Società | Profughi

“L’Europa non vuole vedere”

Quali sono le vere intenzioni dell’accordo tra UE e Turchia? Cos’è stata finora la ‘rotta balcanica’?

Un incontro organizzato dall’ordine dei giornalisti il 9 aprile scorso ha consentito di fare una sorta di punto della situazione per quanto riguarda l’emergenza umanitaria legata all’esodo di profughi che da qualche tempo sta mettendo a dura prova, insieme al terrorismo, la coesione e l’esistenza stessa dell’Unione Europea. 

Nella sala rosa della Regione a Trento la mediatrice culturale e cooperatrice veneziana Anna Clementi ha innanzitutto spiegato in cosa consiste l’accordo tra Unione Europea e Turchia entrato in vigore lo scorso 20 marzo e che, di fatto, nel giro di pochi giorni ha ‘chiuso’ la rotta balcanica che nel 2015 ha portato in Europa quasi un milione di migranti. 
 


L’accordo tra UE e Turchia 

Si tratta di un accordo che ha ampi spazi di indeterminazione. Ma prevede che tutti i nuovi immigrati ‘irregolari’ che giungano in Grecia dopo il 20 marzo vengano rimpatriati in Turchia. L’accordo dice di ‘escludere ogni forma di espulsione collettiva’ con l’intenzione di rispettare il diritto dell’UE ma le ‘buone intenzioni’ vengono messe a dura prova dall’intesa raggiunta che ha carattere di ‘temporaneità e straordinarietà’. Inoltre vi è l’incognita legata alla Turchia: quel paese ha le caratteristiche di essere ‘terzo e sicuro’ come richiede la normativa internazionale legata al diritto d’asilo?

L’accordo tra Turchia e UE si basa sul cosiddetto scambio 1 a 1: per ogni siriano rimpatriato in Turchia dalle isole greche un altro siriano sarà reinsediato dalla Turchia all’UE. 
Solo siriani? Già qui si vede la debolezza dell’accordo: com’è noto i migranti che scappano dal proprio paese non sono solo siriani. 
L’accordo poi ha valore solo fino a un massimo di 72mila persone e poi il meccanismo viene interrotto. Sul ‘poi’ nulla si sa. 
In sostanza l’Europa ha puntato tutto sulla Turchia, assegnandole anche il compito di controllare il fatto che non si aprano nuove rotte marittime terresti. La Turchia quindi oggi ha un grande potere di contrattazione visto che al momento il maggior numero di profughi si trova lì (circa 3 milioni). 
Sullo sfondo c’è naturalmente la grande ‘sfida’ dell’avvicinamento e in prospettiva l’adesione della Turchia all’Unione Europea. E in questo senso ha fatto e fa molto discutere il contributo di 3 (+3) miliardi di dollari assegnato dall’Unione Europea per affrontare i ‘costi’ dell’emergenza umanitaria.


La rotta balcanica

Si è attivata nel 2015, dopo che nel 2014 il maggior numero di profughi ha utilizzato il mediterraneo centrale (il sud Italia) per giungere in Europa. La rotta è stata utilizzata prevalentemente da profughi SIA (cioè provenienti da Siria, Afghanistan e Irak), ma vi hanno preso parte anche un buon numero di pakistani e iraniani. 

Tra 2014 e 2015 le richieste d’asilo hanno fatto registrare un grande escalation, passando dalle 526mila del 2014 (63mila in Italia) al milione e 255mila del 2015 (83mila in Italia). Molto interessante è rilevare il fatto che le richieste d’asilo a livello europeo riguardino soprattutto cittadini SIA ma che questa tendenza non riguardi l’Italia dove invece le richieste d’asilo riguardano soprattutto nigeriani, pachistani, gambiani e soprattutto afghani. Questi ultimi da tempo riconoscono all’Italia di avere la maggiore sensibilità nei loro confronti a livello continentale. 

La rotta balcanica di fatto si aprì nell’agosto 2015 per una serie di motivi. Uno dei più importanti fu l’installazione delle recinzioni ai confini dell’est europeo; in Ungheria ma anche in Bulgaria e sul fiume Evros al confine tra Grecia e Turchia. Come si ricorderà ad un certo punto l’anno scorso si arrivò vicini all’apocalisse al confine macedone, con un tale ammassamento di migranti che alla fine convinse le autorità del paese, e quindi la Serbia successiva tappa dell’esodo verso il nord Europa, a offrire dei visti di 72 ore d transito. La Germania svolse un compito cruciale in questo flusso aprendo completamente le sue frontiere (ma solo ai siriani).

