Società | Notti fuori/2

Sopravvivere, dove nessuno guarda

Le tende sotto ponti e viadotti indicano che i posti letto a disposizione nei Ricoveri Notturni Invernali sono insufficienti. Tra sgomberi e scarsa pianificazione, le tante persone in strada – come moderni Sisifo – spesso devono tornare al punto di partenza.
tende Bolzano
Foto: Alessio Giordano/SALTO
  • Notti fuori/2: “Sulla strada”

    Una serie di SALTO per raccontare la grave emarginazione in Sudtirolo. Partendo dalla realtà, accompagnati dalle voci e dalle esperienze di chi lavora in prima linea e di chi si trova suo malgrado costretto in strada, accenderemo i riflettori sul fenomeno della homelessness, sulle sue complessità e sui nodi irrisolti che, a oggi, le istituzioni del nostro territorio non sono ancora riusciti a sciogliere. 

    La prima parte della puntata “Sulla strada” si può leggere qui.

  • Bolzano, 6 novembre 2024
    All’Infopoint di via Raiffeisen una ventina di persone attende il proprio turno. Sono tutte qui per iscriversi nella lista di attesa per un posto letto in uno dei Ricoveri Notturni Invernali del territorio. È evidente che i primi 145 posti (dei 300 previsti) messi a disposizione dal 1° novembre a Bolzano, Merano e Bressanone non sono sufficienti a soddisfare il bisogno sul territorio. Due operatori sono impegnati a gestire il flusso di persone e ad accogliere le richieste al front office, dietro il quale sono situati gli uffici di Oltre la Strada.

    Diana Seyffarth, responsabile dell’area “Persone di strada e grave emarginazione” dell’Associazione Volontarius, e Lea Niedermair, operatrice di Oltre la Strada, si preparano per un’uscita di monitoraggio. Obiettivo è prendere contatto con le persone senza dimora e mappare i giacigli e gli insediamenti informali sul territorio cittadino. “È una delle attività principali della nostra Unità Mobile, perché ci consente di ‛agganciare’ le persone, costruire una relazione e, poi, accompagnarle in un percorso individuale volto all’inserimento sociale”, spiegano mentre guadagnano l’uscita.  

    Le due operatrici si dirigono verso la stazione dei treni, superano via Perathoner e via Alto Adige per attraversare parco Cappuccini, dove salutano alcune persone sedute sulle panchine circostanti. “Il gruppo che si ritrova qui è relativamente nuovo e con loro non abbiamo ancora instaurato una vera e propria relazione”, spiega Niedermair. Tra le persone senza dimora il passaparola è molto efficacie e più o meno tutti conoscono gli operatori e le operatrici di Oltre la Strada e il loro ruolo. A volte, però, bisogna mettere in conto un pizzico di diffidenza e superare una specie di “fase di studio”. Le difese delle persone senza dimora possono essere alte, perché, nonostante siano spesso le uniche ad avvicinarsi a loro sulla strada, le streetworker sono comunque parte di un sistema e di una società che le ha rifiutate. Il rispetto dei tempi di ciascuna persona – unito alla capacità di ascolto ed empatia – è dunque fondamentale per chi svolge un lavoro in prima linea in ambito sociale. 

    Il monitoraggio prosegue per alcuni chilometri lungo il fiume Isarco, fino ad arrivare ai piloni del viadotto autostradale, per lunghi tratti appositamente tappati da grate di metallo e dagli ormai tristemente noti blocchi di cemento “anti-degrado”. In questo tratto di strada Seyffarth e Niedermair si avvicinano ai giacigli improvvisati che individuano. Quasi tutti la mattina sono vuoti. “Tanti di giorno lavorano e, non avendo un posto dove stare, per la notte devono arrangiarsi così”, fa notare Seyffarth. Al loro saluto, però, qualcuno risponde. Ousmane sta riposando, quando le operatrici gli si fanno incontro. “Ciao Lea! Come stai? Io ho staccato dal turno e approfitto della temperatura gradevole per riposarmi un po’”, dice mettendosi a sedere, con gli occhi semichiusi e la bocca un po’ impastata di chi si è appena svegliato, prima di rimettersi sotto le coperte. A volte bastano poche battute. Un saluto, ci si sincera delle condizioni di salute, delle eventuali novità sul fronte lavoro o per quanto riguarda i documenti. A chi ne ha bisogno le operatrici confermano la disponibilità nel sostegno per la ricerca lavoro – all’Ufficio Mobile o all’Infopoint – e ricordano a tutti di rinnovare ogni settimana la propria richiesta di ammissione all’“Emergenza Freddo”.

