Le dolci provocazioni di René
Il piatto, un dolce al cucchiaio, sfrutta tutte le superfici possibili. Al centro della scodella una quenelle di kiwi “nuota” in una salsa di litchi, tè matcha e Champagne. Sul bordo un arco di altri ingredienti vegetali, fiori, zucchero granulato. Il delicato bilanciamento tra innovazione e tradizione qui è cercato sulle note cromatiche del bianco e del verde, sintesi e specchio perfetto dell’ambiente circostante. Siamo infatti nel giardino dell’Hotel Laurin, dove nei mesi estivi si pranza e si cena sotto una tenda bianca, come fosse sospesa tra gli alberi.
Da pochi mesi il repertorio culinario del ristorante condotto da Manuel Astuto si è arricchito del contributo di un giovanissimo pasticcere, René Unterhauser [qui sopra al centro della foto], che dopo essersi fatto le ossa in Val Gardena (Romantik Hotel Turm) e in Austria – è stata in particolare fondamentale la collaborazione con Raffaele De Luca, pâtissier del Central di Sülten – è tornato “a casa” e ha trovato ormai un ruolo importante nella brigata del principale albergo bolzanino: “Se va avanti così – afferma Astuto – René diventerà uno dei principali pasticceri dell’Alto Adige”. Il diretto interessato cerca di contenere la soddisfazione nell'espressione di modestia che meglio gli riesce. “Bisogna però continuare a lavorare, rispettare gli impegni, cercare il sistema...”.
Per capire il lavoro di un pâtissier, e di Unterhauser in particolare, occorre innanzitutto introdurre una distinzione fondamentale, non intuitiva per chi è abituato a vedere nel “dolce” e nei “dolci” qualcosa di indistinto. All'interno di una cucina, infatti, la cura di tutto quanto ha a che fare con il dessert si concretizza nell’espressione “dolci al cucchiaio”. Possono essere i cuochi stessi ad occuparsene, ma può anche darsi il caso di una progressiva specializzazione, di una passione che si concentra fino a ritagliarsi una visibilità anche notevole, sempre incorniciata ma autonoma dal resto, giacché il dolce è anche l’ultimo piatto di un menu, quindi è a lui che è affidato in genere il ricordo più duraturo degli ospiti, il souvenir del viaggio appena fatto.
Unterhauser sintetizza così il suo metodo di lavoro: “Esattamente come fa un cuoco, io parto sempre dall’individuazione di un ingrediente legato alla stagione o alla mia ispirazione particolare. Poi comincia un periodo di studio, raccolgo le idee, a volte anche per tre settimane, e provo a comporre il piatto. Mi piace stupire, introdurre magari note piccanti che possono spiazzare, ma pur sempre in una cornice di grande compostezza e classicità”. In pratica la filosofia che i migliori cuochi cittadini stanno tentando per dare a Bolzano un profilo più “urbano” e “internazionale”, come già esemplificato nella cena di presentazione del progetto On the table.
All'orizzonte di Unterhauser, per questo, ci sono dei viaggi. Londra e Washington, per cominciare. Ogni cuoco è un'ape che vola di fiore in fiore, il miele, quello buono arriva alla fine. E ovviamente sarà merito dell'alveare-ristorante, ma anche dei suoi solisti vestiti di bianco, al lavoro tra rigore e stupore, per deliziare gli ospiti che intanto sono già arrivati quasi tutti dalle parti del caffè e dei digestivi.
“Il bello di questo mestiere – mi confida alla fine il pâtissier – è che puoi fare quasi tutto quello che vuoi. A me piace anche provocare, tentare accostamenti al limite del sopportabile, unire per esempio verdure e formaggio di capra, o come ho fatto stasera, usando le note piccanti del rapanello in abbinamento alla mela”. C'è un detto che afferma: “c'è una sola differenza tra una lunga vita e una buona cena, nella cena i dolci vengono per ultimi”. Per alcuni però, come per Unterhauser, i dolci adesso sono diventati la prima cosa.
Splendido, davvero. Opere d
Splendido, davvero. Opere d'arte. Basta però con le foto dei cuochi con le braccia incrociate.