Politica | Risp. a Palermo

Arginare i puristi della partecipazione?

Dopo il Convegno sullo stato della riforma sul Titolo V della Costituzione e le sue ripercussioni sulle Regioni speciali del venerdì, 10 ottobre, presso l’EURAC,
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non si può essere ottimisti sulle prospettive di ampliamento dell’autonomia di nessuna delle Regioni speciali. Ci sono tutta una serie di incognite e di perplessità e le Province autonome potranno sentirsi fortunati se riusciranno a tirare in salvo i miglioramenti raggiunti dal 2001 in poi.

Che Palermo fosse poco propenso a un vero processo partecipativo verso la riforma dello Statuto di autonomia non è nulla di nuovo. Però, che una Convenzione con componenti tutti eletti per un senatore indipendente fosse “il male assoluto rispetto gli obiettivi che si vogliono raggiungere” è espressione di un concetto di politica del tutto elitaria e di vecchio stampo, che si sperava superata. A questo punto va anche detto che il termine “Convenzione” non è affatto appropriato per una specie di Consulta che la maggioranza politica ha in mente. Una vera Convenzione ha una legittimazione democratica e un minimo di potere decidente, altrimenti è meglio parlare di Consulta abbinata a un dibattito pubblico (“Fachbeirat mit Bürgerdialog”).

“La Convenzione va anche approvata a Roma e ciò deve auspicabilmente succedere mentre è in carica questo Parlamento,” afferma Palermo nell’intervista con SALTO. Naturalmente Roma potrebbe anche impugnare una legge provinciale con cui si istituirà la Consulta per la revisione dello statuto. Se si tratta di un’assemblea senza denti, ha pochi motivi per farlo, e infatti non l’ha impugnata né nel caso del Friuli Venezia Giulia (Assemblea per la riforma dello statuto nel 2004) né nei confronti della Valle d’Aosta (Consulta nel 2006), anche perché a Roma si sa benissimo che il Parlamento può tranquillamente ignorare ogni proposta di riforma proveniente dalle Regioni speciali, non conta se elaborata da una Consulta o direttamente da un Consiglio regionale. Se effettivamente impugnasse la legge provinciale della Provincia di Bolzano sarebbe comunque un affront clamoroso: significherebbe che Roma contesta al Sudtirolo un processo partecipativo di revisione dell’autonomia, cioè vorrebbe vietare alla popolazione di esprimersi in forma deliberativa sulle riforma dell’autonomia.

Dato che le scelte più importanti nell’attuale fase dell’autonomia, quella della definizione delle competenze e del sistema di finanziamento, saranno decise fra poco dagli addetti ai lavori, la Convenzione comunque partirà già monca, ammette Palermo, e semmai potrà discutere un po’ di convivenza e scuola. Inoltre potrà discutere anche un po’ della riforma del governo interno: quanta democrazia diretta e quali altre forme di partecipazione. Sarebbe un doppione quindi, perché di democrazia diretta il Consiglio provinciale già nei prossimi mesi avvierà qualche giro di dibattito pubblico con i cittadini. Ma non si va avanti, poiché lo Statuto di autonomia vigente nega ai cittadini l’iniziativa popolare sulle leggi relativi alla forma di governo. È questo il punto. L’attuale maggioranza sarebbe libera di varare finalmente una legge accettabile sulle regole sui diritti referendari provinciali e sarebbe libera di chiarire l’art. 47 dello Statuto per dare voce in capitolo anche all’elettorato nella definizione di questi diritti, non limitando questo compito al solo Consiglio provinciale che da 13 anni non è riuscito a trovare una soluzione.

“Occorre arginare i puristi della democrazia diretta e della partecipazione”, afferma infine il nostro senatore. Per carità, quasi mi sembra che chi si esprime per più diritti per i cittadini viene preso da minaccia per la democrazia, l’autonomia e la convivenza. Palermo non si è nemmeno accorto che non c’è nessuna proposta o rivendicazione ufficiale né della Rete per la partecipazione né dell’Iniziativa per più democrazia né del M5S relativa ad una Convenzione per l’autonomia direttamente eletta, cioè l’unica forma di convenzione degna di una tale etichetta. Quando io nel marzo scorso proposi tale opzione all’Assemblea generale dell’Iniziativa, questa non si è nemmeno degnata di discuterla né ha ripreso l’argomento (che io sappia). Altroché arginare i puristi. Se la futura Consulta o Convenzione per la riforma per l’autonomia almeno avesse un compito e un peso ben definito nell’iter legislativo verso un nuovo statuto di autonomia, avrebbe un senso pensare ad una sua elezione diretta – ed è per questo che la maggioranza dell’elettorato sardo ha optato per questo diritto – ma nell’ordinamento costituzionale tale ruolo per una possibile “Assemblea regionale costituente” non è previsto e c’è poca speranza che i nostri rappresentanti parlamentari attuali e tanto meno la maggioranza che oggi porta avanti una riforma neo-centralista ci cambieranno una virgola.