    Seyffarth e Niedermair si spingono verso la zona sud della città. È difficile immaginare come sia possibile dormire qui, sotto l’autostrada, dove il frastuono delle automobili in transito non lascia un attimo di tregua. Le tende aumentano a vista d’occhio. Da una di queste fa capolino un ragazzo, che si alza stirandosi con le mani i pantaloni della tuta.  Niedermair si presenta e, dopo avergli illustrato brevemente il lavoro di Oltre la Strada, gli domanda se ha fatto richiesta per uno posto in “Emergenza freddo”. Il giovane si presenta: “Piacere, mi chiamo Mohammed” – e aggiunge – “Sì, all’Infopoint sono andato e ci torno ogni settimana per confermare che ci sono ancora. Nel frattempo cerco lavoro e dormo qui”. Con un cenno del capo indica la tenda grigia di fronte a lui, una delle tante disposte in una lunga fila. 

  • Foto: Alessio Giordano/SALTO
  • 8 novembre 2024 
    Diana Seyffarth e Patrick Njaki stanno organizzando l’uscita di contatto serale. Le coperte sono già sistemate nel bagagliaio della macchina, il thermos di the caldo è pronto, così come lo zaino con i kit igienici per uomini e donne. Prima di partire, Seyffarth commenta contrariata la notizia dello sgombero di nove tende sotto il viadotto autostradale nei pressi di ponte Palermo avvenuto stamattina: “Dopo anni dovrebbe essere chiaro che le azioni di questo tipo non servono a niente, se non a rendere ancora più difficile la vita delle persone senza dimora e, di riflesso, il nostro lavoro”. I dispositivi repressivi, infatti, non fanno volatizzare le persone senza dimora, ma le costringono solo a cercare un altro posto all’ombra dei margini della città.

    Questa sera la prima tappa dell’Unità Mobile è la zona artigianale a nord della città. “Romina si è raccomandata di dare un’occhiata a delle macchine in cui sembra viva qualcuno”, dice Njaki. Una volta raggiunta l’area, l’intuizione della referente del progetto pare azzeccata. Un’auto sembra essere stata adattata a questo scopo: dai finestrini si scorgono coperte, bottiglie d’acqua e vestiti. Del proprietario della macchina però non vi è traccia, così il giro prosegue verso un deposito abbandonato. Il cancello, foderato con alcune coperte, si schiude quando Njaki e Seyffarth annunciano la loro presenza. Ad aprirlo è Abdul, un ragazzo bengalese che il team di Oltre la Strada conosce molto bene. “Prego, entrate”, fa segno il giovane, mentre accoglie gli operatori. Lo spazio è ben organizzato: un letto, un piccolo fornello, qualche stoviglia, un bidone in cui raccogliere i rifiuti. “Facevo le pulizie in ospedale, ma il contratto è scaduto e quindi eccomi qui”, racconta Abdul. “Ora percepisco la disoccupazione, ma voglio tornare a lavorare al più presto”. Njaki gli consegna una tazza di the fumante e una coperta e i due fissano un appuntamento per la ricerca lavoro. “Benissimo, ti aspetto martedì pomeriggio in ufficio allora”, dice l’operatore. 

    Il monitoraggio prosegue verso il centro. “Andiamo a salutare Giuseppe”, propone Njaki, uno dei senza dimora ‛storici’ della città. Gli operatori lo scorgono seduto su una panchina, avvolto dalla testa ai piedi nel suo sacco a pelo. Giuseppe è ancora sveglio e gradisce volentieri una tazza di the. Ha voglia di chiacchierare e rievoca alcuni episodi della sua vita “di prima”, lanciandosi in una precisa descrizione delle diverse tipologie di taglio dei brillanti, memorie del tempo in cui lavorava in una gioielleria. Secondo una narrazione tanto ingenua quanto superficiale del fenomeno-homelessness, Giuseppe sarebbe uno di quelli che questa vita l’hanno scelta. Ma la realtà è molto più complessa, come chiarisce Diana Seyffarth: “A portare le persone in strada c’è sempre una frattura, una solitudine a cui si sommano uno o più eventi traumatici: un’infanzia difficile, un lutto, una separazione, un momento di fragilità psicologica”. 

  • Foto: Alessio Giordano/SALTO
  • Dopo una decina di minuti è ora di ripartire. Seyffarth e Njaki passano dalla zona del tribunale per sincerarsi che due loro vecchie conoscenze siano al solito posto, nei pressi di una chiesa. Margareta e Cristina stanno dormendo, pertanto non le disturbano e proseguono il monitoraggio spostandosi in zona industriale. Ieri è arrivata una segnalazione: un vecchio furgone simil-camperizzato è fermo da giorni in un parcheggio. Seyffarth e Njaki individuano rapidamente il mezzo. Scendono dall’auto e lo osservano dall’esterno. Le tende sono tirate, dentro sembra non esserci nessuno. Njaki nota tre persone avvicinarsi. Sono tre ragazzi. “Tutto a posto?”, chiede uno di loro, mentre apre il portellone sul retro. All’interno del furgone si scorge una struttura in legno, sopra la quale è adagiato un materasso matrimoniale. Per pochi secondi l’aria si fa tesa. Ci pensa Seyffarth a stemperarla. “Sì, certo”, risponde, per poi chiarire di essere un’operatrice dell’associazione Volontarius e invitarli all’Infopoint nel caso avessero bisogno di informazioni sui servizi del territorio o per sbrigare questioni burocratiche e amministrative. Njaki spiega loro come arrivarci. “Perfetto, grazie, allora ci vediamo lunedì”, esclamano i tre.

