Società | Solidarietà

Il Diario di Bordo

In fondo tutti partiamo verso un altro porto che auspichiamo sia sicuro. Arriva il momento quando uno saluta l'altro.
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale dell’autore e non necessariamente quella della redazione di SALTO.
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Foto: Twitter

Quando Valentina aveva dieci anni, la mamma Marina le consigliò di tenere sempre con sé un diario in modo tale che, quando girovagavano per il mondo, la bambina potesse scrivere quello che riteneva interessante. Degli appunti, i nomi dei negozi o delle trattorie nei quali i cibi tipici del posto stuzzicavano la sua curiosità. Oppure quando si addentravano nei supermercati per intuire le specialità culinarie degli autoctoni dagli scaffali. Perfino una lista delle spese, delle uscite, delle entrate, il saldo. Lo chiamarono il diario di bordo.

Sono trascorsi anni ed oggi Valentina è cresciuta. Spende i soldi responsabilmente ed è diventata una grande viaggiatrice. Talmente accanita che qualora non riuscisse a partire fisicamente, tenta almeno di viaggiare con la propria fantasia. Non tiene più il diario di bordo ma la mamma Marina, che una volta era solita organizzare i suoi viaggi e che dal primo agosto di quest’anno coordina la mensa C.L.A.B a Bolzano in Via Perathoner 8 ha rilanciato una altro tipo di “Diario di Bordo”. La Mensa C.L.A.B, una cooperativa sociale onlus che ha preso in gestione i locali di via Perathoner 8 a Bolzan, confeziona circa 1000 pasti al giorno per i profughi delle strutture della città' preparando anche il pranzo per gli ospiti “anziani”, per i “soci “della cooperativa e per i profughi sistemati negli alberghi che vengono consumati nella sala interna della struttura .

Alla presidenza del Consiglio di Amministrazione della cooperativa il Dott. Francesco Iurlaro approva , sostiene e condivide le ultime iniziative del Diario di Bordo.

Cosi è successo che Marina Degaundez, di formazione ragioniera e ultimamente dirigente della mensa CLAB, un giorno di fine agosto inizio settembre si ritrovò a vedere piangere su un tavolo della mensa un neonato di soli 5 giorni; un bimbo nigeriano con ancora addosso i vestiti dell'ospedale e con accanto una mamma giovane, impietrita dalle sofferenze e impaurita per il destino incerto. Da questo giorno in poi la vita di Marina prese una piega imprevedibile. É così che si ritornò a scrivere un Diario di Bordo in terra ferma. Il bambino si chiama Daniel e la mamma Florenc. Fanno parte dei 106 profughi,i cosi detti “fuori quota” definiti soggetti deboli che hanno “il diritto” solo di un posto letto, pranzo e cena. Sono donne incinte,donne sole e famiglie con bambini. Bambini che hanno bisogno di carrozzine,pannolini e latte. Marina pubblica immediatamente sul suo facebook la prima richiesta di carrozzine e si iscrive membro del gruppo Solidarita mit Fluchtling. (https://www.facebook.com/groups/1534046566840868/?fref=ts) . Il gruppo è stato creato quasi due anni fa con l'iniziativa di Katharina Unterrichter quando molti profughi furono costretti a stare al Brennero al freddo e senza servizi minimi. All'inizio erano in pochi ma oggi si contano oltre 2500 membri e tre amministratori ossia Katharina Unterrichter, Melita Santer e Sadbhavana Pfaffstaller. I membri del gruppo come in una famiglia allargata si consultano tra di loro scambiando informazioni in aiuto dei profughi. Marina riuscì cosi a trovare le prime tre carrozzine donate dalle famiglie di Castelrotto . Poi un'altra carrozzina per il piccolo Daniel. Da quel giorno e poi ad ogni richiesta d’aiuto di Marina rispondono altre tante donazioni da diversi parti del Alto Adige. Vengono fuori i vestiti per l’inverno,delle coperte , spazzolini per denti , giochi per i piccoli. Quasi ogni giorno Marina si siede davanti al suo pc per scrivere il suo Diario di Bordo . Un diario in cui chiede supporto per i suoi amici “fuori quota”, rasoi e saponette, latte e pannolini, biciclette e salviette. Un Diario in cui ringrazia, sogna e condivide i momenti commoventi trascorsi con i profughi che alle ore 13 in punto si avviano verso la mensa . I più piccoli dentro le carrozzine e con giochi in mano regalati dalla comunità. Un giovedì mi presentai anche io davanti alla mensa. Alle 13 in punto.

