nostra volta raccolto da coloro (persone oramai molto anziane) che hanno vissuto i bombardamenti a Bolzano. Oltre a ciò, cerchiamo di spiegare la storia attraverso un'attenta visione della bibliografia esistente raccolta in questi anni e facente parte della nostra biblioteca.

     

    Quando cominciamo a parlare della nostra Storia e dei drammi vissuti da tutta la popolazione sia tedesca che italiana, vediamo che le persone ammutoliscono e alle volte persino si commuovono: questo ci sembra il modo più importante e più sentito per far capire ai nostri concittadini, come anche a chi viene da fuori, quanto questo bunker ancora conservi un qualche cosa che non può e non deve essere dimenticato. Perché, se noi dimenticassimo quella che è la nostra Storia, avremmo a che fare con un presente incerto, offuscato, invece la conoscenza storica ci consente di comprendere meglio il presente, come l’esistenza del monumento alla Vittoria e del bassorilievo in piazza Tribunale. Sono cose che in una città come Bolzano, dove la popolazione di madrelingua tedesca ha vissuto vent'anni di violenta e repressiva dittatura fascista, sono importanti da spiegare, da considerare, e che grazie ai racconti che risuonano tra le pareti di roccia, riusciamo, forse, a sentirci più consapevoli a chi abbiamo vicino e intorno a noi, in un presente che va soppesato nel modo giusto e non nei modi che possono essere di vantaggio solo a chi vuole alimentare il disagio tra gruppi etnici. E’ tempo che la Storia diventi fine a se stessa e che ci insegni a gestire la nostra società secondo principi veri di solidarietà, convivenza e fratellanza. Solo così potremmo essere davvero d’esempio per altri popoli e per altri paesi.

     

    Intervista a cura di Francesco Esposito