Cultura | “Die Riesin”

La gigantessa, frammenti di una vita straordinaria

La triste vicenda umana di Maria Faßnauer, “gigantessa del Tirolo”, nel racconto di Lorenzo Ferrarese in uscita per le Edizioni alpha beta Verlag. Un estratto del libro.

La “Riesin von TirolMaria Faßnauer detta Mariedl nacque nel 1879 presso il maso Staudenhof, all'ombra delle miniere di Monteneve in Ridnauntal (val Ridanna). Morì nel 1917, dopo trentotto anni di vita dei quali restano poche tracce: qualche articolo di giornale, una manciata di fotografie ingiallite, un letto enorme. La “gigantessa della val Ridanna” probabilmente era affetta da acromegalia, malattia che le fece raggiungere l’altezza di 2,17 metri per un peso di 172 chili. Figlia di contadini poveri, per aiutare la famiglia accettò di esibirsi in giro per l’Europa insieme ad altri fenomeni da baraccone ainoi in voga tra fine Ottocento e primi del Novecento. Una vita tristemente straordinaria, raccontata da Lorenzo Ferrarese nell'ultimo libro edito da alpha beta La gigantessa – Frammenti di una vita straordinaria, con prefazione di Brunamaria Dal Lago Veneri, che introdurrà il libro alla presenza dell'autore lunedì 20 aprile 2015 alle 18 presso il Centro Trevi di Bolzano. Il libro non è una biografia di Mariedl – impossibile vista la scarsità di materiale a disposizione – bensì un romanzo, o meglio una raccolta di frammenti. Ne pubblichiamo in anteprima i primi due.

Lorenzo Ferrarese, nasce nel 1955 a Bolzano, dove vive e svolge la sua attività come funzionario presso un’amministrazione pubblica. Laureato in Conservazione e Gestione dei Beni Culturali presso l’Università di Trento con una tesi sul Palazzo Ducale e il Monumento alla Vittoria di Bolzano, collabora tra l’altro con l’Università della Lettonia e l’Accademia di Cultura di Riga tenendo periodicamente lezioni di Storia dell’arte propedeutiche all’insegnamento della lingua italiana. È stato finalista in vari concorsi di poesia e di narrativa, tra cui il Premio Merano-Europa, da lui vinto nel 2001 nella categoria racconti.

Primo frammento: “La fine

Si alza tardi, d’inverno, il sole, fa fatica a scavalcare le montagne che chiudono la valle in una morsa di freddo e di pace. La stanza è immersa nella penombra e il vapore condensato sui vetri della piccola finestra brilla di mille luci, brilla come i lustrini del costume di Miriam, la nana ballerina che lei ogni tanto portava in giro sul palmo della sua mano enorme, tanto era piccola. Mariedl sorride, le sembra di vederla, la sua amica nana, e la finestra si mette a danzare al suono di quella musica da circo che tanto le piaceva. Sorride, Mariedl, e la chiama con un sussurro: Miriam, Miriam. Ed è contenta quando sente una mano fresca accarezzarle la fronte, asciugare il sudore freddo che la fa rabbrividire. La mano è quella di sua madre, piccola e forte nello stesso tempo, una mano rovinata dal lavoro duro del maso, una mano che quasi si vergogna di asciugare le poche lacrime che scorrono sul viso. Poche lacrime, la dura vita della montagna non permette di esprimere apertamente il proprio dolore, che rimane chiuso dentro un prezioso scrigno che solo Dio aprirà, quando sarà il momento, e sente che il momento è vicino anche per lei.

Sua madre attizza il fuoco della piccola stufa nell’angolo della stanza, un lusso che si concede soltanto agli ammalati, e, con un gesto ripetuto infinite volte, si pulisce le mani sporche di fuliggine sul grande grembiule una volta bianco, ora grigio e consumato per i troppi lavaggi. Ma basterebbe il calore emanato dal corpo enorme di Mariedl a riscaldare la minuscola stanza, occupata quasi per intero da quel suo letto così straordinario che il viaggio del falegname per consegnarlo, tanti anni prima, si trasformò in una processione di curiosi, stupiti dalle dimensioni della testata e dalla lunghezza delle assi.

Mano a mano che la scarsa luce invernale scaccia il nero della notte si svelano agli occhi di Mariedl gli oggetti familiari che tanto la tranquillizzano, avvolgendola nel vago tepore del consueto: il baule che l’ha accompagnata in tutti i suoi viaggi per il mondo, rinforzato lungo il bordo da strisce di ottone oramai ricoperte da una patina di nero, ravvivato da etichette sbiadite, pallido segno delle città che l’hanno ospitata, il piccolo specchio in cui cercava di riflettersi il meno possibile, sospeso sopra il catino di zinco ammaccato, il crocefisso di legno che la consolava quando la nostalgia di casa diventava insopportabile e che ora è appeso sopra la testata del letto, in un punto che riesce a fatica a vedere, solo torcendo la testa all’indietro. Chissà i vestiti nel baule in che condizioni saranno, pensa Mariedl, in primavera dovrò tirarli fuori e appenderli all’aria, e forse li proverò di nuovo, così, di nascosto, senza farmi vedere da nessuno, sì, appena lascerò questo letto, appena sarò guarita.

Un’ombra di malinconia le vela per un momento gli occhi, come un battito d’ali di un uccello spaventato che ti fa trasalire quando passeggi soprappensiero nel bosco.

Un grande corvo nero posato sul davanzale della finestra guarda. Il vetro appannato non impedisce al suo sguardo acuto di penetrare nella penombra della stanza. Solo la testa si muove a scatti, seguendo nervosa i movimenti sconosciuti all’interno. La sua immagine si riflette scomposta sulla trasparenza del vetro e non mostra le vecchie penne consumate dalle correnti di milioni di venti feroci. Mariedl guarda la sagoma del corvo e alza con fatica la mano come per ringraziarlo di essere venuto a salutarla.