    L’ultima sosta della serata è sotto il viadotto ferroviario. Due uomini giocano a carte. A qualche metro di distanza, una ragazza è già dentro il suo sacco a pelo, lo sguardo concentrato sullo smartphone. Njaki consegna al gruppo un paio di coperte. Seyffarth si avvicina alla ragazza e le porge un kit igienico, con all’interno assorbenti, salviette igieniche, saponette e gel doccia. “Calzini pesanti li avreste?”, chiede uno degli uomini. “Oggi no, ma ve li portiamo lunedì sera”, risponde prontamente Njaki. 

    Alle 22 Patrick Njaki e Diana Seyffarth rientrano verso l’Infopoint, dove lasceranno l’auto di servizio. Mentre guida Njaki pensa agli impegni che attendono il team di Oltre la Strada la prossima settimana. Il primo pensiero è per lo sgombero di stamattina e per un’ultima amara riflessione: “I ragazzi sgomberati oggi li conosciamo bene. Ora dovremo ritrovarli, capire dove si sono spostati, verificare di cosa hanno bisogno. Se poi, come capita spesso, la polizia municipale ha buttato via anche i loro documenti, bisognerà tornare al punto di partenza”. E ricominciare, ancora una volta, tutto daccapo. 

    *i nomi delle persone incontrate sono stati modificati al fine di tutelarne la privacy

Bild
Salto User
Andres Pietkiewicz Gio, 11/14/2024 - 07:42

Molto dettagliato l'articolo, e assolutamente reale e vero.Parola di uno streetworker autonomo,cioè senza organizzazioni alle spalle. Il fenomeno è così come descritto,anche se un poco romanzato. Il giornalista omette a mio avviso due cose importanti: che il vero lavoro di streetworker, come si puo vedere nella serie TV " Zona Protetta" in parte girata a Bolzano, trasmesso su Raiplay, era svolto egregiamente dal gruppo appartenente a Forum Prevenzuone in cui operavano Zlata Cucevic, Stefano Rossetti e Silvana Martuscelli.Sono lotro che hanno inciso profondamente negli aspetti psicologici e di formazione della rete di assistenza alle persone più fragili,soprattutto ai giovani minorenni. Da segnalare anche il grande e oneroso contributo di Bozen Solidale, che senza avere mai richiesto contributi provinciali o statali, ( a differenza di Volontarius e La Strada, che ne fanno incetta....),dal 2015 sono i fornitori di tende e utensili per queste persone,accusati tra l'altro di sostenerli da parte di qualche assessore comunale. Triste anche il fatto che la polizia urbana,attuando gli sgombri,butti via di proposito le tende,come giustamente dichiara Diana,sono azioni solo " cattive" senza alcuna utilità. Un encomio particolare va fatto a Scioglilingua, che si è sempre adoperata,anche nei momenti difficili come il covid, a sostenere qualsiasi ragazzo, di qualsiasi razza e etnia, all'apprendimento delle lingue locali.Primo fondamentale passo per una proficua inclusione. In tutto questo, la politica provinciale è comunale, assenti.....Pagano ,con soldi nostri,associazioni che dovrebbero farsi carico del problema, operano sempre in regime di emergenza e utilizzando le persone più vulnerabili come oggetto di propaganda ,parlando "alla pancia" di quella parte di cittadini che hanno delegato il pensare a chi promette di pensare al loro posto ,e illudere di garantire che possano sempre vivere, sereni,nel parco giochi per ricchi, altoatesino Non è così,non si vive di turismo ma di umanità, perché non sai mai,come insegna l'ex tagliatore di pietre preziose citato nell'articolo, che un domani noi ci sia uno di noi su quelle panchine..Come operatore , non capisco perché l'emergenza non venga risolta con chi per le emergenze è preposto, e cioè la Protezione Civile.
Forse perché opererebbe in modo trasparente,efficace,professionale...
Non capisco neanche perché il progetto Sprar,siproimi,sai, o chiamalo come vuoi, sia stato abbandonato dalla provincia ,forse per un tweet di Salvini? Ora arriva Piantedosi,e cercheranno di venderci che la soluzione è il CPR, come dimostra L'Albania.
Aptite gli occhi, la realtà è ben diversa, e non è sufficiente romanzarla per affrontarla...

Gio, 11/14/2024 - 07:42 Collegamento permanente