Mascagni, una figura di grande rilievo
Hanno preso il via le iniziative volte a commemorare la figura di Andrea Mascagni, a cento anni dalla nascita. Dopo l’ampio convegno svoltosi a Trento il 31 maggio scorso presso il conservatorio Bonporti, incentrato in particolare sull’importanza della cultura musicale e politica, il ricordo del Maestro è proseguito il 10 giugno presso il Conservatorio di Bolzano, con una rassegna delle trascrizioni dei cori alpini ad opera di Mascagni, a cura del coro Val Sella.
Il primo appuntamento si è svolto presso il vecchio Municipio di via Portici, a Bolzano, il mese scorso. Si è trattato di un momento pubblico, ma rivolto principalmente ai docenti delle scuole della provincia di Bolzano, nel quadro di un percorso volto ad evidenziare alcune biografie esemplari per la storia del territorio.
La personalità di Andrea Mascagni, nato a S.Miniato di Pisa nel 1917 e scomparso a Trento nel 2004, ha la particolarità di rappresentare uno degli esempi più nitidi di percorso attraverso il cosiddetto “secolo breve”, secondo la celebre definizione di Eric Hobsbawm, dentro il quale si è trovato a vivere alcune delle esperienze più forti e significative per tanta parte della storia politica e culturale di questo territorio regionale, ma in una dimensione sia nazionale che europea di particolare rilievo.
Lo hanno sottolineato i relatori, gli storici Giuseppe Ferrandi, direttore del Museo storico del Trentino, e Vincenzo Calì, docente emerito di storia contemporanea presso l’ateneo di Trento, curatore del Fondo Battisti presso lo stesso museo ed oggi curatore anche del Fondo Mascagni: la figura di Mascagni, compositore di musica contemporanea, leader prima delle resistenza antinazista e poi del partito comunista, intellettuale impegnato in battaglie politiche e in attività culturali fortemente legate ai temi della musica e della didattica musicale, senatore e parlamentare europeo, protagonista di primo piano del dibattito autonomistico locale e suo alfiere sullo scenario nazionale, non è figura facile da fissare in un comodo schema storiografico.
Giuseppe Ferrandi si è soffermato sui passaggi delicati e decisivi della sua formazione giovanile: il suo rapporto giovanile col fascismo, il suo passaggio ad una scelta antifascista fra il ’39 ed il 1940; la Resistenza antinazista ed antifascista in un territorio difficilissimo e unico nello scenario dell’occupazione dell’Europa; il suo impegno politico nel dopoguerra, in primo piano nelle più importanti battaglie in consiglio comunale e poi nelle assemblee di massimo livello nazionale ed europeo, senato e Parlamento europeo; il passaggio o la maturazione di una cultura politica di tipica ascendenza “ortodossa”, cioè legata al travagliato percorso dal marxismo di ispirazione leninista del primo periodo post-bellico , fino alla stagione della riconsiderazione del disegno autonomista in chiave decisamente progressista, ma rispettosa dei diritti delle minoranze di lingua tedesca e ladina, di cui portò testimonianza nelle aule nazionali.
Ferrandi ha voluto sottolineare il carattere specifico dell’esperienza resistenziale di Mascagni, caratterizzata da tre fattori: la brevità del periodo vissuto, la totale clandestinità; la collocazione in un territorio di fatto “impossibile” per un radicamento militare e operativo in senso antifascista; il sostanziale isolamento nell’ultimo periodo dell’occupazione, a seguito della distruzione delle cellule trentine e bolzanine.
Al complesso quadro di riferimento per l’interpretazione del ruolo e della fisionomia del Mascagni leader della resistenza locale, va sommata la particolarità della strategia “a-fascista” del nazismo occupante, al fine di ingraziarsi le popolazioni trentino-tirolesi, e la conseguente assenza del “popolo” nella vicenda resistenziale.
È tempo di paradigmi più complessi, hanno condiviso i relatori, rispetto a quelli classico-retorici in uso fino a pochi decenni fa per classificare lo specifico fenomeno locale di resistenza al nazifascismo: ed è tempo di considerare la pluralità delle esperienze di opposizione la nazismo ed al fascismo, senza ridurre ad una formula unica forzata o su ipotetiche “primogeniture”.