Con grande fatica sua madre le sistema il cuscino sotto la testa e le rimbocca le coperte. La vecchiaia pesa su di lei con una cappa di debolezza, mai veramente accettata dopo una vita di fatiche e figli, ma la forza dell’abitudine alla cura le fa ancora trovare le energie per sollevare il corpo immenso e inerte, primo frutto, e il più strano, del suo ventre.

Mariedl le sorride, grata. Il suo sguardo si posa nuovamente sul crocefisso appeso, le labbra si schiudono appena per mormorare le preghiere del mattino, poi le palpebre si abbassano su di un sonno sereno.

Secondo frammento: “Il pasto delle galline

Le galline svolazzano irrequiete nel cortile, starnazzando insolenti intorno al grembiule sollevato pieno di cibo. La madre di Mariedl sparge grandi manciate di granaglie come fossero grano da semina, mentre loro si azzuffano per rubare più chicchi possibile alle vicine, disinteressandosi del ben di dio sparso sulla terra ancora umida delle piogge di ottobre, preludio alle nevicate che tra un po’ addormenteranno la vita della valle fino a primavera inoltrata.

Si diverte, Mariedl, a inseguire le galline stupide che tentano goffi voli per sottrarsi al suo abbraccio, ricadendo inesorabilmente a terra pronte a gettarsi nuovamente nella mischia.

La madre continua il suo lavoro, ma non perde d’occhio quella figlia sempre più strana.

Ha più di tre anni e mezzo, Mariedl, ma ormai gli abiti che la madre le ha cucito, o che ha ricevuto in regalo dai compaesani, le vanno stretti, ogni mese deve andare in cerca di altri vestiti o prendere ago e filo per accomodare quelli vecchi, perché soldi per comprarne di nuovi non ce ne sono, soprattutto adesso che è finalmente in arrivo il secondo figlio, un maschio, si spera, perché sono i maschi che porteranno avanti il lavoro nel maso, le figlie, si sa, prima o poi si sposano e vanno a servire un altro padrone. È il destino delle femmine, nate per servire e per procreare nuova vita, così vuole il Signore, come non si stanca mai di ripetere il decano nella predica della domenica, preoccupato dagli sguardi incuriositi delle ragazze per i bei vestiti delle signore straniere che da qualche tempo frequentano i pochi alberghi della valle.

La madre di Mariedl è preoccupata; ne ha visti di bambini nella sua vita, fratelli, sorelle, nipoti. E nessuno, a tre anni, era così grosso. E nessuno, soprattutto, era cresciuto così in fretta, quasi a vista d’occhio.

Anche il padre di Mariedl non sa cosa pensare. Lo ha mandato perfino a consultarsi col decano, ma la risposta che ha ottenuto è stata quella di affidarsi al Signore e di consultare un dottore. Già, un dottore. Come se fosse facile trovare i soldi per scendere a Vipiteno e pagare la visita al vecchio medico condotto che non ha mai tempo per i contadini e i minatori della valle.

In questo momento, poi, il lavoro su nella miniera di Monteneve dove sgobba suo marito è sospeso per non sa quale incidente, e molti minatori sono stati mandati a casa, con la promessa di essere richiamati al più presto; ma, e lei ormai ha abbastanza esperienza per saperlo, non si sa mai se e quando la chiamata arriverà.

Ma il dottore si accontenterà forse di qualche gallina e di un pezzo di speck, però dovrà aspettare la primavera, quello di quest’anno basterà, se tutto va bene, solo fino a Natale.

Mariedl, intanto, continua a correre dietro alle galline, fin giù nel campo di patate, già quasi pronte per essere raccolte; e per fortuna quest’anno le cose sembrano andare bene, non come l’anno scorso che erano talmente poche che hanno dovuto comprarle a credito, e il debito se lo sono portati avanti fino all’estate.

Le galline, sazie, passeggiano più tranquille nel cortile, ripulendo con gesti nervosi del capo il fango dagli avanzi del pasto.

Silenzioso, un corvo si posa sullo steccato che chiude il cortile. Osserva il comico agitarsi delle sorelle sfortunate, incapaci di levarsi in volo se non per brevi tratti, condannate alla terra nella notte dei tempi per chissà quali peccati da un dio ormai dimenticato. Osserva, pronto ad approfittare del cibo non dovuto. La bambina ferma il suo gioco, lo guarda ridendo, gli getta una manciata di terra e di cibo.

La madre di Mariedl, sfinita dal peso del suo secondo figlio in procinto di nascere, si siede sulla panca di fronte alla casa e guarda con amore e timore insieme quella sua figlia così strana e incomprensibile che corre ignara e piena di vita verso di lei, chiedendo a gran voce da mangiare. L’accoglie tra le sue braccia e se la stringe al petto, per farle sentire il bene che le vuole, per farle capire che non rimarrà mai da sola, nonostante il mistero di quel corpo abnorme.

Mariedl segue con il dito il percorso di una lacrima che scende sul viso della madre, la guarda curiosa, le fa una carezza e corre in cucina a cercare un pezzo di pane per calmare la fame devastante che la sta invadendo sempre di più. La madre mormora una preghiera, si fa il segno della croce e si alza faticosamente dalla panca: prima di sera ci sono tanti altri lavori da fare, e non c’è il tempo di pensare troppo agli accidenti della vita.

2015, Edizioni alphabeta Verlag | € 12,00, 140 p. | ISBN 978-88-7223-242-2