La situazione sulla rotta balcanica è tornata a complicarsi il 18 novembre quando la Slovenia e poi altri paesi hanno richiuso i confini specie ai migranti non SIA. Provocando un sovraffollamento in numerosi campi profughi, tra cui quello ormai noto di Idomeni, confine tra Grecia e Macedonia. 
Nello scorso mese di febbraio la situazione si è completamente bloccata e sono montati le proteste, culminate nel tentativo del 14 marzo di sfondare le recinzioni con la cosiddetta ‘marcia della speranza'. 
Successivamente gli hotspots sulle isole greche (tra cui quella di Lesbos dove prossimamente si recherà anche il papa) sono diventati quasi dei luoghi di detenzione, costringendo anche UNHCR e Medici senza Frontiere ad abbandonare il campo, quasi a dimostrare che l’attuale violazione dei diritti umani in quei luoghi ha raggiunto livelli tali da non consentire alle agenzie dell’ONU e alle principali ONG internazionali di dare legittimità attraverso la propria presenza. 


Quale l’attuale situazione? 

La cooperatrice Anna Clementi ha parlato di un sistema greco di richiesta asilo completamente al collasso, spiegando che nei campi in Macedonia i profughi sono al 60% donne e bambini (un 30% di bambini, migliaia e migliaia). Nella complessa partita dei diritti dei migranti a livello europeo hanno intanto assunto un peso importante anche le ambizioni di Macedonia e Serbia di entrare a fa parte dell’Unione Europea. 
Clementi ha anche riferito che parte della rotta balcanica è  comunque transitata attraverso l’Italia e nello specifico il Friuli Venezia Giulia. Per Tarvisio sono infatti transitati numerosi afghani e pakistani che spesso sono rimasti bloccati a causa dei tempi lunghi di attesa lunghi (1/2 anni) per ottenere l’asilo. Tra loro quelli che hanno ottenuto un permesso soggiorno Dublino (nel paese in cui sono stati registrati) si ritrovano in una sorta di limbo, bloccati senza poter fare niente. 

Con il il blocco della rotta balcanica in queste settimane naturalmente si sono susseguite le ipotesi su quello che accadrà nei prossimi mesi estivi. Quali saranno le nuove rotte per i profughi? In merito ci sono diverse ipotesi. Si parla di una ripresa degli sbarchi nel sud Italia e anche e soprattutto di un nuovo esodo che dalla Grecia potrebbe avere come obiettivo temporaneo il nostro paese, dopo aver attraversato l’Albania. Un’altra ipotesi vede anche Cipro come possibile ‘ponte’ tra medio oriente ed Europa. 

Nel dibattito che ha concluso l’incontro a Trento sono stati infine analizzati alcuni aspetti geopolitici di quanto sta avvenendo in medio oriente. Oltre che dell’atteggiamento dell’Europa - che per anni ha fatto finta di non vedere quello che stava succedendo soprattutto in Siria, accorgendosene solo quando milioni di profughi hanno cominciato ad accalcarsi ai suoi confini - si è parlato anche ad esempio di Qatar ed Arabia Saudita e non solo. Molti paesi infatti, arabi e non solo, hanno finito concentrato la loro attenzione soprattutto sulla possibilità di mettere mano progressivamente sulla presa di potere in Siria, spezzando l’asse che da sempre collega il regime di Assad e gli hezbollah libanesi con l’Iran. 

Anna Clementi ha concluso la sua lunga relazione ricordando alcuni principi chiavi che spesso vengono dimenticati quando si parla di rifugiati e diritto d’asilo. 

“I profughi in realtà vorrebbero restare a casa loro o recarsi al massimo temporaneamente in un paese vicino. Solo come extrema ratio si recano lontano.“

Il recente accordo con la Turchia in sostanza sarebbe una manovra dilatoria, fatta soprattutto sulla scia del desiderio da parte del maggior numero di paesi europei di non scontentare un’opinione pubblica aizzata dai populisti. In sostanza l’UE si lava la coscienza dando dei soldi ed ‘esternalizzando il problema’, in assenza di una vera e propria politica europea in tema di immigrazione. L’accordo in sostanza serve per ‘tappare un buco, ma tutti sono consapevoli del fatto che i disperati torneranno presto a premere da un’altra parte. Mettendo in evidenza ancora una volta tutte le contraddizioni che caratterizzarono gli attuali ‘equilibri’ internazionali.