La lettura storiografica più avvertita ha spostato da tempo l’attenzione sulle “motivazioni” e non solo – o tanto – sulle azioni militari svolte: anche in questo rimane profondamente innovativa ed originale la lettura che lo stesso Mascagni diede in anni ormai remoti nell’intervista concessa a Vincenzo Calì, poi apparsa in "Antifascismo e resistenza nel Trentino. Testimonianze", Trento, Temi editore, 1978: la resistenza locale, viene riconosciuto dal leader comunista, risultava priva del carattere di “resistenza di popolo” che tanta storiografia ufficiale all’epoca certificava quale garanzia di autentica esperienza antifascista.
Rifacendosi alla tipologia introdotta da Claudio Pavone in un saggio del 1991, centrale per le interpretazioni della resistenza (Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità della Resistenza) che distingue fra modelli motivazionali che avrebbero promosso forme diverse di partecipazione alla lotta antinazista e antifascista (patriottica; politica; di classe), gli storici hanno argomentato che la base dell’adesione originaria nelle due provincie di Trento e Bolzano, in cui si mosse Mascagni (nome di battaglia: Giovanni Corsi), al contrasto all’occupazione nazista fu ascrivibile prevalentemente alla motivazione di classe, con un piccolo ma concreto radicamento nella fascia operaia della piccola società locale, in Zona industriale nel capoluogo altoatesino e alla SLOI a Trento: ma una adesione sostanzialmente limitata, di ridotte dimensioni, che si può definire elitaria. Questo soprattutto perché la politica nazista diretta dal Gauleiter Hofer – buon conoscitore delle dinamiche socio-culturali trentino-tirolesi - riuscì nel singolarissimo espediente di coniugare una politica di occupazione attiva (con tutte le sue implicazioni, a partire dalla deportazione antiebraica) con la marginalizzazione della componente fascista, profondamente invisa alle popolazioni locali, neppure in funzione sussidiaria collaborativa; e procedette a costruire invece una fattiva collaborazione con i gruppi dirigenti locali afascisti ma non antinazisti, fino a costituire settori di polizia nazista locale in mano a fidati elementi del territorio.
In un quadro di questo tipo, ben chiaro a figure come Mascagni o Enrico Serra o Mario Pasi a Trento, l’unica strada percorribile era quella di una serrata clandestinità. Di qui anche il suo isolamento nelle fasi più difficili della lotta antinazista, derivante dalla sua volontà di stringere maggiormente i vincoli di segretezza della lotta clandestina, a fronte di una maggiore apertura verso l’esterno del gruppo guidato da Manlio Longon. Ritrovatosi praticamente privo di qualsiasi riferimento dopo il rastrellamento del dicembre 1944, con la cattura anche della fidanzata Nella e poi del proprio padre, il latitante Corsi/Mascagni ebbe difficilissima vita nei mesi prima della liberazione, ma si trovò alla fine del conflitto a doversi assumere un ruolo che non potè che essere di primo piano, anche a seguito della distruzione dell’intero nucleo resistenziale locale di ispirazione socialista e comunista. L’illustrazione degli storici si è soffermata però su alcuni aspetti che sono stati ben poco indagati in precedenza, anche per le oggettive difficoltà di carattere documentario e storiografico, in particolare in ordine alla formazione giovanile del futuro leader comunista, e quindi anche in riferimento alla sua formazione ideologica in senso marxista. Gli interventi di Ferrandi e Calì si sono soffermati sulla biografia di un giovane intellettuale di estrazione borghese, appartenente ai ranghi di una elite di origine liberal-nazionale, legata in modo sofisticato alla cultura musicale, giunta nel territorio altoatesino in un contesto di costruzione di un profilo politico culturale perseguito dal fascismo in direzione modernizzatrice e nazionalista. La giovanile adesione ai GUF universitari fascisti, e l’attiva partecipazione alla loro vita culturale non appare in contrasto – così come per numerose altre biografie politiche di esponenti coetanei della sinistra italiana del novecento - con una difficile maturazione e presa di distanza consumata dentro la cornice del secondo conflitto.
