Cultura | Fiction

“Brennero” è il nostro noioso specchio

La serie tv “Brennero” su Rai 1 è ambientata in un Sudtirolo buio e deserto, dove i pregiudizi linguistici diventano una macchietta e il “Mostro di Merano” cambia bersaglio.
Brennero
Foto: Rai
  • È sera, Bolzano è in fibrillazione per la sua squadra di hockey, che affronta una partita decisiva. Persone di lingua italiana come di lingua tedesca guardano la partita nei bar della città: il Bolzano vince, la gente scende in strada per festeggiare. Anche Hans Mayr aveva seguito la partita, si dà appuntamento coi suoi amici in Piazza Vittoria. Col suo cane Lothar attraversa uno dei vicoli che collegano i Portici a via Streiter: qui trovano la morte, uccisi da alcuni colpi di pistola. Sul suo corpo viene posato un Sacro Cuore di Gesù di metallo. 

    Così inizia il tanto attesoBrennero”, lo sceneggiato in quattro serate co-prodotto da Rai Fiction e Cross Productions (e finanziato da IDM) andato in onda ieri (lunedì 16 settembre) in prima serata su Rai Uno e già disponibile su RaiPlay. I primi minuti sono anche gli unici in cui qualcuno, nello specifico la vittima Hans, parla una specie di dialetto sudtirolese, e sono anche pressoché gli unici in cui davvero c’è qualcuno in giro per Bolzano e l’Alto Adige. Per il resto, la città capoluogo e i suoi abitanti restano decisamente lo sfondo buio e deserto delle indagini che vedono protagonisti il pubblico ministero Eva Kofler (Elena Radonicich) e l’ispettore Paolo Costa (Matteo Martari). Lei proveniente da un’agiata famiglia di lingua tedesca — suo padre è l’ex procuratore capo Gerhard Kofler (Richard Sammel) — e lui di lingua italiana. A unirli è la caccia al “Mostro di Bolzano”, un serial killer che uccide solo uomini di lingua tedesca per “rivendicare i diritti degli italiani” in una terra dove “va meglio se parli tedesco”.

  • L'ispettore Paolo Costa (Matteo Martari) e la pm Eva Kofler (interpretata da Elena Radonicich): sotto i portici di Egna, in Bassa Atesina. Foto: Rai
  • Le tensioni storiche del Sudtirolo emergono soprattutto dagli scambi estremamente macchiettistici tra Eva, Paolo, Gerhard e i pochi che li circondano. “Scusi, può passare all’italiano? Vale per tutti”, sbotta la bilingue Eva con una collega che le parla in tedesco, “Siamo alla Procura di Innsbruck?” e “si rivolga a un pubblico ufficiale in italiano” chiede a sua volta Paolo, che in un altro momento ancora sentenzia: “Se la stessa intuizione l’avesse avuta una persona di lingua tedesca, [Gerhard] l’avrebbe ascoltata”. Chi parla in tedesco parla in Hochdeutsch, compresi Eva e Gerhard nonché un anziano che all’arrivo del poliziotto esclama “Scheissitaliener”. Ma se si perdona il comprensibile uso del tedesco standard dovuto alla presenza di attori dalla Germania (ricordiamo che in “Un passo dal cielo”, ambientata inizialmente in Val Pusteria, si parlava veneto), la caratterizzazione dell’Alto Adige resta piuttosto piatta, per usare un eufemismo. Soprattutto se paragonata alla già un po’ semplificata Valle d’Aosta presente in “Rocco Schiavone”, realizzata dagli stessi produttori di “Brennero” (supportati però in quel caso dai gialli di Antonio Manzini, da cui è tratta la fiction).

  • Poca fantasia

    Anche la sceneggiatura della serie, girata tra Bolzano, Renon, la Bassa Atesina e l’Oltradige, è abbastanza pigra: il “Mostro di Bolzano” riprende impropriamente il nome attribuito al killer Marco Bergamo, ma è ancor più ispirato al “Mostro di MeranoFerdinand Gamper, responsabile dell’uccisione di sei persone nel 1996. Le vittime dei suoi omicidi erano infatti in prevalenza di lingua italiana e sesso maschile – tranne un cittadino tedesco, perché il killer fu ingannato dal fatto che parlasse in italiano con la sua compagna marchigiana. Lo stesso episodio accade in “Brennero”, dove gli spari a una coppia di lingua italiana vengono interpretati col fatto che una delle due vittime parlasse in tedesco al telefono.

  • Padre e figlia sudtirolesi: l'attore tedesco Richard Sammel è Gerhard Kofler, Elena Radonicich interpreta Eva Kofler. Foto: APA
  • Il problema di “Brennero" non è però tanto l’aderenza alla realtà, quanto la qualità (e la fantasia) della sua trama. Colpisce pure l’ossessione per la Notte dei fuochi e i cosiddetti “terroristi tirolesi”, presente pure in “Der Bozen-Krimi”, la nota serie tv prodotta da ARD 1 e Albolina Film. Ma sia rispetto alla serie tedesca che in confronto a “Rocco Schiavone”, “Brennero” manca completamente di attualità, tratteggiando un Sudtirolo astratto, per certi versi noioso perché inattuale. Sebbene — e questo noi sudtirolesi faremmo bene a notarlo — non stupisca affatto che la storica ossessione per le questioni linguistiche diventi lo spunto per una fiction del genere, anzi, ne sia addirittura il fulcro. Una macchietta dei nostri pregiudizi che mette in luce le tensioni latenti che ancora esistono, anche se assai minori rispetto a un tempo, e delle quali non riusciamo a liberarci del tutto. Guardando “Brennero” ci rivediamo strani, un po’ distorti, non così lontani da come siamo (o perlomeno eravamo) e tantomeno da come appariamo. Chissà quanti telespettatori avranno preferito cambiare canale.