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Era la prima volta che entravo nella mensa CLAB ma trovarla è stato più facile del previsto. Bastava seguire i profughi che scorgevi appena ti avvicinavi alla Via Perethoner. Sembravano figurine impolverate e proseguivano verso l'entrata silenziosi, quasi come se si sentissero in colpa. Si accumulavano di fronte alla porta e stavano fermi in fila . Inizialmente vidi tre giovani donne africane, poi altre due con il velo suppongo di origine somala . Magroline e sorridenti. Poi una famiglia intera. Altre due famiglie intere. Una mamma con capelli biondi tinti, raccolti attorno ad una rosa rossa, un tentativo di colorare un po’ la tiepida mestizia sul viso. Un’altra donna con un bambino di tre anni che si ritorceva tra le gambe del padre e quest'ultimo che spingeva una carrozzina con dentro un bebè . Sul ciglio della porta vidi Marina in divisa bianca che scrutava fogli di carta e accompagnava i profughi dentro. Mi chiese di aspettare un po' perché doveva sistemare una famiglia irachena e dare i pannolini ad un bambino . Aspettavo e intanto guardavo. Dall'ala sinistra della mensa intravidi degli anziani che chiacchieravano e mangiavano. Tra i tavoli si dava da fare una ragazza con i capelli raccolti che indossava la divisa bianca. Ho saputo che si chiamava Tina e veniva dalla Giorgia. Abbiamo parlato a stento un po' in un inglese e mi raccontò che aveva lasciato tutta la sua famiglia e i suoi cari nel suo Paese. Aveva viaggiato molto ed era tutta sola. Parlava poco o niente italiano ma per lo meno riusciva a parlare il tedesco. Ci siamo promesse che un giorno mi avrebbe raccontato tutto il calvario che aveva dovuto subire; il viaggio in macchina dalla Georgia alla Turchia, dalla Turchia all’Austria per poi finalmente giungere in Italia. Nel frattempo Marina mi accompagnò nel suo ufficio e portò dentro con sè una carrozzina con un bambino in tuta azzurra con un cappuccio da bambola e con le manine sulla pancia. É lui il famoso Daniel. Ispirandosi dallo sguardo di questo bambino e da quello degli altri profughi, Marina scrive in uno dei suoi diari:

“Diario di Bordo, 2 novembre. I bambini comunicano con gli occhi… Sono arrivate le prime biciclette... Altre arriveranno.... Abbiamo ancora bisogno del vostro aiuto per gli assorbenti femminili (molto richiesti) e altri prodotti per l’igiene personale (rasoi e schiuma da barba per i papà che.... Abbiamo un pochino trascurato) Conto su di voi.....A presto! Marina”

Entrammo ma non riuscimmo a sederci. Parlammo in piedi con lei che andava ogni cinque minuti fuori . In quel poco tempo con me prendeva un po' in braccio Daniel per cercare di farlo smettere di piangere. Nei momenti in cui si spostava da una parte all’altra cercavo di sistemare il ciuccio a Daniel che gli cadeva in continuazione dalle piccole labbra. In un attimo mi accorsi dello sguardo curioso della mamma Florenc. “É molto protettiva”, mi diceva Marina. La donna stava pranzando con altre tre donne nigeriane ma ogni tanto ci osservava. Mi fece un cenno con la testa che io tradussi con: “Cosa sta facendo lui, il mio Daniele?”. Ricambiai il cenno con un altro gesto universale : “Dorme, stai tranquilla!”. Sorrise e si girò verso le sue amiche. Inchinò la testa sul piatto e infilò la forchetta nelle patatine.

Chiesi a Marina come le era venuta in mente quella bella idea di scrivere un Diario di Bordo . Le si velarono gli occhi ed temetti che saremmo scoppiate entrambe in lacrime. Chiuse la porta dietro di noi e mi sussurrò commossa:

“Il loro è un viaggio che prosegue tra immense onde in un mare in burrasca... Da superare con fermezza per riconquistare il diritto a una vita dignitosa. Per i nostri amici profughi, purtroppo, credo che questo viaggio non sia ancora terminato. E' come se non fossero mai scesi da quella barca. Nessuno di loro ha ancora avvistato la " terra che li metterà in salvo "

Poi mi raccontò che la carrozza di Daniel era la seconda che il bambino utilizzava. La prima la conservano ancora. A fine pranzo ci interruppe una famiglia irachena. Il marito cercava pannolini per il bambino . Purtroppo non ce n’erano più. Poi chiese un’altra cosa, una cosa che non riuscivamo a capire. Assieme alla moglie fecero dei gesti con le mani, qualche parola in inglese, qualcosa in tedesco. Sembravano disperati e la moglie era quasi in lacrime. Alla fine riuscì a farci capire che una grave depressione le aveva bloccato il latte e le serviva qualcosa per poter scaldare il latte in polvere. Si trattava di un bollitore elettrico. Le promise che l’avrebbe trovato già dall’indomani e la famiglia si allontanò più rilassata.

Prima di salutarci mi confidò che era un po’ triste. Il piccolo Daniel e sua mamma partiranno per la Calabria per sempre. Un paesino li accoglierà come parte di una famiglia allargata. Il progetto è fantastico ma per Florenc sarà dura. Per la prima volta si è sentita accolta e protetta in questa mensa, tra questa gente. La sua vita è stata talmente crudele che teme che, abbandonando Bolzano, perderà anche la speranza che a fatica stava per fiorire nel suo cuore.

Mi allontanai con la sensazione che qualcosa mi fosse sfuggito, altri dettagli, altri destini o visi che non ho avuto tempo e occasione di osservare. L'indomani ho saputo che il bollitore elettrico era stato trovato. La mamma poteva finalmente scaldare il latte per il suo bambino . Qualche sere fa ho letto:

“Diario di bordo. Venerdì 4 novembre ore 21.58: Per ringraziare chi anche oggi ci ha aiutato con donazioni in questo nostro/loro viaggio... Dedicata a voi che siete saliti a bordo con noi...Grazie! Con affetto Marina”

Giovedì 10 novembre Marina saluterà per l'ultima volta il piccolo Daniel e Florence. Sarah Greenwood, una dei membri attivi di Solidarita mit Fluchtling, li accompagnerà fino in Calabria per poi ritornare senza di loro. So che quel giorno sarà per entrambe un momento di estremo dolore. In fondo tutti partiamo verso un altro porto che auspichiamo sia sicuro. Arriva il momento quando uno saluta l'altro:

“O Capitano! Mio Capitano! Il nostro viaggio tremendo è terminato, la nave ha superato ogni ostacolo, l'ambito premio è conquistato”