Laureato in chimica a Bologna, nell’anno accademico 1940/41 si reca per un incarico di docenza all’università di Catania, dove riceve una immagine marcatamente diversa della funzione e ruolo dei maggiorenti fascisti nella guida del territorio e dell’ateneo, ben diversa da quella “modernizzatrice” in cui aveva risposto fiducia negli anni della baldanza giovanile e critica dei GUF, quando si muoveva con l’orchestra giovanile da lui diretta e portava in giro anche brani delle avanguardie europee del tempo. Com’è noto alla consolidata storiografia del fascismo, diversi settori giovanili intellettuali godevano nei GUF di una franchigia di espressione – se non di “libertà” condizionata – inesistente al di fuori di questi contesti elitari, protetti da figure assai diverse, quali Giuseppe Bottai – intellettuale fondatore di “Critica fascista” e ministro - o dal giovanissimo gerarca e letterato toscano Alessandro Pavolini. In alcuni recenti contributi storici, talvolta assai originali ma interessanti, è stato possibile ricostruire non solo diversi di questi itinerari sofferti e complessi dal fascismo avanguardista all’antifascismo militante, ma anche aspetti più controversi e difficili, dal contatto con settori della “mistica fascista” all’eterodossia di gruppi rimasti avanguardisti ma mai antifascisti: basti ricordare qui Aldo Grandi, I giovani di Mussolini : fascisti convinti, fascisti pentiti, antifascisti , Baldini & Castoldi, 2001; o ancora il brillante e discusso testo per Adelphi di Luciano Mecacci, La Ghirlanda fiorentina e la morte di Giovanni Gentile, 2014, dove fanno capolino – al di là della tesi di fondo, talvolta eccessivamente induttiva - alcune interessanti ricostruzioni degli ambienti “radicali” e intellettuali fra gli anni Trenta e Quaranta interni al frondismo fascista, con esiti dei più divergenti nel contesto bellico successivo.
Il mondo complesso del cosiddetto “sinistrismo fascista” fa capolino anche nella biografia dello stesso Mascagni negli anni Trenta, fase tutta da indagare: in una testimonianza orale, a chi scrive, l’ormai anziano leader ricordava , nell’ambito di una brillantissima conferenza del compianto docente universitario a Pisa Umberto Carpi svoltasi nel 1987 a Bolzano, sul tema delle avanguardie del Novecento, di avere incontrato a Roma, al Teatro degli Indipendenti dei fratelli Bragaglia (vecchie avanguardie futuriste, poi registi cinematografici) per la prima volta dei riferimenti ai soviet, in quel cenacolo di irregolari, con la proposta de L’armata a cavallo di Babel. Certamente la svolta ideologica di Mascagni, così nella lettura di Ferrandi e Calì, si consuma propriamente fra la disillusione dell’esperienza siciliana e gli sviluppi della guerra, che lo conducono a Roma nel genio aereonautico fra il 1941 e il ’42: già nelle originaria testimonianza resa a Vincenzo Calì, Mascagni rammentava l’esperienza romana quale determinante, con l’incontro con altri giovani ufficiali antifascisti e già vicini a settori cospirativi di ispirazione comunista. Da Roma inizia dopo l’otto settembre 1943, come per altri della sua generazione, l’adesione alla realtà cospirativa antifascista ed antinazista: momentaneamente a Collalbo in quanto sfollato con la famiglia, viene imprigionato ma fortunosamente riesce a scappare, si muove a Predazzo dove raggiunge Nella con la sua famiglia, anch’essi sfollati: ormai latitante, aderisce ai gruppi attivi nel Trentino, muovendosi fra la Val di Fiemme, , il Lagorai, e poi, su mandato del gruppo fiemmese, muovendosi verso i due capoluoghi . La figura di Mascagni in questa fase è quella del reclutatore, “pedagogica” la definisce Ferrandi, sottolineandone un imprinting politico-culturale che lo caratterizzerà nel corso della sua intera esistenza di militante: attenzione diretta alle persone, ai singoli, muovendosi in una cornice comunicativa prima ancora che ideologica.
