La Ribalta: un teatro di-verso

-
Alla Libreria Cappelli, si è tenuta la presentazione del libro Dieci anni straordinariamente normali - edito da Cuepress, una raccolta di riflessioni e testimonianze che raccontano la storia del Teatro la Ribalta - Kunst der Vielfalt, che quest’anno compie dieci anni. L'incontro è stato ovviamente anche un momento condiviso nella commemorazione di Massimo Bertoldi, docente, storico del teatro e figura centrale nella vita della compagnia, scomparso il 1° settembre 2024. La presentazione è stata un'occasione per ricordare che una certa visione del teatro decide di costruire bellezza partendo dalle differenze e da quelle che, nel nostro mondo “a norma”, vengono considerate “fragilità”.
L'evento si apre con una riflessione critica su quanto accaduto a Sanremo 2025, dove durante la terza serata del Festival l’esibizione degli attori del Teatro Patologico - compagnia formata da interpreti con disabilità psichica - ha sollevato un acceso dibattito. L’introduzione al loro intervento, caratterizzata dai soliti toni paternalistici che spesso vengono utilizzati in queste occasioni, ha oscurato il valore artistico della performance, riducendola purtroppo a un momento di mera retorica sull’inclusione. Un episodio da teatrino pietista che ha evidenziato, ancora una volta, quanto sia urgente superare narrazioni superficiali e obsolete per restituire piena dignità e professionalità agli artisti di-versi. Un tema che ha fatto da cornice per tutta la presentazione, contribuendo ad aprire un dibattito più profondo sul rapporto tra teatro e rappresentazione.
-
Fondata nel 2013 da Paola Guerra e Antonio Viganò, la compagnia Teatro la Ribalta nasce proprio con l’ambizione di modificare la narrazione e rompere i confini tra scena e realtà, portando il vissuto particolare di ogni attore e attrice in scena. Un’utopia collettiva diventata poi cooperativa culturale e impresa sociale anche grazie all’aiuto dell’associazione Lebenshilfe di Bolzano.
«Abbiamo scommesso su un’idea di teatro come luogo reale, fatto di lavoro, stipendio, dignità. Non un luogo di cura o di terapia, ma un luogo di presenza, di linguaggi diversi, di bellezza nascosta.
Non ci interessa fare teatro ‘per’ loro, ma con loro, con il loro modo di essere, i loro corpi, le loro ombre, la loro poesia.» Una compagnia di attori, danzatori e artisti di-versi, come si auto definiscono.
All’inizio del libro Antonio Viganò cita una frase molto bella tratta dal romanzo Fratelli di Carmelo Samonà .“Cercami, cercami ancora anche se mi hai trovato”. L’opera racconta la storia di due fratelli, uno “malato” e uno “sano”, chiusi in un appartamento nei giorni che precedono un trasloco. Il loro rapporto è fatto di continue sfide in bilico tra dolcezza, gioco, rabbia e rassegnazione. Ovviamente il fratello “sano” è convinto di avere le capacità logiche necessarie per comprendere appieno il mondo dell’altro - mentre quello “malato” spesso lo asseconda con apparente complicità ma finisce per ribaltare ogni schema, spiazzando e cambiando la prospettiva. In questo racconto, spiega Viganò, c’è il cuore pulsante del lavoro che lui e la compagnia portano avanti da oltre un decennio. Il tentativo di creare un dialogo con l’altro, la necessità di inventare una nuova lingua, una drammaturgia nuova, per un incontro alla pari e che porti ad un ampliamento delle prospettive.
-
Il teatro come atto politico è al centro della riflessione. In una società che esaspera sempre di più la prestazione e l’efficienza neurotipica, La Ribalta rivendica il diritto all’imperfezione, alla fragilità, alla differenza come risorsa poetica, etica e critica. «Il teatro è lo specchio delle nostre malattie, dei nostri incubi, delle nostre tragedie», scrive sempre Antonio Viganò nel libro. «Ma è anche il luogo in cui, attraverso la ferita, possiamo immaginarci in altro modo».
Gli attori della compagnia sono corpi narrativi che portano con sé segni, memorie, ferite. Non cercano compassione, ma ascolto. Rifiutano lo sguardo pietistico e consolatorio, troppo spesso riservato a chi viene definito “diverso” e in scena portano una visione di bellezza inquieta che spiazza e trasforma.
Il libro raccoglie contributi di attori, attrici, docenti, studiosi, amici e osservatori di diversa formazione, che hanno seguito da vicino il lavoro della compagnia e ne raccontano la storia e gli obiettivi. Ne emerge un mosaico di voci e sguardi che testimoniano quanto l’arte teatrale possa incidere sul pensiero e plasmare la cultura, interrogandosi allo stesso tempo sulla sfida quotidiana di cercare la bellezza nei gesti e nelle parole che sfuggono ai canoni, in una drammaturgia in costante evoluzione.
Un’altra riflessione molto interessante all’interno delle pagine è dedicata al termine handicap, usato spesso in modo improprio e discriminatorio. L’etimologia della parola handicap affonda le radici in un gioco d’azzardo inglese del Seicento chiamato hand-in-cap, in cui due giocatori scambiavano oggetti di valore diverso aggiungendo una somma per pareggiare la sfida. Il termine è poi passato allo sport per indicare un vantaggio assegnato al concorrente più debole, così da equilibrare la competizione. Col tempo, però, handicap ha assunto un significato discriminatorio, usato impropriamente per indicare una condizione di inferiorità, tradendo il suo senso originario di riequilibrio e pari opportunità.
A La Ribalta l’obiettivo non è solo produrre teatro, ma cambiamento culturale. La Ribalta non è solo una compagnia che include, ma un organismo vivente e in mutamento che ridefinisce cosa sia il teatro, chi ne ha diritto, e a quali condizioni.
Fare teatro, qui, è un atto quotidiano di resistenza, di riscatto, di ricerca della comunità. È un modo per ricucire ferite e per rivelare, con etica e precisione, ciò che spesso la società nasconde sotto etichette rassicuranti.
«Abbiamo imparato che il teatro non salva, ma può cambiare lo sguardo. E questo, a volte, è tutto.»
ATTENZIONE!
La diversità di opinioni è in pericolo!
Se venissero accettati i requisiti per i contributi ai media, non potresti vedere i commenti senza registrazione.