Grazie Valentino.. Me lo stavo giusto domandando se valesse la pena guardarlo.

Quindi son solo soldi che l'IDM ha buttato nel cesso, risciacquando.
Tra l'altro il regista stesso in un' intervista che ho visto dichiara di aver girato un film su una regione che conosce molto poco.
Ma allora non si capisce perché accettare di fare un lavoro creativo su un qualcosa che non si conosce?

Mar, 09/17/2024 - 09:40 Collegamento permanente

Leggere un articolo di contanta semplificazione giornalistica è, come sempre, emblematico del decadimento dell'informazione nel nostro paese.
È difficile riuscire a fornire un adeguata critica cinematografica avendo visionato si e no i primi due episodi di una serie televisiva (questo è ciò che si evince dalla descrizione), ma a quanto pare ci si è riusciti. L'ambientazione è rappresentata al meglio e che dir si voglia, chiunque ne capisca un minimo del genere "noir" saprà che le scene non sono proprio caratterizzate dall'essere vive e dense. Per tanto lo sfondo che viene dato della città è perfettamente in linea con quanto ci si aspetterebbe da un giallo.
Finalmente, e direi finalmente, si accende un riflettore su quelli che sono stati fra gli anni più bui per l'Alto Adige (termine che a quanto leggo risulta scomodo, seppur previsto dalla Costituzione della Repubblica italiana), dove decine e decine di ragazzi poco più che diciottenni ci hanno rimesso la vita in senno ad un ideale folle di rivendicazione politica tramite il sangue. Vengono giustamente fatte notare fin dai primi attimi del film quelle che sono delle pregiudiziali etniche, che ahimè, caratterizzano ancora la nostra terra e chi le nega probabilmente non vive nel presente. Il finale della serie invece è da monito, per ricordarci tutti i progressi che sono stati qui fatti, anche grazie al sacrificio di molti, per raggiungere quella che ad oggi è una situazione in cui quantomeno sul piano etnico/sociale, seppur non totalmente dal punto di vista normativistico, gli italiani di madrelingua italiana e tedesca convivono pacificamente. E nella serie tutto ciò viene esemplificato con la risoluzione del caso, che vede la giustizia trionfare aldilà di ogni barriera etnica.
Messaggio difficile però da cogliere per chi si limita a giudicare senza avere un quadro completo delle cose.

Peccato, perché anche questa volta non si è colta la novità di una serie che ha saputo raccontare le peculiarità di un territorio, la sua storia (che molti governanti hanno dimenticato o volutamente dimenticano) ed il suo futuro che deve dire addio all'ondata di odio etnico e seccessionista.

Mar, 09/17/2024 - 18:21 Collegamento permanente

Forse, invece di trasmettere decine e decine di commenti sempre uguali, potrebbe pubblicare un elenco di queste "decine e decine di giovani" che sarebbero morti in quelli che lei chiama gli anni bui. Neanche contando anche i sudtirolesi torturati a morte dai Carabinieri o uccisi dai militari si arriva ad una sola decina di morti.

Mar, 09/17/2024 - 18:54 Collegamento permanente
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Luca Bassi

A parte il passaggio già commentato dei precedenti lettori, sul quale anch'io nutro dubbi sulla veridicità dei dati e dal tono eccessivamente drammatico, mi trovo invece d'accordo sul resto di quanto scritto dal Sig. Vicentini.
Ho già guardato quasi metà della ficition, completamente disponibile su RaiPlay, e concordo anch'io sul fatto che la stroncatura dopo la visione del solo primo episodio è forse un "filino" troppo.
La serie parte effettivamente lenta, piatta, basandosi su troppi stereotipi locali, ma nelle puntate successive gli scivoloni iniziali si comprendono e non vengono fortunatamente ripetuti, i personaggi crescono e la storia prende una forma ben diversa da quanto i primi minuti vogliono far credere.
Siamo comunque difronte ad una ricostruzione volutamente "noir" di una storia inventata, adattata e plasmata su spunti di avvenimenti reali, ci sta anche la recitazione tipica delle fiction nostrane ben lontane dalle blasonate produzioni d'oltreoceano.
Anzi, invito a guardare i tre corti video del backstage sempre disponibili su RaiPlay per capire lo spirito di questa fiction.
Poi se si vuole cercare l'ennesima triste polemica politico/etnica, questo è un altro discorso che sinceramente e personalmente non mi tange.

Gio, 09/19/2024 - 09:58 Collegamento permanente

Non c'è nessuna polemica etnica.
È solo una Film-Propaganda per far vedere al resto del paese e alla provincia in primis, come l'Italia sta efficacemente tenendo in uno stretto pugno il suo bottino di guerra, che da selvaggio e scalmanato com'era 100 anni fa, oggi è un agnellino docile e completamente addomesticato.

Ven, 09/20/2024 - 17:26 Collegamento permanente