Fino al luglio del ’44 questa sarà l’attività prevalente del nostro, che si concluderà drammaticamente con l’ondata repressiva che nell’estate del ’44 smantella l’intera struttura clandestina militare, con arresti, deportazioni, uccisioni. Scampato all’arresto, “Corsi” si rifugia con l’amico e sodale Senio Visentin – figura fraterna, fino all’ultimo della sua precoce dipartita – presso l’abitazione estiva dello stesso amico, a Spormaggiore, isolati e in perenne tensione: è qui che stabiliscono di approfondire lo studio marxista, i classici, Lenin ed anche Stalin. L’azione di propaganda in Val di Non e Val di Cadino risulta infruttuosa, mentre nasce attraverso il fratello di Visentin, medico a Trento, in contatto con Mario Pasi , medico ravennate comunista, carismatico e ideologicamente preparato, che in un incontro in casa della futura cofondatrice dei Focolarini richiamerà il neofita Mascagni ad assumere un atteggiamento meno dogmatico e più attento alle persone ed alle loro idee, anche quando di parte apparentemente lontana.
Risale all’estate del ’44, dopo la dura repressione fra giugno e luglio, la consapevolezza del futuro leader politico altoatesino e trentino che le difficoltà ambientali per impiantare una solida articolazione militare resistenziale in regione sono insuperabili, e da lì una maggiore cautela e dopo il dicembre ’44 un completo isolamento segneranno la sua ultima fase clandestina. Nelle memorie, ricordava che l’unica azione militare tentata, addirittura individualmente, fu quella di attentare alla vita del delatore nazista prezzolato Fiore Lutterotti, l’artefice dell’uccisione dell’intero gruppo resistenziale rivano-roveretano; ma senza risultato.
Con la fidanzata segregata prima nel carcere di Trento e poi nel Durchgangslager di via Resia a Bolzano, nel famigerato Blocco celle, e l’arresto del padre Mario, fino alla liberazione il leader vive questa condizione di essere l’unico sopravvissuto in libertà dell’originario tentativo di istituzione di un CLN locale. Di qui, la naturale sorte, alla conclusione del conflitto, di diventare una figura di immediato riferimento per quanti, vittime della repressione nazista e sopravvissuti alle torture, alla deportazione, alle rappresaglie, uscivano – giovani e giovanissimi - vivi dai luoghi del tormento, e partecipavano al tentativo di ricostruzione dopo le terrificanti vicende legate all’occupazione. Anche gli 80 delatori nazisti prezzolati locali, ricorda Ferrandi, vengono rapidamente reintegrati, talvolta con ruoli importanti, e questo dà il tono del contesto politico in cui ci si muove nel territorio regionale e provinciale fra il maggio ’45 e il 1948.
Mascagni da qui inizia la sua marcia dentro le istituzioni democratiche, assumendo prima incarichi di guida del ricostituito CLN, poi partecipando da leader alla ricostruzione delle organizzazioni del movimento operaio comunista regionale e dei due capoluoghi. Va sottolineato che nonostante le molteplici ragioni personali che avrebbero potuto fargli immediatamente sposare una linea politica marcatamente nazional-comunista – con neppure sottaciuti intenti di rivalsa verso l’acquiescente atteggiamento di tanta parte delle popolazioni regionali verso l’occupante nazista – e al di là di una adesione anche ingenua alle tesi allora condivise da settori non minoritari della leadership nazionale comunista (Luigi Longo - “Gallo” - in primis), che leggevano “Il marxismo e la questione nazionale” di Stalin quale viatico al tema prima ignorato delle minoranze linguistiche e nazionali, e dell’ autonomia in rapporto al diritto all’autodecisione - il giovane leader comunista condivise ben presto “le ragioni dell’altro”, al punto di entrare in conflitto anche con figure di partito a lui molto vicine, quali Rinaldo Dal Fabbro, su posizioni ben più intransigenti.
Vincenzo Calì ha inteso poi sottolineare alcuni passaggi fondamentali per inquadrare una figura così politicamente complessa, in cammino attraverso il Novecento verso una idea di autonomia democratica partecipata e rispettosa, sempre rivolta anche alla prospettiva regionalista e non rinchiusa nelle sole due provincie.
Come curatore delle carte d’archivio, il docente ha voluto rimarcare la dimensione dell’attività politica di Mascagni come un costante “work in progress”, dove analisi ed interventi svolti nel corso del tempo vengono ripresi, rimaneggiati, plasticamente riutilizzati per confrontarli con lo spirito del tempo in corso, nel presente: si tratta di una estrema dimensione di “prassi nel presente”, dove gli stessi aspetti di storicità della documentazione vengono reimmessi nel movimento del presente. Una consapevolezza che Calì ascrive alla pratica politica del “calarsi nel contesto” che caratterizzò sempre il suo agire, uno stile politico di alta levatura lo definisce lo storico trentino, derivante dal suo articolato percorso biografico, e che poi si concretizzò nella sua lunga attività parlamentare, nazionale ed europea.
