Noi, mai veramente accettati
Giovanni (nome di fantasia) è un uomo sulla cinquantina, gli occhi vispi di chi ne ha viste tante e ne avrebbe volentieri fatto anche un po’ a meno. Ha passato in tutto 28 anni in carcere, più della metà della sua vita, è fuori dal 2010 e lavora come imbianchino per una cooperativa sociale di Bolzano. Gli avevano proposto di lavorare anche in un supermercato, ma lui rinchiuso tutto il giorno dentro quattro mura non ci vuole più stare. “Io l’intervista la faccio – dice – ma vorrei restare anonimo”, proprio perché il primo desiderio è quello di passare inosservati, devoti silenziosi al rito del seminare e raccogliere, un’arte appresa quasi troppo tardi, o meglio, giusto in tempo.
Giovanni, per quale motivo è stato arrestato?
Per rapina, ero latitante a Roma e ricercato a Bolzano. Non potevo quindi andare a lavorare e allora mi sono arrangiato diversamente. Sono stato in molte carceri, da Rebibbia a San Gimignano, a Bolzano non mi potevano tenere perché ho tentato di evadere due volte.
Com’è una giornata tipo in carcere?
Diciamo che uno può scegliere di starsene in branda tutto il giorno davanti alla televisione oppure fare altro. Io mi sono messo a studiare, ho preso il diploma e poi ho cominciato anche il corso di Scienze per la pace dell’università di Pisa.
E non ha continuato?
Sono uscito che mi mancavano quattro esami, ma dovevo pagare le tasse universitarie e non potevo permettermelo. Finché ero dentro, invece, avevo una borsa di studio.
Che lavoro faceva prima di finire dietro le sbarre?
Ho fatto il carrozziere negli anni ’70, nella preistoria, insomma, oggi non saprei nemmeno dove mettere le mani, le macchine sono cambiate parecchio.
È vero che uno dei momenti più difficili della prigione è quando bisogna lasciarla? Che nel ritorno al mondo esterno accanto al senso di libertà si sviluppa anche quello di un certo smarrimento?
Ci sono persone che hanno proprio paura ad uscire, specie se uno torna libero dopo molti anni. Io ad esempio sono uscito che era cambiata la moneta, dalla lira all’euro, esci e trovi la gente che non è più quella di prima, amici che sono morti. Tu con la testa sei rimasto nel passato, a quando sei entrato in prigione, mentre fuori tutto è cambiato in modo spaventoso. Tu stesso sei invecchiato e non te ne sei reso conto.
Il carcere riabilita?
No, il carcere abbrutisce. Uno dei modi per “evadere” è appunto lo studio, fa conoscere meglio le cose del mondo e soprattutto apre la mente, oltre ad essere un ponte, uno strumento utile per dopo.
E com’è andata la ricerca del lavoro una volta fuori?
La prima volta mi sono presentato all’ufficio di collocamento, mi hanno chiesto le generalità, i documenti e allora me ne sono andato via subito. Poi ho fatto un corso al Cls qui a Bolzano dove ho conosciuto il presidente della cooperativa per cui lavoro oggi.
Cos’è successo poi?
Ho cominciato a darmi da fare. Se non ci fossero queste cooperative sociali io non sarei mai stato assunto. Chi mi avrebbe preso a lavorare? Alla mia età, poi, e dopo un trascorso del genere.
Solo per una questione di pregiudizio?
Non solo per quello, c’erano anche dei problemi oggettivi, per esempio io per tre anni tutti i giorni dovevo presentarmi in questura a firmare, avrei avuto bisogno di continui permessi dal lavoro per poterlo fare e sarebbe stato impossibile ottenerli.
Quali sono i problemi maggiori che un ex detenuto incontra quando esce dal carcere? Come fate, ad esempio, con le spese processuali o le multe prese magari anni prima?
Queste sono esattamente le difficoltà più grandi. Esiste la remissione delle spese per buona condotta e quelle a me le hanno tolte, ma ho ancora debiti per 40mila euro, la mia pratica ce l'ha in mano Equitalia. Questo significa che non posso espatriare, e dato che mi hanno dichiarato delinquente abituale non posso nemmeno avere la patente, cosa che mi provoca non poche difficoltà sul lavoro, come se poi uno che vuole commettere un reato si pone il problema di non avere una licenza di guida. Inoltre non posso fare un finanziamento, devo pagare qualsiasi cosa esclusivamente in contanti e dopo aver trascorso tutti quegli anni in carcere chi li ha dei risparmi da parte?
A quel punto è facile ricadere nella tentazione di tornare a commettere reati.
Precisamente. Sono uno che ha pagato il suo debito alla giustizia ma questo, evidentemente, non è sufficiente. Molti giuristi peraltro sono contrari alla questione delle ammende, perché si impedisce di fatto un reale reinserimento. E qui ci va perfino bene perché la Provincia ci aiuta, in altre città non danno nulla. Io credo che il 70% di quelli che escono tornano a delinquere perché sono costretti, perché devono mangiare, dormire, fuori non hanno una casa, non hanno nulla.
Le resta qualcosa di positivo della vita in carcere?
L’esperienza. O si crolla o si esce più forti. A volte ci si trovava a stare in dieci in una cella, uno voleva dormire, uno guardare la televisione, alcuni erano stranieri con mentalità ed esigenze completamente diverse, un delirio.
Come dovrebbe cambiare il sistema-carcere? Cosa chiederebbe in questo senso alle istituzioni anche in vista della nuova struttura penitenziaria che verrà costruita a Bolzano sud?
Che si permetta ai detenuti di studiare, perché molti hanno la volontà di farlo, e si prevedano dei corsi di formazione professionale, almeno si impara un mestiere per quando si esce. E poi che non riducano gli spazi ricreativi per le varie attività, questo è fondamentale per la salute mentale dei detenuti. E se il budget non dovesse essere sufficiente, piuttosto facciano meno celle. [Sorride, ndr].