Quel "mostro di un albanese"

Credo di essere una persona molto fortunata e devo questa mia fortuna alla capacità di lasciarmi morire ogni volta che ne ho bisogno con la certezza che potrò nascere di nuovo e avere un'altra possibilità di dipingere al meglio questa mia vita nel mondo che mi circonda.
La prima volta sono morta quando sono passata dall'essere bambina a donna.
Stavo lì in piedi, tutta anima, a vedere il mio corpo inerme coperto da avanzi di erba e trifoglio.
Non ho nemmeno pianto, perché piangere voleva dire avere paura e affidarsi ad un destino sconosciuto. Mi sono ricordata di mia nonna che ripeteva: "trimi e ka me vete fatin koce" (il coraggioso ha il destino dalla sua parte figliola).
Così ho deciso di rientrare in quella scatola/corpo, rinascere e riprendere ad edificare il mio destino. Certo, con una nuova consapevolezza: essere donna sarebbe stato difficile, ma ancora non sapevo che essere donna e straniera sarebbe stato quasi impossibile.
Sono morta e rinata parecchie volte da allora.
L'ultima volta ieri sera, su una sedia di un piccolo teatro chiamato Carambolage, in questa piccola e a volte ostile città di confine, chiamata Bolzano.
Si esibiva un pianista albanese trapiantato a Ferrara e un gruppo polifonico arrivato direttamente dall'Albania, Robert Bisha & Albanian Iso-Polyphonic Choir.
Decido così di trascinare lì anima e corpo per vedere se lo stupore, la curiosità, la nostalgia, e la fierezza mi avrebbero di nuovo rianimata.
Lo stupore per come fossero arrivati fino qui, in questa città lontana, in un luogo fatto per la musica di nicchia.
La curiosità verso una combinazione pianoforte - musica etnica . La nostalgia dell' iso-polifonica, musica primitiva, che aveva accompagnato tutta la mia infanzia e che non sapevo mi fosse mancata tanto. Fino a ieri sera.
La fierezza di essere albanese, ancora una volta.
La piccola ex cantinetta si è riempita, con passo timido ma costante ed è stata quella la prima scarica che ha eliminato la linea piatta.
La seconda arriva dopo che un mio caro e vecchio amico cita un antico proverbio albanese della regione di Përmet: "quando si viaggia da soli si è soli, quando si viaggia in due ti metti a litigare ma se viaggi in tre sicuramente ti metterai a cantare”.
La terza scarica me la da il canto "Iso" che arriva da dietro le quinte, tagliente, deciso, maestoso.
Ed è a questo punto che perdo il conto.
Arriva da dietro quella tenda blu il giannizzero albanese, che gli inviati del sultano portarono via quando era in fasce, addestrato e rimandato a combattere sulla stessa terra con il divieto di tornare perdente. Sale su quel palco Çelo Mezani che muore combattendo nel Vilayet di Giannina. Esplode il lutto di sua madre che non accetta la morte del figlio.
Si proietta sui muri l'ombra di Zenel Çelo e compagni che illudono le guardie e stendono il Pascià, ma che poi vengono colpiti alle spalle, a tradimento e Janina (Giannina).
Si siede a fianco a me la vergine delle onde che aspetta sugli scogli il suo soldato che non tornerà mai più. Sento quasi l'acqua arrivarmi alle caviglie e vedo la schiuma dove lei si è sciolta.
Scende a passo deciso dalla schiena delle montagne Lek Dukagjini, per volere suo viene riportato sulla carta il codice di Kanun (questo codice, nella forma in cui è stato raccolto, fissa in maniera rigorosa il diritto di vendicare l'uccisione di un parente, colpendo i parenti maschi dell'assassino fino al terzo grado).
I colpi ai bordi del def (strumento musicale poco piu grande della tammorra) decidono i minuti che rimangono agli uomini per vivere.
Il suono della lahuta (strumento popolare a una corda fatta di coda di cavallo cosi come l’arco) da il permesso alle donne di piangere i morti dentro le kulle (torri ma che fungevano da residenze fortificate dotate di cortile, alte con i muri di pietra, molto spessi, e al posto delle finestre c'erano delle fenditure (frenji) che avevano un duplice scopo: difensivo per appostare il fucile e sparare ai nemici senza il timore di essere colpiti e per preservare la riservatezza della famiglia, in particolar modo delle donne.
Ci sta tutto in una cornice di suoni partoriti da un pianoforte a coda, ora morbidi e lamentosi, ora vivaci e forti.
Ecco, la mia linfa vitale adesso.
Ecco sono nata di nuovo.
Ritorno a vivere in mezzo alla gente che applaude, alla gente che ha capito e apprezza.
Aveva ragione il mio amico: la musica non ha colore, provenienza, non conosce confini e limiti, la musica unisce, la musica compie miracoli e caccia per sempre quel "mostro di un albanese".