È proprio nel contesto degli incarichi parlamentari, a seguito dell’elezione nel 1976, che Mascagni portò in primo piano, nell’esperienza diretta romana, l’attenzione verso la realtà autonomista altoatesina e trentina, facendosene alfiere per un decennio dentro una cultura politica, quella della sinistra nazionale, il filone “migliorista” comunista - in avvicinamento al governo della nazione, prima dell’omicidio Moro - , che costituiva un arricchimento notevole di prospettiva politica.
Ma Calì ha puntato l’attenzione verso una data a suo parere cruciale, quella del 1969 .
Risulta infatti illuminante la rilettura di un particolare momento storico, la partecipazione, insieme a Bruno Kessler, ad una commissione al senato sulle autonomie regionali: in quel contesto viene elaborato un tema cruciale, condiviso da entrambi i protagonisti dell’incontro, il democratico cristiano e il comunista, quello della necessità di un salto di qualità culturale nel territorio regionale, proprio ai fini del rafforzamento dell’autonomia democratica, quello della istituzione di una università regionale. Quello che li tiene insieme – grazie e con la mediazione importante ed autorevole di Paolo Prodi, rettore a Trento dopo la creazione dell’ateneo nel capoluogo provinciale - è un progetto politico regionale con un orizzonte di riferimento di ispirazione federalista , cresciuto dentro la pratica concreta dell’autonomia regionale e provinciale, con una attenzione non rituale ma reale alla questione della salvaguardia dei diritti delle minoranze, ed una forte sensibilità nei confronti della comunità di lingua tedesca, testimoniata anche sul piano strettamente personale dalla vicinanza affettuosa alla famiglia di Josef Mayr Nusser, riconosciuto da subito nel suo profilo di altissima moralità esemplare.
Tornando però alla questione dell’università, Calì ha voluto ricordare che la seconda fase del tentativo di istituire un’università regionale trilingue – ante litteram – su Trento e su Bolzano, con il sostegno attivo dell’allora rettore Paolo Prodi, con un autentica battaglia culturale capeggiata da Mascagni in Parlamento, naufragò non solo per l’opposizione di importanti settori dell’SVP, ma anche per il rifiuto frontale della Südtiroler Hochschulerschaft, l’importante sigla di rappresentanza studentesca sudtirolese, che avversò frontalmente il progetto.
Negli anni successivi, Mascagni mantenne alto l’impegno politico-culturale, orientandosi sempre più sul versante musicale.
A seguito della forte tensione ideale promossa dalla fase berlingueriana del partito comunista, il senatore Mascagni operò per fare, di fronte alla platea nazionale, della realtà regionale un laboratorio avanzato di pratica dell’autonomia come forma di democrazia partecipata popolare, attenta al rispetto delle minoranze, con un respiro non solo italiano ma anche europeo – anche in virtù del suo nuovo incarico al parlamento a Strasburgo.
Il contesto non ha permesso di fare il punto approfondito sul fondamentale ruolo di portavoce dell’educazione musicale a livello parlamentare nazionale – posto invece al centro del recente convegno trentino – ma è stato importante infine sottolineare la finale scelta di mettersi ai margini, come spettatore disincantato, del dibattito politico regionale e provinciale, fino a poco tempo prima della scomparsa nel 2004.
Uomo e protagonista politico di primo piano, all’insegna del valore del confronto e della condivisione, Mascagni non poteva non risultare insofferente verso i segnali di peggioramento del clima politico, il cui portato, conclude Calì, è sotto i nostri occhi, con la riproposizione di pratiche “esclusiviste” – vedi toponomastica – che riproducono vecchie forme di conflittualità.
Ferrandi e Calì hanno quindi condiviso, come valutazione finale, l’utilità e la necessità di un confronto storico aperto e diretto con una figura così ricca di spunti anche per il presente quale quella di Andrea Mascagni, condividendo l’idea di una serie di ulteriori incontri di approfondimento da tenersi fra Trento e Bolzano; cornice coerente, per un regionalista convinto.